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 2013  giugno 28 Venerdì calendario

IL CONTE ZIO

Scorrendo l’elenco dei senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica dal 1949, s’incontrano i nomi di Toscanini, De Sanctis, Trilussa, Sturzo, Paratore, Merzagora, Parri, Montale, Eduardo De Filippo, Bo, Bobbio, Spadolini, Levi Montalcini, Luzi. Tutti personaggi che – articolo 59 della Costituzione – hanno “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Ora, per dire come siamo ridotti, corre voce che Napolitano si accinga a nominare Gianni Letta. E già, all’ombra dei cipressi e dentro l’urne dei principali famedii, si registra un leggero venticello originato dal rivoltarsi nelle tombe di molti illustri precedessori. Ma è tutta invidia postuma. In realtà la biografia del Conte Zio combacia alla perfezione con il dettato costituzionale, avendo egli illustrato la Patria per altissimi meriti in tutti in campi indicati. Anzitutto quello letterario, come direttore negli anni 70 e 80 de Il Tempo, uno dei quotidiani più servili che la storia del giornalismo e del servilismo ricordi. In quella veste, nel 1984, è coinvolto nello scandalo dei fondi neri dell’Iri, quando il presidente dell’Italstat Ettore Bernabei mette a verbale davanti a Gherardo Colombo: “Venne a trovarmi Gianni Letta, al quale consegnai 1,5 miliardi di lire in Cct, dietro promessa di appoggio alla politica economica di Italstat”. Letta ammette: “Fu un’operazione legittima. L’Iri pagava una campagna promozionale. Chi doveva dirci che i fondi erano neri?”. Peccato che a Bernabei quella campagna non risultasse: “Nulla so dell’effettiva utilizzazione da parte del Letta di Cct per 1,5 miliardi di lire”. Il processo trasloca da Milano a Roma e lì riposa in pace. Intanto, nel 1987, Letta-Letta (come lo chiamava Sergio Saviane, che aggiungeva: “Ha un nome da uomo, veste da uomo, porta la cravatta da uomo ma sembra sua sorella”) è passato alla Fininvest: conduttore e vicepresidente. E lì ha modo di illustrare la Patria nel campo artistico: anche quella delle mazzette è un’arte. Che nel ’93 gli vale l’ambìto riconoscimento di un avviso di garanzia a Milano per una stecca di 70 milioni di lire versata nel 1989, vigilia della legge Mammì, al segretario Psdi Antonio Cariglia. Lui racconta, con comprensibile orgoglio: “La somma fu da me introdotta in una busta e consegnata tramite fattorino”. Lo salva l’amnistia.

Ma subito un pm di Roma chiede il suo arresto per aver illustrato la Patria anche in campo scientifico: ramo telecomunicazioni. Antefatto. Nel ’92 il ministro Mammì incarica il suo portaborse e portamazzette, Davide Giacalone, di stilare il piano delle frequenze tv: gli aspetti tecnici li segue la ditta di tal Remo Toigo, ovviamente in cambio di tangenti ai politici. Ma la Fininvest non gradisce il modus operandi di Toigo, che viene perciò convocato da Galliani. Questi gli dice che il ministero non apprezza il suo lavoro. Toigo ha un attacco di labirintite: ohibò, e che c’entra la Fininvest col ministero? Ingenuo. Galliani chiama Letta, lo prega di organizzare un incontro al ministero e parte con Toigo per la capitale. Ad attendere i due al ministero non c’è il ministro: ci sono Letta e Giacalone, che raccomanda a Toigo di fare come dice la Fininvest. Subito dopo Giacalone diventa consulente Fininvest e viene mezzo assolto e mezzo prescritto. Letta invece assolto. Ciò malgrado diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei tre governi B., nonché gentiluomo di Sua Santità. E illustra la Patria in campo gastronomico (il “patto della crostata” della Bicamerale a casa sua) e soprattutto sociale, sponsorizzando gentiluomini come Pollari, Bertolaso, Bisignani e Guarguaglini. Perché ha un fiuto da rabdomante per le persone perbene. Come del resto Napolitano, che l’altroieri ha ricevuto al Quirinale un condannato per frode fiscale, concussione e prostituzione minorile, onde esortarlo a sostenere Letta (Enrico, il nipote). Forse, per il Conte Zio, il Senato a vita è un po’ riduttivo. Santo subito.