Vittorio Zincone, Sette 28/6/2013, 28 giugno 2013
«ALL’ITALIA SERVE UN ATATÜRK PER IL TERZO MILLENNIO»
[Intervista a Davide Traxler] –
Davide Traxler, classe 1968, è un manager del lusso e un paladino anti-austerity. Ha lavorato con Bulgari e da dieci anni è con Chopard, produttore svizzero di orologi e di gioielli. Ogni tanto interviene sull’Huffington Post con invettive per richiedere più polizia nelle strade o per incentivare i consumi. L’intervista si svolge in una boutique di via del Babuino, a Roma. Poco prima del nostro incontro Traxler ha concluso la vendita di un diamante che vale più di un milione di euro. Al polso ha un cronografo d’oro pesantuccio con cinturino di gomma. Dice: «Siamo un Paese incredibile. Vessiamo chi spende per acquistare automobili, barche e gioielli, e poi lasciamo che la criminalità invada le spiagge con un sistema di vendita capillare di prodotti contraffatti». Spiega: «I grandi gruppi del lusso hanno cominciato a ridurre i punti vendita italiani». Dopo qualche minuto che stiamo parlando, chiedo: «Se avesse la possibilità di sussurrare al suo orecchio, quale suggerimento darebbe a Enrico Letta?». Risposta secca: «Gli direi di sorridere». Partiamo da qui.
Sorridere?
«Torniamo all’ottimismo».
Questa è una vera risposta berlusconiana.
«L’ottimismo non è una prerogativa berlusconiana. L’economia reale dipende molto dall’aspettativa: chi è pessimista non spende. Da noi ormai lo sport nazionale è essere incazzati. C’è più joie de vivre a Beirut che a Milano».
Con le tasse sulle imprese che superano il 70% la joie de vivre appassisce.
«Se con quelle tasse si ottenessero servizi scandinavi non sarebbe un problema. Ma con servizi angolani…».
Non esageri.
«No, infatti. Vivo a Firenze e in Toscana la sanità è eccellente. Ma altrove? Parlando del mio settore: le tasse sui beni di lusso sono giuste, figuriamoci. Quello che non va è la demonizzazione».
Di che cosa parla?
«Fino a qualche anno fa, se circolavi con un’auto super sportiva per le vie di Milano venivi accolto con ammirazione. Ora ti inseguono gridandoti “evasore” o “ladro”. Il governo Monti è stato un vero spartiacque. Con il sobrio professore si è imposta un’equazione austera: se spendi sei cafone. O hai qualcosa di brutto da nascondere. Così gli italiani hanno cominciato a comprare gioielli all’estero e a ormeggiare le loro barche in Croazia. Da noi il messaggio è chiaro: se acquisti beni di lusso, ti veniamo a controllare».
Chi ha la coscienza pulita non dovrebbe temere un controllo.
«Un accertamento fiscale è sempre una scocciatura gigantesca per un imprenditore. E comunque ci sono cittadini che legittimamente non vogliono che si sappia come spendono i loro soldi».
Spesso perché li hanno guadagnati in modo illecito.
«Non è detto. Durante il mese dell’amante…».
Il mese di che cosa, scusi?
«Dell’amante. Gennaio. Chi lavora nel lusso lo sa: dopo aver passato Natale e Capodanno in famiglia, chi ha un’amante deve farle un bel regalo. Molto semplicemente quella spesa non deve comparire, non deve essere tracciabile. E l’evasione non c’entra. Capita anche a chi vuole fare un dono alla figlia diciottenne del primo matrimonio odiata dalla seconda moglie, o a chi non ha fatto coming out e vuole acquistare un regalo al fidanzato omosessuale. Ecco, ora tutte queste persone per fare acquisti oltrepassano la frontiera dove la tracciabilità delle spese non esiste».
Ammetterà che sta parlando della nicchia della stranicchia dei consumi.
«Parlo di un settore, quello del lusso, che in Italia sta crollando. Gli altri non se la passano meglio. Frequento molti imprenditori, soprattutto del Nord Italia. Qualcuno sta decidendo di abbandonare il pessimismo, anche continuando a investire i risparmi nelle imprese, ma c’è disperazione in giro. E sa da quando è cominciato il tracollo?».
Da quando?
«Da quando l’Europa ha deciso che potevamo reggere la competizione con la Cina. Da quel momento le aziende italiane hanno cominciato a chiudere. Gli unici che hanno retto il confronto sono gli imprenditori del lusso. Ma a loro, appunto, ci ha pensato Monti».
Da molti Monti è considerato un salvatore della patria. Il suo governo ha messo i conti a posto.
«Il fallimento dell’austerity montiana è evidente. E tutte quelle tasse non hanno portato i frutti previsti. Ricorda quando c’è stato l’aumento drastico del prezzo della benzina? Beh, lì chiunque nella sua vita abbia venduto anche solo un chiodo avrebbe capito che si doveva intervenire. Perché con il carburante a quelle cifre le strade si sarebbero svuotate e la domanda sarebbe crollata. Invece i professori non fecero nulla. E dimostrarono quanto poco contatto avevano con il Paese».
Con Letta è cambiato qualcosa?
«Ci sono piccoli segnali. Ma è presto per giudicare. Affinché dall’estero si ricominci a investire in Italia si dovrà mettere mano alla nostra burocrazia grottesca. Lo sa che se voglio cambiare il responsabile di una boutique ci sono città in cui mi impongono di chiudere il negozio per due mesi?».
A cena col nemico?
«Posso dire qualsiasi nome?».
Anche Bin Laden o Ahmadinejad.
«Lo sa che in Iran non si può vendere l’oro?».
Non lo sapevo. Scelga: a cena con Monti o con Ahmadinejad?
«Monti è davvero sgradevole. È peggio di Ahmadinejad».
Lei ha un clan di amici?
«Ne ho di antichissimi. Cito Lucio, imprenditore».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Sono troppo duro con i miei figli».
Quanti anni hanno?
«Marta ne ha 23, Bianca 15 e Vieri 12. Anche mio padre si chiamava Vieri. Era ambasciatore».
Lei ha avuto un’infanzia da globetrotter?
«Sono nato a New York. Ho vissuto in Brasile, a Milano».
Che studi ha fatto?
«Scuole francesi, collegi…».
Ha mai fatto politica?
«No. Ma alle ultime elezioni un partito di sinistra mi ha proposto una candidatura».
Perché ha rifiutato l’offerta?
«Perché non sono di sinistra. Capisco che in Italia non sia una ragione sufficiente. Ma per me lo è».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Sposarmi a ventisette anni con Francesca».
Come mai non ha seguito le orme diplomatiche di suo padre?
«La diplomazia non paga. Mi misi a fare il rappresentante».
Di orologi?
«No di mobili e di divani. Il primo anno fu durissimo. Ho girato per mesi tutte le fiere del mondo senza vendere un pezzo. Lione, Francoforte, Parigi, Singapore. Spendevo, ma non portavo a casa un contratto. Alla fine, a Hong Kong, un signore cinese di nome Leung, mi si avvicinò e mi disse: “Ti ho visto un po’ ovunque. Lavori duro. Ti faccio un ordine”. Fu la mia salvezza».
Come si passa dai divani agli orologi preziosi?
«Un manager non ha bisogno di conoscere nel dettaglio il prodotto da vendere».
Vuol dire che lei non sa nulla degli orologi che mette sul mercato?
«Non saprei costruirne uno. Ma so, per esempio, che esiste solo una donna al mondo che lavora la spirale di un nostro modello con una determinata tecnica. Da otto anni cerchiamo di trovarle un erede. Ma non ci riusciamo».
Che cosa guarda in tv?
«Faccio zapping fino allo sfinimento. Poi vado a letto».
Il film preferito?
«La grande illusione di Jean Renoir».
La canzone?
«Wish you were here dei Pink Floyd».
Il libro?
«Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Non faccio la spesa. In compenso conosco orari e prezzi di tutti i benzinai d’Italia. Dove conviene fermarsi e dove no».
Conosce l’articolo 41 della Costituzione?
«No».
È quello che parla anche dell’utilità sociale dell’impresa.
«Ottimo. L’impresa deve tutelare le persone e il merito».
Conosce i confini della Turchia?
«Grecia, un po’ di staterelli dell’ex Unione Sovietica, Siria…».
Con il governo di Erdogan o con i ragazzi di Gezi Park?
«Sono con i ragazzi. E con lo spirito laico di Atatürk. Non sarebbe male avere da noi un Atatürk del Terzo Millennio».