Giuliano Noci, Corriere della Sera 28/6/2013, 28 giugno 2013
O bama e Xi si sono incontrati nella cornice di una Cina che sta cambiando profondamente. Xi Jinping e Li Keqiang conoscono molto bene il mondo occidentale
O bama e Xi si sono incontrati nella cornice di una Cina che sta cambiando profondamente. Xi Jinping e Li Keqiang conoscono molto bene il mondo occidentale. Di più, e assai prima, del milione e mezzo di connazionali che hanno visitato gli Usa nel 2012: una vera e propria esplosione turistica che porta gli Usa ad essere la principale destinazione del turismo cinese fuori dall’Asia, e i viaggiatori cinesi a detenere il primato di spesa pro capite tra tutti i viaggiatori stranieri (con una spesa per lo shopping del 70% superiore rispetto alla media). L’interesse cinese spazia ormai a 360 gradi e, complice la necessità dei governi di privatizzare asset e attirare capitali freschi, la nuova passione asiatica riguarda le infrastrutture: porti, aeroporti, telecomunicazioni e utility. Il boom conferma più di ogni altra cosa come la Cina guardi ormai fuori dai propri confini, in politica ed in economia. Dobbiamo dunque cambiare in fretta la nostra idea sull’ex Impero di Mezzo. Fin qui l’avevamo pensato come un Paese che, sul versante economico, esporta i propri prodotti in nome di un vantaggio di costo e, da un punto di vista politico, è fortemente ancorato a una dimensione interna, in conseguenza anche della sua complessità sociale e culturale. Ma la sua crescita è stata così vorticosa — prendiamo le auto: 4 mln nel 2000; 19 nel 2005; 85 nel 2010; 200 milioni, la stima per il 2020! — che la macchina dell’economia ha bisogno di nuovi cavalli. Si tratta di una crescita che si accompagna con il soft power della cultura e dell’immaginario grazie al moltiplicarsi — 1780! — degli Istituti di Confucio e alla diffusione della Cctv (China Central Television) in lingua inglese e araba. La Cina punta inoltre con decisione sul talento e sul merito, tanto che nascono università cinesi fuori dai confini nazionali: a Londra, partono i corsi dell’Imperial College con l’Università dello Zhejiang. Incoraggia l’apertura di centri di ricerca, fuori dai confini, con l’obiettivo di sviluppare innovazione proprio là dove il mercato è più avanzato: come ha fatto Huawei con il primo laboratorio fuori dalla Cina, a Milano, nell’assunto che il mercato delle telecomunicazioni mobili in Italia sia particolarmente avanzato. Investe all’estero: negli Usa, ad esempio, con una crescita del 300% rispetto al 2007; tra gennaio e febbraio 2013, lo shopping cinese all’estero è addirittura aumentato del 147% rispetto allo stesso periodo del 2012, per un totale di 18,39 miliardi di dollari e il discorso riguarda proprio noi europei tanto che gli investimenti di Pechino in Europa, in costante aumento dal 2008, sono più che triplicati negli ultimi due anni (circa 7,6 miliardi nel solo 2012). Sul fronte identitario, la Cina si è resa conto che non può più essere workshop a basso costo del mondo. Deve quindi affrontare il cambiamento gestendo la dicotomia tra continuità e cambiamento: non può, infatti, permettersi una discontinuità troppo forte. Alcuni investimenti diretti esteri (in Africa e in Asia) si spiegano nella logica della continuità (basso costo); altri sono da interpretarsi in chiave di acquisizione di know how/innovazione (Usa, Ue) e affermano un nuovo posizionamento, una nuova Cina: che non solo esporta ma crea posti di lavoro e rimpingua, attraverso le tasse pagate, le casse degli Stati ospitanti. Un processo di rafforzamento di immagine che è confermato, come si è visto, anche dagli investimenti televisivi e dalla creazione di università all’estero. L’incontro al Ranch di Sunnylands ha dunque rappresentato un vero e proprio reset del dialogo strategico tra Usa e la «nuova Cina». Nascerà una nuova Chimerica, fondata su relazioni diplomatiche più forti, con non pochi riflessi sulle politiche comunitarie. La recente introduzione di dazi sui pannelli solari cinesi testimonia invece di quanto inadeguata sia questa nostra Europa: continua a vedere una Cina che non c’è più e non si accorge che, così facendo, tarpa le ali alle imprese europee lanciate alla conquista di un enorme mercato. La reazione di Pechino — l’avvio di una procedura tariffaria sull’export di vino dall’Europa — è la risposta a una vecchia agenda che dobbiamo assolutamente cambiare. E l’Italia? Sonnecchia. Soprattutto se vuole veramente raggiungere l’obiettivo di attrarre un milione di visitatori cinesi all’Expo del 2015. Una «fedeltà» asiatica al nostro Paese che deve essere conquistata solo attraverso la consapevolezza sulla «nuova Cina». Ordinario di Marketing al Politecnico di Milano