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 2013  giugno 28 Venerdì calendario

«ITALOBERLINER», I MIGRANTI LOW COST A CACCIA DEL FUTURO

Nella pizzeria siciliana accanto al vecchio Checkpoint Charlie, fi­no al 1989 uno dei sei punti in cui si poteva varcare il Muro og­gi svenduto al turismo di massa, le due ragazze entrano all’ora di pranzo. Chiedono lavoro, hanno al massimo 25 anni, sono lau­reate e appena arrivate da Ge­nova. Il proprietario risponde negativamente, ma le indirizza verso una gelateria. Scene co­muni nella nuova capitale euro­pea dell’emigrazione nostrana under 35. Nel 2012, secondo l’Ocse, la Germania – già Paese Ue con più emigrati italiani (ol­tre mezzo milione) – ha accolto il 35% in più di connazionali. Più di 42.000 neomigranti, per lo più giovani laureati.
«Ogni giorno – commenta Pie­tro, 56 anni, cameriere messine­se, a Berlino da 4 anni per sfug­gire alla disoccupazione nell’i­sola – riceviamo almeno due ri­chieste di lavoro di italiani, qui stanno arrivando in tanti». Co­me la figlia di Pietro, Caterina, 28 anni. Dopo il diploma guada­gnava 500 euro al mese in un ni­do privato. L’anno scorso ha rag­giunto il padre e ha trovato su­bito lavoro come barista. Il sala­rio è 1.300 euro al mese che qui consente di vivere bene.
Eppure le opportunità di lavori sicuri sono minori. Le capitali fi­nanziarie e manifatturiere sono nell’ovest, attorno ci sono le re­gioni del profondo est, ancora depresse dopo 20 anni di riuni­ficazione. Di conseguenza arriva un’immigrazione precaria, me­no elitaria, fatta soprattutto di laureati senza mercato in Italia che cercano fortuna a Berlino perché è la meno tedesca delle città tedesche per il carattere co­smopolita, il fascino della storia, la qualità della vita e i prezzi bas­si.
Per osservare la nuova mobilità italiana in Europa, diversificata, questa metropoli di 3,5 milioni (mezzo milione immigrati) è fondamentale. La Germania che ha bisogno di attirare 5 milioni di immigrati entro il 2020 e che en­tro fine anno farà oltre 250mila assunzioni non abita qui. Ma Berlino è la capitale di un’altra Germania che ad esempio cerca 15mila lavoratori nel commer­cio, 70mila nel settore dei servi­zi alla persona, 20mila nei tra­sporti, nella sicurezza e nella pu­lizia, a cui servono 10mila archi­tetti, 18mila addetti alla ristora­zione e 11mila informatici. Le statistiche parlano di 18mila ita­liani presenti, la nostra è la terza comunità dopo quella turca (100mila) e polacca (45mila). Ma pochi dei nuovi arrivati si iscri­vono all’anagrafe degli italiani all’estero per non perdere l’assi­stenza sanitaria gratuita (quella tedesca si paga), quindi le stime più prudenti raddoppiano il nu­mero. Insomma almeno 30mila connazionali e l’estate fa preve­dere una marea dalla Penisola in arrivo nella nuova mecca.
Integrarsi è facile, per chi vuol re­stare. Il primo asilo pubblico bi­lingue berlinese è stato fondato 40 anni fa ed esistono sei nidi i­talo- tedeschi e tre scuole. Ma i nuovi migranti non hanno an­cora progetti a lungo termine, spesso la nuova immigrazione low cost è andata e ritorno. Si ri­conoscono nella definizione di «italoberliner». Il nome viene da una fortunata rassegna dell’isti­tuto italiano di cultura e rappre­senta un popolo in crescita, si­stemato negli appartamenti dei quartieri di tendenza del centro, divenuto motore intellettuale della Germania. Da qui parte la caccia al circuito artistico e cul­turale: gallerie, musica, cinema, teatri, locali, studi professionali. «Età media 25-30 anni, istruzio­ne medio alta, fasce sociali di­verse, molti sono cervelli e talenti in fuga. Quella generazione che il Belpaese sta sacrificando e che sfrutta la libertà di movimento offerta dall’Ue e dai voli econo­mici per mettersi in gioco. È una ribellione al futuro in un call cen­ter, semmai ci si finisce per ri­piego ». È l’identikit tracciato da uno dei più attenti osservatori del fe­nomeno, Valerio Bassan, 26 an­ni, giornalista, che dopo la scuola di giornalismo alla Cat­tolica 15 mesi fa ha deciso di se­guire la fidanzata e, oltre a col­laborare con diverse testate i­taliane, ha aperto il Mitte , quo­tidiano on line di riferimento della nuova comunità.
«Prevalgono – prosegue Bassan – i laureati in discipline umani­stiche e letterarie, creativi che in Italia non hanno sbocchi e qui trovano gallerie d’arte o atelier. Ci sono anche professionisti, ar­chitetti e informatici. La concor­renza dai Paesi Ue è forte. Però se uno ha competenze e idee può farcela».
Accanto al settore creativo, è for­te la comunità digitale. Berlino, nodo della rete globale, ambisce a diventare la Silicon Valley eu­ropea e investe. Si calcola che al­meno 3mila persone per chilo­metro quadrato vivano di infor­matica. Chi punta a sfondare lontano dalla burocrazia italia­na , crea comunità sui social group e cerca finanziamenti con capitali tedeschi o russi. Magari si presenta con Digitaly Berlin, nato come gruppo su Facebook lo scorso febbraio e in pochi me­si cresciuto fino ad organizzare nelle sedi di aziende o uffici ses­sioni per le start up. La formula prevede presentazione del pro­getto imprenditoriale in tre mi­nuti, poi dibattito con franco scambio di idee. Così si è salda­ta una comunità virtuale con un’identità precisa.
Per chi resta fuori dai giochi i sal­vagente restano i call center, ga­stronomia, ristorazione e le pu­lizie dove si ottiene un contratto microjob, part time e 450 euro al mese senza contributi. Berlino è selettiva – perché la Germania deve il suo boom a questa flessi­bilità economica anglosassone – ma non spietata con i perdenti. La differenza la fa ancora il wel­fare.
Berlino, città-stato, finanzia il suo stile di vita con un deficit di 63 miliardi, pagato dalle tasse dei ricchi contribuenti bavaresi e del Baden Wurttenberg, le regioni più ricche, in base alla riparti­zione programmata dal sistema federale tedesco. Ma se perde a­bitanti rischia entro il 2014 di do­ver restituire al governo centra­le 900 milioni. Per questo conti­nua ad attirare stranieri, soprat­tutto giovani e famiglie, e a man­tenere su livelli generosi il welfa­re locale. Dunque la generazio­ne degli «italoberliner» sembra destinata a crescere.