Corrado Ocone, Libero 27/6/2013, 27 giugno 2013
«REPUBBLICA», FESTINI, SLOW FOOD ECCO LA NUOVA ARISTOCRAZIA ITALICA
Radical chic non è solo il tipo antropologico individuato con impareggiabile maestria da Tom Wolfe in un articolo, destinato a fare epoca, apparso nel giugno 1970 sul New York Magazine. È anche e soprattutto una «categoria dello spirito umano», ovvero «un atteggiamento, una condizione, un modo» di essere che tende a riprodursi e ad adattarsi alle più diverse latitudini e nelle più svariate situazioni ambientali. È questo almeno il convincimento di Daniela Ranieri, l’autrice di un brillante pamphlet appena uscito per Ponte alle Grazie. AristoDem. Discorso sui nuovi radical chic (pagine 275, euro 16,9). L’ambientazione del «dramma in parecchi atti» che ci viene proposto non è la New York colto-borghese degli anni immediatamente seguenti al Sessantotto, in cui si organizzavano concerti di élite per finanziare gruppetti rivoluzionari marxisti-leninisti.
È, forse più prosaicamente, la Roma in cui la razza padrona ha ceduto il posto alla terrazza padrona. Non la terrazza cafonal di Jep Gambardella, il protagonista dell’ultimo e tanto immeritatamente decantato film di Sorrentino, ma la terrazza «decente» e «perbene» della casa di Corso Trieste 219 ove abita Luciana, la protagonista del libro. Che si presenta come un racconto, vuole essere un «trattatello» (come con perdonabile civetteria lo definisce l’autrice), ma finisce per essere un saggio di costume e persino di filosofia.
Se alla terrazza di Gambardella affluivano scrittori e giornalisti «ammanicati» e potenti veri o presunti, nonché donne più o meno discinte e siliconate, a questa convergono persone sobriamente misurate e opportunamente indignate di come il mondo va ma non dovrebbe andare. Persone «altre», per utilizzare l’idiomatica espressione da loro usata in ogni dove: il loro, autocertificano, è «un sentire altro, un ragionare altro, un comunicare altro». È vero ciò? Il fatto che a certificare la strutturale «diversità» dei secondi terrazzieri rispetto ai primi siano loro stessi, qualche dubbio pur dovrebbe metterlo. Ma a far cascare l’asino, come suol dirsi, è un altro elemento, quello che emerge da un’analisi solamente un po’ più ravvicinata della loro vita e delle loro abitudini. Che è quanto ci propone appunto Daniela Ranieri, la quale ha soprattutto il merito di mostrare la cifra ultima che informa la loro esistenza: la profonda asimmetria fra «teoria» e «pratica», diciamo così, cioè il predicare bene e il razzolare il contrario. In una parola, l’ipocrisia. Tanto che alla fine il democraticismo ostentato è solo di facciata, trattandosi in verità per l’autrice di aristocratico snobismo. E di una malcelata forma di razzismo verso quel popolo che si dice di amare ma che in verità si guarda dall’alto di una non giustificata «superiorità morale».
Il berlusconismo
D’altronde, si dice, se l’italiano è quello che è la colpa non è sua, essendo in verità stato «involgarito da venti anni di berlusconismo». L’idea che si vuole avvalorare è che i poveri di un tempo fossero altra cosa: non avevano falsi modelli in testa, non volevano arricchirsi e imitare la vita di veline e calciatori, vivevano in armonica felicità sapendosi accontentare. Se oggi non lo fanno è perché non sanno riconoscere, poverini!, ciò che è veramente bene per loro. Sono vittime del sistema, ovvero di «quel liberismo sfrenato che ci ha portato sull’orlo di un baratro ».
Cosa fare? Gli aristodem, che in fondo in fondo godono della situazione (se non ci fossero gli altri non ci sarebbero nemmeno loro), pensano ad un modello di produzione «altro» che comporta stili di vita «diversi» e abitudini «più sane e naturali». A cominciare dal consumo di prodotti «naturali», prodotti «biologicamente» e sottratti al controllo (nella produzione e distribuzione) delle multinazionali o peggio delle mafie.
Ecco, allora la mistica del consumo «equo e solidale», del cibo finto-povero, dei prodotti non OGM, dello slow food. Che è un modo non solo di salvarsi la coscienza a buon mercato (spesso gli aristodem vivono delle rendite azionarie delle detestate multinazionali), ma anche e soprattutto di darsi un tono e riconoscersi differenziandosi dal volgo che non sa né può capire. Ça va sans dire che l’aristodem è contro il nucleare, va in bicicletta per non inquinare, giudica incivile chi non fa la raccolta differenziata con la dovuta pignoleria che a lui garantisce il cameriere filippino d’ordinanza.
Il quale può sì ricordare vecchie abitudini di classe, ma solo in chi non sa come stanno le cose: il «collaboratore domestico, sapesse signora, viene trattato come uno di casa, è uno di noi» è la frase che si sente ripetere a ogni piè sospinto. Il che può essere anche vero da un punto di vista fattuale, ma non lo è nel momento in cui questa «eguaglianza» viene ostentata e sottolineata.
Ma, si sa, l’aristodem vive in quanto non solo si sente diverso, ma sa riconoscere i diversi come sé dalla massa. Egli si vive come gruppo, e ciò gli dà sicurezza e forza contro le avversità del mondo. Egli non vuole essere spiazzato, non ama seguire percorsi o tracciati nuovi, odia l’imprevedibile. In una parola, è un conservatore travestito da progressista. L’atteggiamento verso la questione femminile è sintomatico: tutto preso dal ripetere le parole d’ordine del primo femminismo contro lo «sfruttamento» delle donne e contro il maschilismo, non si è accorto che la «liberazione femminile» passa oggi per vie più sottili e che le sue posizioni sono pericolosamente vicine a quelle dei gruppi cattolici più bigotti e tradizionalisti. Non a caso, gli aristodem, che hanno tutti una certa età, non capiscono i loro figli e riproducono quella «lotta generazionale» che un tempo dicevano di voler superare.
Valori fondanti
Il gruppo degli aristodem, come ogni gruppo chiuso e autoreferenziale (e perciò stesso non liberale), si riconosce e autoaccredita per i posti che frequenta, gli autori che legge, le idee preconfezionate in cui crede, le frasi fatte che quasi automaticamente adopera per rispondere alle sollecitazioni del mondo. Legge Repubblica, compra Micromega, cita Bauman, ama i film di Ozpetek, va in vacanza a Capalbio, non segue la televisione tranne qualche raro programma da «servizio pubblico», corre in libreria a comprare l’ultimo libro di Saviano o il giallo con risvolti sociali che lo conferma sull’esistenza di trame occulte o di un «doppio Stato». D’altronde, come Pasolini, un suo idolo, egli dice: «Io so». Non chiedetevi cosa egli sappia, l’importante è che anche voi lo diciate col tono giusto: trattenendo il fiato, con l’aria fra il pensieroso e l’orgasmatico, prolungando un po’ la vocale finale.
Un bel libro davvero quello di Daniela Ranieri, frizzante ma non banale. Lascia solo un dubbio, che formulo così: gli aristodem sono veramente aristocratici oppure sono una delle tante, credo la peggiore, manifestazione del paraculismo italico?