Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 28/6/2013, 28 giugno 2013
MILANO —
Il «campione nazionale» Salini Impregilo, appena nato dall’opa del costruttore romano sul gruppo milanese, si fonda su tre direttrici: una presenza a Piazza Affari con un flottante di almeno il 25% ma con l’azionista di controllo, la famiglia Salini, «anche disposta a scendere sotto il 50% «nel caso di acquisizioni in nuove parti del mondo o di ingresso di nuovi soci»; uno sviluppo che porterà le commesse a 26 miliardi, i ricavi a 7,4 miliardi e il margine operativo lordo a 1 miliardo; da un impegno a finanziare la ristrutturazione di Pompei per 20 milioni, un modo per far tornare in Campania parte dei 204 milioni che Impregilo incasserà dallo Stato dalla conclusione della lunga vertenza sullo smaltimento dei cosiddetti «combustibili da rifiuti» (cdr).
Le basi del nuovo gruppo sono state esposte ieri al mercato dall’amministratore delegato Pietro Salini, la cui famiglia ha attualmente circa il 90%. Dopo le assemblee di settembre sulla fusione si punta a costituire un flottante più idoneo. Un modo anche per rendere più coerenti gli andamenti del titolo, inevitabilmente influenzato dalla scarsità dei titoli. Ieri Impregilo ha chiuso a 3,10 euro, in lieve calo (-0,64%).
Sui nuovi azionisti, le idee sono chiare: «Basta hedge fund, ora vogliamo chi guarda ai fondamentali», e per questo Salini potrebbe scendere sotto la maggioranza assoluta. Anche lo strumento — aumento di capitale o scambio «carta contro carta» di azioni — dipenderà dall’operazione da realizzare, eventualmente anche con una doppia quotazione a Milano e in un’altra piazza.
Dal punto di vista finanziario l’obiettivo è recuperare il rating «investment grade» nei prossimi anni. A questo servirà anche la ristrutturazione del debito, magari anche con un bond per estinguere i finanziamenti bancari per l’opa da 1,1 miliardi. A fine 2016 comunque la cassa dovrebbe tornare positiva a circa 100 milioni di euro.
Anche se ha deciso di uscire da tutti i business non strategici come le autostrade (come la brasiliana Ecorodovias), Salini si è tolto ieri parlando con la stampa due sassolini dalla scarpa. Una a proposito delle questioni campane: «La realtà è che non si vogliono costruire i termovalorizzatori, che sono indispensabili, perché a non volerli è la mafia». L’altra stoccata è arrivata invece anche sul progetto, ormai accantonato, del Ponte sullo Stretto: «Se fosse aperto oggi ci lavorerebbero 25 mila persone e sarebbe una vetrina nel mondo delle capacità del Paese. Eppure qui gli accordi non valgono, cose che non ho mai visto in nessuna parte del mondo. Invece al gruppo arriveranno solo 90 milioni».
Fabrizio Massaro