Giovanni Vigo, Sette 28/6/2013, 28 giugno 2013
PER LE SPESE DI GUERRA LE TASSE NON BASTANO
MAI –
Nel 1876, commentando il bilancio francese per l’anno successivo, Isaac Péreire, uno dei protagonisti del mondo finanziario dell’Ottocento, sottolineava che il debito pubblico poteva aprire la strada all’armoniosa collaborazione fra interessi divergenti e favorire così l’avvento di una più ampia democrazia e di una maggiore giustizia sociale. «Sarebbe la vera realizzazione dell’uguaglianza iscritta come diritto nelle nostre Costituzioni, di quell’uguaglianza che deve passare dalla teoria alla pratica e che, secondo le parole di Condorcet, deve diventare un fatto». L’utopia egualitaria di Isaac Péreire non si sarebbe mai realizzata ma, al di là dei sogni, conteneva un grano di verità. Nel secolo scorso lo Stato, investito di nuove e più ampie responsabilità sociali, avrebbe sensibilmente attenuato le disparità più stridenti. In questo processo il debito pubblico ha svolto una funzione particolarmente rilevante perché ha spianato la strada alle riforme senza suscitare particolari conflitti.
Il Novecento era iniziato sotto buoni auspici. Alla vigilia della Prima guerra mondiale il debito inglese era sceso agli stessi livelli di due secoli prima attestandosi intorno al 28% del pil. Quello americano, dopo l’impennata registrata durante la guerra civile, era quasi azzerato. In Italia le condizioni della finanza pubblica erano meno floride ma, a partire dal 1897 e fino all’inizio della guerra, il debito si era ridotto anno dopo anno, passando dal 117 al 71% del pil. La situazione della Francia non era dissimile: nel 1913 il suo debito superava di poco il 66% del pil. Ancor meglio se la cavava la Germania che nei decenni precedenti aveva incassato montagne di oro a titolo di riparazioni belliche dopo la vittoria della Prussia su Napoleone III (il suo indebitamento toccava appena il 38% del pil).
La riduzione quasi generalizzata dei debiti sovrani si tradusse in una decisa riduzione dei default: secondo la ricostruzione fatta da Jacques Attali nel 1910 appena il 3% dei Paesi in cui era diviso il pianeta ripudiò il proprio debito, o fu costretto a sospendere il pagamento degli interessi o ancora chiedere la sua ristrutturazione. Si trattava del miglior risultato dopo il 1820. La tempesta era però dietro l’angolo. Con lo scoppio della guerra la fame di denaro diventò inesauribile: le imposte potevano sostenere solo una piccola parte delle spese militari; il resto venne affrontato indebitandosi all’interno e all’estero o, più semplicemente, stampando cartamoneta. Nel 1920 il debito francese era schizzato al 170% del pil, quello italiano al 160%, quello inglese al 138%.
La scelta dei sovietici. In tempo di guerra tutti i mezzi per raccogliere denaro sono buoni ma una volta tornata la pace i debitori devono pagare il conto. Negli Anni Venti il debito pubblico fu ridimensionato ricorrendo agli espedienti più vari. In Germania venne annullato da una devastante inflazione; in Francia venne rimborsato mediante un inasprimento delle imposte sul tabacco e sui fiammiferi; l’Unione Sovietica si sbarazzò del debito zarista giustificando il suo rifiuto di rimborsarlo con il fatto che la rivoluzione non poteva riconoscere gli impegni assunti da una potenza imperialista (ne fecero le spese più di un milione e mezzo di francesi che alla fine dell’Ottocento, sollecitati dall’accattivante slogan «Aiutare la Russia è aiutare la Francia», avevano sottoscritto titoli per 12 miliardi di franchi oro).
La lenta ricostruzione delle finanze statali fu bruscamente interrotta dal crollo del ’29 che impose a tutti i Paesi colpiti dalla crisi interventi di varia natura per assicurare un tozzo di pane a milioni di disoccupati, per sostenere le imprese, per avviare grandi campagne di lavori pubblici, per riqualificare la manodopera. Il New Deal è soltanto il più noto dei programmi realizzati negli Anni Trenta, ma un impegno non dissimile fu messo in campo dalla Francia e dall’Inghilterra. Quando l’Europa e gli Stati Uniti incominciavano a vedere la luce in fondo al tunnel della Grande Depressione, scoppiò la Seconda guerra mondiale che, al pari di quella conclusasi vent’anni prima, fece esplodere l’indebitamento spingendolo a livelli mai raggiunti in precedenza con il risultato che, alla fine della guerra, oltre il 40% degli Stati dichiarò la propria impossibilità a rimborsare i debiti o fu costretto a chiederne la ristrutturazione.
Il peso del Welfare. Anche nel XX secolo, come in passato, la fluttuazione del debito statale è stata largamente influenzata dalla guerra e dalla pace. Ma negli ultimi cento anni a determinare la sua espansione pressoché ininterrotta contribuì in misura decisiva il passaggio dal warfare state al welfare state. Niall Ferguson ha proposto al riguardo l’illuminante esempio inglese. «Nel 1898 la spesa pubblica lorda equivaleva solo al 6,5 per cento del pil. Nel 1998 il valore del dato equiparabile è stato del 39 per cento. Nel 1898 la voce più grossa era la difesa (36 per cento delle spese), seguita dal servizio del debito (21 per cento) e dall’amministrazione civile (20 per cento). Poco più del 10 per cento veniva speso per “istruzione, arte e scienza”. Nel 1998 le spese più ingenti erano destinate alla previdenza sociale (30 per cento), alla salute (17 per cento) e all’istruzione (12 per cento). Le due principali voci del secolo precedente, difesa e servizio del debito, ora incidono solo per il 7 e il 9 per cento».
Non c’è stata solo una marcata ricomposizione della spesa; c’è stato anche un cospicuo aumento delle uscite difficile da fronteggiare con le sole imposte senza suscitare la reazione dei ceti più colpiti. In Italia, per fare un solo esempio, tra il 1950 e i primi Anni 90, la spesa pubblica è passata dal 25 al 55% del pil; il debito pubblico è cresciuto dal 43% a oltre il 100%. Un aumento tanto imponente non suscitò grosse preoccupazioni negli anni del miracolo economico, ma quando la crescita incominciò a rallentare i nodi vennero al pettine e oggi ci troviamo di fronte a un quesito angoscioso: riusciremo, noi e i nostri figli, a rimborsare i debiti accumulati, o andremo incontro alla catastrofe?