Lirio Abbate, L’Espresso 28/6/2013, 28 giugno 2013
COSÌ EDUARDO TRUFFÒ CAMORRA E VIMINALE
Più che una trama è una commedia napoletana, tutta scritta da Eduardo. Non il grande, ma il suo emulo Eduardo Tartaglia, 59 anni, produttore di show e film per Rai e Medusa nonché ex impiegato di banca, riciclatore per evasori, camorristi, uomini di Stato e 007. Uno che oscillava sempre tra miseria e nobiltà: trascorreva molte giornate all’Hotel Vesuvio in una camera con vista sul Golfo e quando andava a Roma usava come autista un poliziotto della Stradale, con tanto di lampeggiante blu. Faceva una vita da signore spendendo 30 mila euro al mese, ma gran parte dei soldi li sottraeva dai capitali che gli affidavano i suoi ricchi clienti. Frequentava soubrette e magnati, attori e politici: stava persino per trascinare in un affare il portiere della Nazionale Gigi Buffon, fresco campione d’Italia con la Juventus, che all’ultimo ha fiutato il tiro malandrino da un milione di euro. Come in tutte le sceneggiate, però, il cuore resta alla famiglia: il cugino Francesco La Motta, uno che ha fatto carriera e conosce tante persone ancora più importanti. Prefetto e poi numero due del Sisde e dell’Aisi, il servizio segreto civile. Insieme Franco ed Eduardo hanno realizzato un colpo che supera ogni immaginazione: portare via i quattrini del ministero dell’Interno. Dieci milioni di euro sottratti dalla cassa del Viminale che in base al Concordato con il Vaticano si occupa di restaurare chiese e cattedrali: il Fondo edifici di culto (Fec). E, come se non bastasse, l’abile Eduardo per spostare il malloppo ha usato gli stessi canali svizzeri attraverso cui ripuliva i tesori del clan Polverino.
ORO E URANIO. Il prefetto La Motta è stato direttore generale del Fondo edifici di culto dal 2003 al 2006, prima di passare al vertice degli 007. Per il grande colpo, oltre a Tartaglia e al broker elvetico Rocco Zullino - tutti arrestati per riciclaggio - avrebbe contato sulla complicità di alcuni funzionari del Viminale, sui quali si sta indagando. Perché l’operazione è partita con tutti i crismi della legalità, autorizzando l’assurdo: il trasferimento in Svizzera di risorse del governo italiano. Poi tra falsi formali e taroccamenti reali, i dieci milioni sono finiti da una banca svizzera, la Hottinger, a una finanziaria ticinese, la Silgocom di Chiasso, e fatti sparire. Agli atti dell’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros c’è pure un deposito bancario aperto in Svizzera con l’intestazione "Aisi Roma" che farebbe riferimento alla nostra intelligence. Lì gli estratti conto danno sfoggio di fantasia: sono state acquistate azioni di un giacimento d’uranio in Canada della società Trison uranium corp, e altri investimenti per finanziare una miniera d’oro, la Gold Eagle mines ltd. Sarà vero?
SOLDI IN SVIZZERA. L’indagine parte quando il Viminale si rende conto dell’ammanco e denuncia tutto alla procura di Roma. Ma il pm Paolo Ielo incrocia subito il lavoro dei colleghi napoletani coordinati dall’aggiunto Gianni Melillo, che da tempo erano sulle tracce dei rapporti tra Tartaglia, La Motta e i camorristi. Così si è arrivati all’arresto del prefetto, che da pochi mesi era andato in pensione, ma aveva proseguito la collaborazione con l’Aisi grazie a un contratto di consulenza che gli ha garantito ufficio, segretaria, auto blu e chauffeur.
I paradossi di questa storia sono sintetizzati dalle parole del gip di Roma che ha disposto i provvedimenti cautelari: «La condotta degli indagati che ha consentito di realizzare quello che il pm ha definito, con linguaggio forbito, un ossimoro istituzionale, ma che più prosaicamente costituisce un’indicibile beffa per i cittadini, che in un’epoca di necessaria austerità, debbono apprendere dai giornali che soldi pubblici gestiti da un ministero, quello dell’Interno, che opera per la sicurezza pubblica erano andati a confluire su un conto, poi svuotato, per effettuare trasferimenti a favore di una società svizzera a cui erano pervenuti anche soldi provenienti dalla criminalità organizzata».
DOPPIO INGANNO. Dopo l’arresto Eduardo Tartaglia ha deciso di rispondere alle domande dei pm di Napoli e Roma, ricostruendo nel verbale del 7 giugno come ha truffato non solo il ministero dell’Interno ma anche i camorristi. Nel suo racconto l’ex impiegato di banca, in parte confuso e a volte omissivo, parte da lontano, da quando conosce gli imprenditori Nicola Imbriani e Castrese Paragliola, oggi in carcere perché accusati di collusioni con il potente clan Polverino. Li avrebbe aiutati a depositare in Svizzera somme di denaro di cui non conosce la provenienza esatta, ma che gli inquirenti sospettano possano essere profitti dei boss. E nella stessa finanziaria arrivano pure i soldi stornati dal prefetto La Motta che diventano un piccolo tesoro per Zullino e Tartaglia che iniziano a utilizzarlo per «uso personale». Zullino, secondo i carabinieri di Napoli, non è altro che «un fantoccio che Tartaglia manovra».
Il crollo delle Borse ha decimato gli investimenti realizzati dalla coppia per conto dei clienti, che reclamano con insistenza i guadagni promessi. Così per tamponare le richieste i due cominciano a usare il deposito del Viminale come un bancomat. «Era diventata una catena di Sant’Antonio», ricorda Tartaglia, il quale aggiunge: «Venivano fatti prelievi falsificando le firme di La Motta». Il pm è perplesso: «Non è plausibile sul piano logico che una persona sensata, per far fronte a debiti che ha nei confronti di privati, si appropri di fondi riconducibili a organizzazioni camorristiche o al ministero degli Interni». Tartaglia replica senza scomporsi: «Con queste persone ero entrato in una forte amicizia, mi davano ampio margine a operare. È follia quello che ho fatto, ma non sto dicendo bugie. Io mentivo a loro sui rendimenti dei loro investimenti e mi sono ritrovato esposto».
Secondo gli investigatori molti di questi clienti-amici potrebbero essere imprenditori che hanno nascosto quattrini al fisco e li volevano mettere al sicuro all’estero. Il broker ne indica alcuni: «Il gruppo Vitale con il quale avevo una esposizione di tre milioni, il gruppo Gimelli (due milioni), Sarto e Castellucci (farmacisti, due milioni), Luigi Russo (un milione) ed altri». «Posso quantificare il "buco" economico che ho creato a questi clienti, circa dieci milioni di euro che ho recuperato grazie alle somme prese dal Fec e da altri investitori, che erano ignari delle mie operazioni». Tartaglia sostiene che era sua intenzione ripagare i debiti: «Agivo con l’intenzione di poter rientrare con varie operazioni e con qualche attività personale che avevo avviato».
A TUTTO SHOW. Assieme al figlio, infatti, Tartaglia ha creato la Mitar Group che realizza spettacoli teatrali, show e persino alcuni film trasmessi da Rai2. Interprete principale un attore napoletano omonimo: anche lui Eduardo Tartaglia. Titoli da "Divieto di svolta" con Peppino Di Capri a "Il mare non c’è paragone" con Sabrina Impacciatore e Aldo Giuffrè fino a "La valigia sul letto", con Biagio Izzo e Alena Seredova, moglie di Gigi Buffon. Tartaglia vanta con la coppia Buffon una buona amicizia. «Con il mio lavoro di produzione cinematografica guadagnavo duecentomila euro l’anno e volevo investire in alcune operazioni in Australia e in questo volevo coinvolgere Buffon, con il quale parlai per farlo entrare nell’affare». Gli appunti sequestrati dai carabinieri negli uffici di Tartaglia documentano il tentativo di agganciare il portiere. I due si sarebbero visti prima del match fra Napoli e Juve che si è concluso con un pareggio, spianando la strada allo scudetto bianconero. Ma Buffon si tira indietro e il progetto da un milione salta.
SCALATA ALLA RAI. Anche sullo show business gli inquirenti hanno più di un sospetto. Tartaglia spiega: «La Mitar Group è una società le cui quote sono divise a metà con mio figlio e si occupa di produzione cinematografica e teatrale. Abbiamo una sede a Napoli e una a Roma dove vive mio figlio. I nostri film sono stati finanziati da Medusa e da Rai Cinema e abbiamo avuto anche finanziamenti dai Beni culturali, ma non mi ha mai segnalato nessuno». E aggiunge: «Il prefetto La Motta non mi ha mai raccomandato presso dirigenti o funzionari della Rai per favorirmi nell’ottenere lavori e produzioni». I pm di Napoli Antonello Ardituto e Marco del Gaudio insistono. E lui precisa: «Avevo interesse che Francesco La Motta mi introducesse in alcuni ambienti che per me erano utili per le attività di produzione che svolgevo».
Sono i carabinieri in una relazione a radiografare le mire di Tartaglia sulla tv di Stato e il modo con il quale tenta di farsi largo utilizzando il nome del cugino, il prefetto La Motta. Quest’ultimo, secondo gli investigatori, «profonde ogni suo sforzo nella spamodica scalata alla Rai intrapresa da Tartaglia, assecondando appieno l’ossessione del cugino di conquistare un posto nel dorato empireo dello spettacolo. Dall’alto del suo incarico e sfruttando il prestigio che la carica istituzionale gli conferisce, il tentacolare prefetto si destreggia amabilmente tra i meandri della politica e dello spettacolo, avendo come fine unico la consacrazione della Mitar group in ambito nazionale».
Uno scenario confermato dalle intercettazioni. A dicembre del 2011 Tartaglia e La Motta discutono al telefono dei regali da fare a politici e uomini della Rai. Parlano di una cena con Alessio Gorla, all’epoca consigliere della tv pubblica e dei doni da lasciare a lui e alla moglie Daniela. Poi pensano anche ai regali per i "capoccioni": Fabrizio Del Noce, Mauro Mazza, Lorenza Lei e Antonio Marano. Tra febbraio e aprile del 2012 il prefetto e suo cugino si muovono per incontrare dirigenti Rai, politici e persino Gianni Letta. Negli atti si cita pure un regalo che Tartaglia compra per la fidanzata del figlio di La Motta, l’ex annunciatrice ed eurodeputata berlusconiana Barbara Matera omaggiata con collana di Hermès. Lo sfarzo di Mister Eduardo si faceva notare. Spendeva fino a trentamila euro al mese «oltre che per il mio piacere personale anche per la necessità di mantenere un alto tenore di vita, tutto ciò mi era utile per rappresentare all’esterno la mia credibilità, e tutto ciò mi consentiva di continuare a raccogliere i risparmi dei clienti». Ogni Natale per i regali vip investiva anche 60 mila euro.
Quando nel gennaio 2012 arrestano a Brugine, in Veneto, Nicola Imbriani, uno degli affiliati di "prestigio" del clan camorristico Polverino, che era stato una presenza costante nella vita di Tartaglia, legato anche durante la latitanza da un fitto scambio di sms, il produttore inizia a versare somme di denaro al figlio dell’affiliato al clan, perché afferma ai pm «ne avevo avuto compassione». Tra l’altro, gli saldava il conto del negozio dove il giovane comprava «scarpe Hogan e camicie Fay», giusto per non cadere di stile. I magistrati che lo interrogano saltano sulla sedia: tanto denaro per compassione del figlio di un indagato per camorra? Tartaglia comprendendo di averla detta grossa, cerca di chiarire le sue dichiarazioni: «Avevo sottratto parte dei soldi che Imbriani mi aveva affidato: mi sentivo in colpa e versando mensilmente una somma cercavo di evitare che lui e il figlio potessero scoprire l’ammanco».
AGENTE SCANSACODE. Il racconto dei suoi viaggi da Napoli a Roma è l’apoteosi del furbetto. «Un agente della polizia stradale, originario di Santa Maria Capua Vetere, che conosco da molti anni, mi accompagnava in macchina, fuori dal servizio, e mi faceva da autista nei miei viaggi a Roma. Utilizzavamo la mia autovettura Audi A6 che avevo a noleggio e talvolta il poliziotto portava pure un lampeggiante che sistemava sul tetto per evitare il traffico». I magistrati chiedono se il lampeggiante lo utilizzava per evitare i controlli: «No, la finalità era evitare il traffico. E a questo poliziotto non gli davo alcun compenso, lo faceva solo per amicizia». Non è l’unica divisa a disposizione. Durante la prima di uno spettacolo a Napoli attraverso un amico poliziotto si è garantito il servizio d’ordine con sei agenti in borghese davanti al teatro. Ma grazie al cugino prefetto poteva mettere in scena altri effetti speciali: far saltare la coda e la dogana agli amici in partenza per Parigi da Fiumicino. Provvedeva un agente dei servizi, che solerte interveniva per garantire la partenza rapida e sicura. Cosa si può volere di più?