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 2013  giugno 28 Venerdì calendario

CROAZIA NELLA UE SENZA ENTUSIASMO

ZAGABRIA. Dal nostro inviato
Con l’entusiasmo fiaccato da cinque anni di recessione, la Croazia, dal primo luglio, entra a far parte dell’Unione europea.
«La nostra economia è agganciata all’Europa occidentale da tempo. Anzi, dipende dai grandi Paesi vicini come Italia e Germania. Ma entriamo ufficialmente nell’Unione con una struttura economica non competitiva», dice Boris Cota, advisor economico della Presidenza della Repubblica, dal suo studio all’Università di Zagabria. «Abbiamo l’obbligo di puntare tutto sull’export - aggiunge Cota - ma poche nostre produzioni sono adatte ai mercati internazionali. E in tempi di crisi, gli stessi problemi dell’Unione (produttività, crescita, equilibri di bilancio) a Zagabria diventano più gravi. Mi aspetto qualche anno non facile poi, soprattutto se arriverà la ripresa, le cose dovranno migliorare per forza».
Nel governo e nelle strade affollate di Zagabria ci sono alcune certezze condivise. Per quanto riguarda l’economia nazionale e il benessere delle famiglie, diventare il 28esimo Stato dell’Unione, porterà nel breve periodo pochi vantaggi e forse qualche problema in più, mentre la speranza è aggrappata agli effetti di medio-lungo periodo. Sul piano politico, far parte dell’Europa è innanzitutto una scelta obbligata che, pur avendo perso buona parte del suo valore ideale, chiude in modo definitivo la tragica stagione delle guerre nei Balcani. «Non so bene cosa aspettarmi dall’Unione europea mi sembra che il nostro posto sia quello, che non ci sia alternativa migliore. Ma se guardo alla crisi greca o alle difficoltà e alle tensioni sociali di Spagna e Italia non riesco bene a capire quale sarà il nostro futuro», dice Sandra Grabic, studentessa di filosofia. Di fretta attraversa Vlaska ulica, a non più di cento metri dalla cattedrale. In alto una grande lapide ricorda i sette morti e gli oltre 200 feriti del bombardamento del 1995: «Dovevo ancora nascere, parliamo d’altro, la guerra è il passato». E poi, con orgoglio e qualche timore aggiunge: «L’Unione europea non può risolvere i problemi della Croazia. Magari ci darà una sveglia, ma siamo noi ad avere in mano il nostro destino».
Neven Mimica è l’attuale vicepresidente del governo progressista in carica da fine 2011, ed è stato designato come commissario Ue, il primo per la Croazia, alla Protezione dei consumatori. «L’Unione europea per noi rappresenta una sfida», dice. «Già il processo di avvicinamento agli standard Ue ha avuto ricadute positive ad esempio sul sistema giudiziario e sulla pubblica amministrazione. Sono convinto - spiega Mimica - che la possibilità di muoversi, viaggiare e lavorare con gli stessi diritti di italiani e tedeschi, l’accesso a un mercato di 500 milioni di consumatori e la possibilità di usufruire dei fondi strutturali e di coesione daranno grande impulso all’economia. L’appartenenza all’Unione è in ogni caso una garanzia per gli investitori».
Il settore industriale croato si basa soprattutto sui cantieri navali, sull’alimentare e sui prodotti farmaceutici con il colosso Pliva, sull’energia. Mentre il turismo, nei servizi, vale da solo oltre il 20% dell’economia nazionale. Ma la Croazia - 4,4 milioni di abitanti, un Pil che vale un terzo del Veneto e un Pil procapite pari alla metà della media Ue - è stata colpita duramente dalla crisi internazionale a causa soprattutto dei suoi forti legami con la zona euro: dal 2008 ha perso quasi il 12% del suo prodotto interno lordo e l’economia potrebbe contrarsi anche quest’anno, nonostante le rassicurazioni del governo. Mentre il tasso di disoccupazione sfiora ormai il 21% con un record del 40% tra i giovani. Il governo spera nei finanziamenti europei, stima che tra il 2014 e il 2020 il totale dei fondi destinati alla Croazia potrebbe raggiungere i 13,7 miliardi di euro, che anche considerando gli impegni dovuti dal nuovo Stato membro, rappresentano un sostegno di 1,39 miliardi di euro all’anno, pari a circa il 2,7% del Pil.
Con l’ingresso nell’Unione tuttavia la Croazia potrebbe finire subito anche dentro una procedura per deficit eccessivo che le impedirebbe di sfruttare in pieno i fondi. «Sono certo che riusciremo a portare il deficit sotto il 3% del Pil entro il 2016 ma avremo bisogno di alcuni anni in più per risolvere i nostri problemi strutturali, in particolare per riformare il sistema delle pensioni e ridurre il debito pubblico. Per rispettare tutti i criteri di Maastricht serviranno altri quattro-cinque anni, solo allora potremo pensare all’euro e alla possibilità di entrare anche nella moneta unica», afferma il ministro delle Finanze, Slavko Linic. La Commissione Ue stima per la Croazia un deficit pari al 4,7% del Pil quest’anno e al 5,6% nel 2014. Con il debito pubblico destinato a salire ben oltre il 60% del Pil.
«Export, export - ripete il professor Cota - non c’è altra via, abbiamo investito per anni in settori non-tradable e anche gli investimenti dall’estero hanno riguardato soprattutto servizi, come banche, telecomunicazioni, costruzioni». Mostra grafici e serie statistiche: «Abbiamo accumulato un debito con l’estero che vale quanto l’intero Pil. Il turismo che pure è in significativa crescita da solo non basta. Servono innovazione, flessibilità delle regole del lavoro. Servono riforme profonde, dobbiamo riorganizzare la nostra capacità produttiva in funzione dei mercati globali. E non possiamo affidarci alla politica monetaria perché tutto il Paese, dalle famiglie alle imprese al governo, si è indebitato in euro». La moneta locale kuna è informalmente agganciata all’euro: Deutsche Bank calcola che il 70% dei prestiti concessi dalle banche e il 60% dei depositi siano denominati in euro o legati comunque alla moneta europea.
Nonostante la crisi abbia fatto salire al 14% i crediti in sofferenza, il settore bancario croato è considerato molto solido e lontano dalle debolezze della Slovenia con un capital adequacy ratio al 20,5%: più del 90% delle banche è controllato da gruppi internazionali, soprattutto italiani (UniCredit con Zagrebacka è la prima banca) e austriaci ma anche tedeschi e francesi.
«La Croazia porta sulle spalle il peso della sua storia recente, certo le guerre, ma anche le privatizzazioni sbagliate e immorali degli anni 90, la progressiva deindustrializzazione. E ancora oggi come nota dominante, l’influenza negativa della politica sull’attività economica», afferma Predrag Bejakovic, dell’Istituto di Finanza pubblica di Zagabria. «L’ingresso nella Ue darà certo fiducia agli investitori internazionali e potrà aiutare molto il nostro Paese se riusciremo a sconfiggere una sorta di malattia nazionale che chiamerei paternalismo statale: la prima riforma per rilanciare l’economia dovrà riportare efficacia ed efficienza nella pubblica amministrazione. Forse anche qui Bruxelles ci può dare una mano».