Lorenzo Fuccaro, Corriere della Sera 28/6/2013, 28 giugno 2013
ROMA —
Dopo un periodo di gelo che risaliva all’autunno del 2011 i due si sono rivisti e hanno superato le reciproche incomprensioni. I due sono Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti,che si sono incontrati in un paio di occasioni. Una prima volta a Roma, la scorsa settimana, davanti a una folla di persone, circostanza che non ha consentito un faccia a faccia approfondito. Entrambi hanno quindi concordato di incontrarsi di nuovo. E domenica si sono intrattenuti per alcune ore nella villa San Martino ad Arcore. La notizia dei ripetuti rendez-vous è stata confermata da entrambi. Dall’inner circle berlusconiano e direttamente dallo stesso ex ministro dell’Economia. Tremonti si è limitato a dire: «Sì è vero, ho visto Berlusconi. Però, non è mio costume riferire ciò che si dice in incontri privati». Il ritorno di amorosi sensi tra i due non sembra suscitare grande interesse all’interno del Pdl. In molti, con la garanzia dell’anonimato, sostengono che l’ex ministro dell’Economia (dopo l’esperienza fallimentare alle recenti elezioni politiche, nelle file della Lega nord) vuole tornare ad avere un ruolo e ha bussato per questo alla casa del Cavaliere che, si sa, è sempre disposto all’ascolto. Ma, obiettano altri, troverà sulla sua strada Renato Brunetta, diventato durante l’eclissi della stella di Tremonti la mente economica del partito. Del resto, tra il professore veneziano e il tributarista di Sondrio non è mai corso buon sangue. Brunetta è stato tra i più accesi critici della linea imperniata sui tagli lineari voluta e praticata da Tremonti, quando era ministro dell’Economia. Tremonti, fanno notare altri, ha retto finché ha avuto il sostegno di Umberto Bossi. Indebolitosi il leader della Lega nord, è finito in un angolo e ora torna all’ovile. La rottura tra i due era maturata nell’estate del 2011, al tempo dell’esplosione dello spread, divenuto da allora un vocabolo sulla bocca di tutti. Ed era stata determinata dalla lettera che la Bce inviò al governo italiano, invitandolo ad adottare misure drastiche per fare tornare a posto i conti pubblici. Quella lettera era stata scritta dall’allora presidente, il francese Jean Claude Trichet, e — denunciò Tremonti — da colui che ne avrebbe preso il posto nel novembre successivo, cioè dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. In pratica nella lettera si suggerivano le misure da prendere (una sorta di nuova agenda di governo) che, se fossero state disattese, avrebbero comportato il mancato sostegno della Bce all’Italia nella difesa dei titoli di debito del Tesoro. Tremonti accusò il colpo. Contestò a Berlusconi di avere avallato, a sua insaputa, una linea che portò al commissariamento dell’Italia con l’avvento del premier tecnico voluto dai tedeschi. Sostenne, cioè, che la lettera formalmente partita da Francoforte era stata in realtà concepita a Roma, nella sede della Banca d’Italia allora guidata da Draghi. Dopo lo strappo, Tremonti scrisse «Uscita di sicurezza», tenne conferenze per il mondo, tentò infine l’avventura politica come candidato premier della Lega nord alle politiche di febbraio. Salvo poi tornare sui suoi passi e bussare ad Arcore.