Sara Banti, Io Donna 22/6/2013, 22 giugno 2013
L’ARIGIANA DEI GRATTACIELI
In rigoroso understatement - camicia e giacca blu - Annabelle Selldorf si fa strada rilassata nella folla che assedia l’arsenale di Venezia, dove si è aperta da poco la Biennale d’arte. Potrebbe sembrare una signora del jet set internazionale in vacanza, ma questa cinquantenne minuta che qualcuno ha definito la Aston Martin dell’architettura è invece la mente creativa a cui il curatore Massimiliano Gioni ha affidato l’allestimento degli ex magazzini navali per l’esposizione Il Palazzo Enciclopedico. Lontana dallo stereotipo dell’archistar egocentrica, conduce uno dei più importanti studi di New York e firma grattacieli, musei, gallerie, negozi (Yves Saint Laurent, Barneys, Abercrombie & Fitch) oltre alle penthouse di lusso di personaggi come Domenico Dolce e Nicole Kidman. Perché sia stata chiamata a Venezia, non è un mistero. «Con Massimiliano siamo amici, mi ha raccontato della Biennale e ha detto: “Perché non ne parliamo?”» minimizza lei, che in realtà è considerata un “mago” degli spazi per l’arte.
Nata e cresciuta a Colonia, in Germania, padre architetto e madre interior decorator, Selldorf ha respirato cultura fin da bambina. «I miei lavoravano insieme, uno studio piccolo, soprattutto edifici residenziali e appartamenti, ma c’era molta cura. Già allora i nostri amici erano artisti, galleristi». Le sue frequentazioni non cambiano quando - da studentessa di architettura - si trasferisce a New York per un master e finisce per metterci radici aprendo nel 1988 uno studio che oggi conta 50 dipendenti e si trova in Union Square, dove c’era la Factory di Andy Warhol. Più di 100 le opere costruite, e tra queste una quindicina di turning point. Come il grattacielo di 200 Eleventh Avenue, nel cuore di Manhattan - appartamenti in duplex con ogni tipo di facility, incluso lo sky garage, un ascensore per parcheggiare l’auto al piano in cui si abita - fonte di notorietà ma anche di polemiche («Alcuni l’hanno interpretato come una celebrazione dell’auto, ma è proprio il contrario!» protesta. «In quell’area era l’unico modo per eliminare le auto dalla strada, a spese di chi i soldi ce li ha»). O il building di cemento per il gallerista David Zwirner, in West 20th Street, che definisce “con i muscoli”, «perché in un volume apparentemente semplice racchiude grande complessità». Fare, continuare a fare e rifare sempre meglio è la filosofia di Annabelle. «Questo è un lavoro artigianale, ci vuole tempo per mettere a punto un linguaggio, e ogni progetto richiede uno studio del luogo e delle preesistenze. Oggi invece ti viene subito chiesto “come sarà?”, è per questo che nascono edifici affrettati, quartieri sbagliati». Abituata per Dna mitteleuropeo a disegnare ogni dettaglio, una decina d’anni fa ha rilevato Vica, l’azienda d’arredamento fondata da sua nonna nella Germania postbellica. «Forse è stata una scelta un po’ incauta, ma sono contenta perché a poco a poco ho messo in produzione dieci pezzi disegnati da mio padre negli anni Sessanta, e poi altri creati da me. Dagli artigiani con cui collaboro, tra Stati Uniti e Germania, imparo tanto».
Imparare è un’altra parola che Selldorf usa spesso. Anche quando descrive l’edificio ancora in costruzione che in questo momento le sta più a cuore, diverso da tutto ciò che ha progettato fino a ora, il Recycling Facility di Brooklyn, un’innovativa “fabbrica” del riciclaggio nel porto di New York. «Che dovesse essere un’architettura fatta di poca materia era implicito nella filosofia stessa dell’impianto, ma la vera sfida è stata far convivere più funzioni: macchinari imponenti, trasporti in arrivo e in uscita via terra e via mare, accoglienza degli studenti».
Il risultato? Un monumento minimalista di volumi riflettenti che dialogano con l’acqua. «È quasi finito, si inaugura a giorni. tanta fatica e pochissimi soldi, come spesso capita quando si progetta per la collettività. Ma gran de soddisfazione. disegnare lo spazio pubblico è ciò che vorrei fare di più in futuro».