Wlodek Goldkorn, L’Espresso 28/6/2013, 28 giugno 2013
NON VINCE CHI METTE IL VELO ALLE DONNE
[Colloquio Con Amin Maalouf] –
Sono al potere in Egitto, Tunisia, Turchia. Hanno un’influenza enorme su tutto il mondo arabo e islamico: da Ankara nel cuore dell’Asia fino al Marocco nell’Africa nordoccidentale. Ma i Fratelli musulmani hanno perso la loro chance. Hanno fallito. E ora tutte le possibilità sono aperte; da una serie di guerre civili (Siria docet) fino invece alla crescità di uno spazio pubblico e di società capaci di darsi regole democratiche. È quanto dice dell’universo musulmano un osservatore e testimone d’eccezione Amin Maalouf. Scrittore famoso e finissimo (tra i suoi libri: "Le crociate viste dagli arabi", "Leone l’Africano", "Col fucile del console d’Inghilterra", "Gli scali del Levante", "Identità", "Il periplo di Baldassarre", " I disorientati"), premio Goncourt, accademico di Francia, Maalouf ha 64 anni, è nato in Libano in una famiglia di cristiani, padre giornalista celebre, nonna di orgini turche, ambiente cosmopolita e poliglotta. E mentre il padre riceveva nel salotto i premier e i potenti dell’economia, lui il giovane Maalouf nella sua stanza leggeva Marx e Trotskij e a 17 anni incontrava sovversivi dell’universo intero. Sognava un mondo senza confini né divisioni per appartenenze d’origini e religiose. Arrivò la guerra civile e nel 1976, con la moglie e i due figli, se ne andò a Parigi.
Di politica non si occupava più. Ora in questa intervista con "l’Espresso", nel salotto della sua bella casa molto borghese e molto francese in un quartiere bene di Parigi (l’unico segno del Levante, il caffè turco e i pasticcini libanesi) in occasione della sua partecipazione alla Milanesiana (vedi box), Maalouf accetta di entrare nel vivo delle questioni che travagliano la sua regione natia, di tracciare un bilancio provvisorio delle primavere arabe, e di fare qualche previsione sul futuro. Parlata lenta, pensiero metodico, insiste che per esprimere qualunque parere occorre partire da lontano, dalle origini delle cose e delle parole. In questo caso, da una categoria in apparenza solo sentimentale, ma che per lui è politica: l’amore. Dice: «L’amore significa guardare l’altro come una persona, abolendo la questione dell’appartenenza. È una sfida quindi all’esclusione e al fanatismo. Lo sguardo d’amore è uno sguardo liberatorio».
Quello dell’identità e dell’appartenenza è un punto preliminare di ogni discorso, perché lui (un po’ come il nostro Alex Langer) ha consacrato la sua vita - assumendo la posizione di un eremita indignato, nostalgico di un impero multinazionale - all’elaborazione di modi, pratici e teorici, per "tradire", per uscire dagli angusti confini della comunità. Senza questo sforzo, niente pace e niente democrazia. Per questo dice: «Bisogna fare un esame di identità così come si fa un esame di coscienza, per capire quali sono le nostre varie appartenenze. E più appartenze differenti (nascita, letture, esperienze) abbiamo, più siamo aperti ad altri. Ciascuna appartenenza crea legami» e quindi aiuta a costruire una società civile.
Facile dirlo. Ma poi la realtà concreta della regione è quella del ruolo crescente delle religioni e dei fanatismi. Maalouf rifiuta spiegazioni frettolose e parziali in proposito. Riporta la rinascita delle religioni al crollo, in tutto il mondo, delle ideologie. «Il Novecento è stato teatro di due ideologie antireligiose: il comunismo e il nazismo; e perfino Mussolini all’inizio era un feroce anticlericale. Le ideologie sostenevano che si potesse fare a meno delle religioni. Oggi sappiamo invece che si può fare a meno delle ideologie, quindi torna forte il bisogno di appartenenza religiosa». Prima di affrontare la specificità islamica continua a battere sul tasto universalistico: «Viviamo in tempi di vertigine, dove la velocità di cambiamenti tecnologici scombussola le nostre certezze. C’è la sensazione che il progresso tecnico sia molto più celere di quello morale. E così, cercando il senso della vita, l’aspetto spirituale della religione è oggi più seducente che non ai tempi dell’Illuminismo e del Razionalismo». Ed eccoci arrivati al mondo arabo; retto per decenni da regimi nazionalisti e "marxisteggianti" (falliti con la guerra del 1967, ma sopravvvissuti per alcuni decenni a se stessi). «I nazionalisti semplicemente volevano controllare l’economia. I filosovietici guardavano all’Urss perché rifiutavano i valori occidentali». Dalla loro sconfitta sono emersi i Fratelli musulmani (che dal punto di vista del rifuto dell’Occidente sono un elemento di continuità con le forze "marxisteggianti"). «E non scordiamoci l’Iran, una rivoluzione che si è data un aggettivo "islamica", mai successo prima».
E i ragazzi di piazza Tahrir? Erano uguali ai nostri figli. Chiedevano libertà. Invece hanno subìto una terribile sconfitta, come la rischiano oggi i giovani di piazza Taksim. Maalouf alza la voce: «Quando ci penso provo un immenso dolore». Poi tenta una spiegazione un po’ leninista. «Quei ragazzi che lottavano per la dignità umana (in un regime dittatoriale le persone non sono rispettate); che portavano avanti rivendicazioni sociali (data la crisi economica, la corruzione, il divario tra i ricchi e coloro che non hanno speranza di futuro) non erano interessati al potere». Precisa: «Avevano e hanno una grande padronanza delle tecnologie sofisticate e molta immaginazione, gli manca l’idea che occorre organizzarsi, conquistare appunto le leve dello Stato, ne sono anzi, disinteressati. In Egitto volevano le dimissioni di Mubarak. Arrivate queste, non sapevano più che fare». Così è emersa l’altra forza, radicata nella società, i Fratelli musulmani. «Non credo volessero manipolare la rivoluzione. C’era il vuoto di potere. Loro si sono presentati alle elezioni e le hanno vinte». Ma è una vittoria che pone più problemi di quanti ne risolva, dice lo scrittore. «È il doppio linguaggio che è destinato a portarli in un vicolo cieco. I Fratelli musulmani quando si rivolgono al mondo esterno parlano di un Islam responsabile e aperto (alcuni di loro la pensano davvero così). Quando invece hanno a che fare con i ceti popolari, con gli elementi meno istruiti della società dicono: bisogna mettere il velo alle donne, imporre la sharia, la legge coranica». E allora qual è il problema? «Il doppio linguaggio, finché i Fratelli musulmani erano all’opposizione, ha funzionato bene. Hanno avuto rapporti internazionali importanti e nello stesso tempo hanno potuto conquistare consenso e popolarità tra la gente. Però, una volta al potere il doppio registro non può funzionare. Occorre prendere decisioni». Prosegue: «Un mio amico dice "al Cairo c’è gente che ha in mano il potere ma mancano loro le istruzioni per l’uso"». Spiega: «Non hanno un progetto per il futuro, perché imporre la sharia non è un progetto».
All’obiezione che l’idea di imposizione della legge coranica è assai popolare in tutto il mondo islamico (compresa la Turchia) e quindi è un programma politico in quanto ideologia di massa, Maalouf risponde: «No. È solo un’illusione. Illusione diffusa, ma non realizzabile nel mondo di oggi». Riflette: «In questo marasma vedo un aspetto positivo. È stato posto il problema del ruolo della religione nello Stato. Il discorso religioso è costretto a confrontarsi con la realtà del mondo: cosa impossibile prima della rivoluzione, quando la gente era preoccupata solo della corruzione e della dittatura». Non è ancora uno spazio pubblico come lo intendiamo in Occidente. «Se qualcuno ha pensato che le rivoluzioni arabe potessero ricalcare quella dei garofani in Portogallo, ha sbagliato. Il cammino è lungo e faticoso. Bisogna passare per Voltaire». Prende tempo e dice: «C’era un momento in cui il premier turco, il presidente egiziano e quello tunisino e anche il primo ministro marocchino appartenevano allo stesso movimento politico. Ci si poteva aspettare, soprattutto da parte di qualche persona intelligente (forse in Turchia) una definizione di una nuova visione dell’Islam. L’hanno fatto? No. Ma per essere onesti: i Fratelli musulmani non sono un potere tirannico. Sono in uno stato d’animo che potrebbe portare alla tirannia, ma non c’è ditattura e la società è in fermento. Non possiamo sapere cosa accadrà». Un potere che non sa che fare può essere pericoloso, può essere tentato dalle guerre, soprattutto in Egitto: esterne, interne. Maalouf è tranchant: «Non sono in grado di fare una guerra esterna. E poi, dopo la caduta di Nasser e l’ascesa degli Stati petroliferi, il Cairo non è nemmeno più il centro del mondo arabo».
E in Siria cosa fare? Un lungo silenzio, poi una riflessione: «Un anno fa avrei detto che occorreva intervenire per mettere in piedi un governo di unità nazionale in grado di riformare il Paese e democratizzarlo. Oggi invece c’è il rischio di assistere a un genocidio. Assad è riuscito a sopravvivere trasformando, gradualmente, le manifestazioni pacifiche in un conflitto armato. C’è la guerra civile. Ci sono movimenti in seno all’opposizione che non vogliono instaurare una democrazia. È una tragedia senza sbocco».
In questa tragedia gioca un ruolo preponderante il conflitto tra sciiti e sunniti. «Risale ai tempi remoti, ma è sempre rimasto latente. È scoppiato con violenza durante la guerra dell’Iraq. In questo Paese il potere era sempre stato sunnita mentre la popolazione è a maggioranza sciita. Ora gli sciiti sono al potere. In apparenza è la normalità: la maggioranza governa. Ma in Iraq, un Paese che è un insieme di diverse comunità, non può funzionare questa regola: occorre garantire tutti. In Siria la situazione era rovesciata rispetto a quella irachena: maggioranza sunnita e potere alawita (una setta politicamente vicina agli sciiti). Qualcuno nei Paesi del Golfo ha pensato: ci hanno portato via l’Iraq, noi ci prenderemo la Siria». E comunque il conflitto tra sciiti e sunniti «è un fattore centrale in Iraq, Siria, Libano, nei Paesi del Golfo. Ed è destinato a durare per lungo tempo».
Cambia la geopolitica ma non i simboli. Il conflitto tra gli israeliani e i palestinesi: «Non è più centrale in quanto conflitto. Lo rimane invece sul piano affettivo e dell’immaginario». E così si torna al punto di partenza di questa conversazione: l’idea che abbiamo dell’altro. La domanda è semplice, perché il maschio integralista è così disturbato alla vista di una donna senza velo o nuda? Forse perché l’erotismo è sovversivo? Maalouf di nuovo cerca di rendere il discorso universale: «Ogni tirannia morale tenta di controllare le relazioni tra uomo e donna. E la liberazione sessuale ha qualcosa in comune con la sovversione». E quindi una questione di potere l’erotismo e il ruolo della donna nel mondo arabo? La risposta è desolante: «Le racconto una storia. Dopo l’11 settembre su un canale tv ho visto un dibattito con degli arabi che vivono negli Stati Uniti. La domanda posta loro era: come si sentivano in America. Con mia sorpresa, hanno voluto parlare, in un modo ossessivo, di una sola cosa: non bisogna permetere che la figlia abbia un boy-friend. Paragonato a quello che stava succedendo, mi è sembrata una cosa grottesca. Una mancanza d’immaginazione. Abbiamo a che fare con una grande religione, cui aderisce il 25 per cento dell’umanità e che ha prodotto saggi filosofici e opere letterarie. Non posso credere che il contributo di questa civilizzazione all’umanità che si pone tante questioni sul mondo che cambia, sia coprire il volto delle donne. È un nodo che un giorno va sciolto».