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 2013  giugno 28 Venerdì calendario

RAFFAELE FIENGO, UNA VITA IN VIA SOLFERINO: «GLI AZIONISTI SONO TROPPO VICINI AL CORRIERE»

I giornali italiani hanno perso un milione di copie, l’editoria è in crisi e perfino i grandi gruppi editoriali non stanno (affatto) bene. Rcs è alle prese con una ristrutturazione epocale e un aumento di capitale da 421 milioni di euro che innesca, all’interno del patto di sindacato del Corriere della Sera, una battaglia tra gli azionisti che sembra una pagina del secolo scorso. Raffaele Fiengo oggi insegna linguaggio giornalistico all’Università di Padova, ma per vent’anni è stato un pilastro del comitato di redazione di via Solferino, fin dai tempi – difficilissimi – della P2.

Che idea si è fatto di questo scontro al Corriere?

Credo che gli azionisti oggi siano più vicini al giornale, troppo vicini: fino a qualche anno fa nella società dei quotidiani c’erano personalità esterne, come Valerio Onida. Poi gli azionisti Rcs si sono avvicinati (anziché allontanarsi), entrando direttamente nel consiglio di amministrazione di via Solferino. La trasformazione del mestiere ha portato alla luce una verità: la qualità giornalistica non è solo una necessità culturale e politica – di funzione dell’informazione –, è una voce fondamentale di bilancio delle case editrici. (come spiega Philip Meyer in “The vanishing newspaper/Saving journalism in the information age”). Indipendenza e credibilità del mestiere sono al-l’origine della qualità. Un giornale che vuole – come il Corriere della Sera – essere, stampato e non stampato, leader nel Paese non può non porsi questo problema.

L’hanno fatto?

Mi pare che gli azionisti siano andati in direzione contraria. Ma domani, il nuovo equilibrio che s’instaurerà – qualunque esso sia – dovrà necessariamente tenere questo come punto fermo. Il Corriere ha fatto anche una campagna pubblicitaria sull’indipendenza, segno che il suo valore è chiaro. Ma non basta dichiararla, dev’essere strutturale. Il patrimonio editoriale, mi riferisco anche ai periodici, non può essere guardato solo nella sua attuale passività. I manager guardano solo i numeri immediati: è sbagliato tagliare e inseguire i nuovi media. Il prodotto giornalistico deve essere autorevole, indipendente, in sintonia con la comunità dei lettori.

In pratica?

Guardiamo cosa accade nel mondo. Negli Usa: il New York Times ha di nuovo un assetto economico positivo. Lavorano su una tastiera più ampia. Journalism first. Questo è possibile perché è un’impresa giornalistica, non guarda solo i conti di oggi. In Francia il Canard vende 470 mila copie a settimana: non ha pubblicità e non è online. Times Picayune è il giornale di New Orleans: allagato durante l’alluvione, è diventò on line il riferimento della città tanto da vincere il Pulitzer. Quel giornale era la città. Poi è andato in crisi, ha scelto di andare in edicola solo tre volte la settimana. Ora New Orleans lo ha rivoluto stampato tutti i giorni. Mondadori Francia ha on line un sito di cucina che va in edicola perché ha successo. Perché non potrebbe farlo la “27esima ora” del Corriere , un eccezionale modello di nuovo linguaggio femminile che ha migliaia di contatti al giorno?

E degli scontri tra gli azionisti – Della Valle e gli Agnelli – che pensa?

Non so che succederà. Ma il Corriere soffre di una “equidistanza quantitiva” tra le parti (politiche, economiche, sociali) che offrono soluzioni. È una conseguenza costante rispetto agli equilibri dei suoi azionisti. Va bene l’equilibrio, ma il punto – che interessa anche il Paese in generale – è che i giochi di potere rallentano i processi di trasformazione. Paralizzano. Non è più il momento. Ci vuole piuttosto l’equanimità, l’autonomia di giudizio, insomma la libertà giornalistica.

Il cdr del Corriere , di fronte agli annunci di drastici tagli ha avuto una reazione inedita. Non ha alzato i toni dello scontro con i mezzi tradizionali, ma per esempio ha fatto un’inchiesta su quanto hanno pesato le acquisizioni spagnole sui conti.

Hanno fatto benissimo: una strada costruttiva e intelligente. E secondo me devono continuare così, anche con i nuovi assetti proprietari.

Perché in Italia, salvo rari esempi, l’editore puro non esiste?

Abbiamo dovuto adattare il giornalismo a una situazione anomala, poco rispondente a quello che dovrebbe essere il ruolo dell’informazione. Abbiamo dovuto riparare con mille artifizi. Però a questo punto non si può più barare, è una questione di sopravvivenza. La trasformazione in corso è talmente gigantesca che l’unica risposta può essere una stampa trasparente e libera.

I giornali italiani hanno perso un milione di copie.

L’Italia è un Paese sbrindellato, questo non è che uno dei sintomi. Noi siamo l’unico Paese democratico che non ha il “Freedom of information act”, una legge fondamentale che garantisce la trasparenza e che permette ai giornalisti di fare bene il proprio mestiere. Un collega inglese, impegnato per migliorare la legge in Inghilterra, ci ha raccontato che grazie all’accesso libero ai documenti loro hanno scoperto come e perché delle liste d’attesa per esami come tac e risonanze magnetiche. Provate a chiedere come sono organizzate le tac al Policlinico... In Italia sappiamo se una casa è abusiva quando c’è stata una frana o un’alluvione, con i morti. Dopo.