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 2013  giugno 26 Mercoledì calendario

GLI OLGETTINI

Mentre tutta la stampa mondiale si fa beffe dell’Italia, ancora nelle mani dopo vent’anni di un vecchio puttaniere che ne ha combinate più di Bertoldo in Francia, nessun quotidiano italiano – a parte un paio di eccezioni – commenta la condanna di Berlusconi a partire dai fatti che l’hanno originata. Che un presidente del Consiglio abbia minacciato una Questura, abusando del suo potere, ordinandole di violare la legge per rilasciare una prostituta minorenne senza documenti né fissa dimora fermata per furto, e che l’abbia fatto perché la ragazza tenesse la bocca chiusa sul monumentale giro di prostituzione anche minorile che gravitava nelle sue residenze, sono fatti che tutti conoscono ma che quasi nessuno scrive. Sono comportamenti puniti dal Codice penale, addirittura in base a leggi – nel caso della prostituzione minorile – approvate dal suo stesso governo, ma quasi nessuno lo dice. Fiumi di parole e d’inchiostro per buttarla in politica e parlare d’altro, cioè del nulla.
Pigi Pigi non lo sa. L’orecchiante del Corriere della Sera è affranto per “la condanna rigidissima, addirittura superiore alle richieste dell’accusa” (se invece i giudici avessero aderito alle richieste dell’accusa, Battista li avrebbe accusati di “appiattirsi sui pm” e chiesto la separazione delle carriere; in ogni caso la pena massima per la concussione è 12 anni e per la prostituzione minorile è 3 anni, e B. per il primo reato ha avuto 6 anni e 1 anno per il secondo, quasi il minimo delle pene). Ma soprattutto perché i giudici “considerano il capo di uno schieramento che compartecipa in modo determinante al governo del Paese” come “il vertice di una ramificata banda dedita a reati moralmente spregevoli” (ma se il capo dello schieramento commette reati spregevoli che devono fare i giudici? Assolverlo solo perché compartecipa in modo determinante?). Poi, col pilota automatico, il Ballista ripete la giaculatoria della “spaccatura che da vent’anni spezza in due l’opinione pubblica italiana”, ora “ancora più profonda e irriducibile, fra chi considera B. “come una figura losca da gettare nel precipizio della vergogna e della non rispettabilità” e chi lo difende come “vittima di un accanimento politico-giudiziario senza precedenti”. Il compito di un giornalista sarebbe appunto quello di spiegare ai suoi lettori che non c’è bisogno della sentenza Ruby per sapere che B. è una figura losca da gettare nel precipizio eccetera, visto che altre sentenze definitive hanno già accertato la corruzione della Guardia di Finanza, del teste Mills e del giudice Metta, i fondi occulti a Craxi, i falsi in bilancio per 1.500 miliardi di lire, la falsa testimonianza sulla P2 e così via. Ma Battista fa un altro mestiere, dunque dopo vent’anni è ancora lì a chiedersi se il suo ex editore (quand’era vicedirettore di Panorama) sia una brava persona o un mascalzone. Siccome poi non sa nulla di ciò che scrive, aggiunge il suo stupore perché 30 testimoni pagati dall’imputato vengono denunciati per falsa testimonianza prezzolata, quasi che B. fosse “il capo di una banda” e di una “rete di complicità omertosa”, mettendo addirittura “in discussione la legittimità morale del capo di un partito”. Il fatto che i giudici abbiano capito ciò che tutti sanno, e cioè che il capo di un partito è anche il capo di una banda e di una rete omertosa, non lo sfiora neppure. Altrimenti dovrebbe scegliere fra le due categorie che lui da sempre mette sullo stesso piano: “I cantori di una ‘guerra civile fredda’ che hanno trovato nella demonizzazione o nella santificazione di B. l’unico parametro dei loro giudizi politici”. Insomma, alla sua età, dovrebbe mettersi a informare: e non vi è proprio portato. Il Sorgi in bocca. Sulla Stampa, Marcello Sorgi si avventura in arditi paralleli fra Craxi, Andreotti e B. Il primo “scelse la strada dell’esilio” (latitanza, Marcello: si dice latitanza).
Andreotti fu accusato di rapporti con la mafia e c’era chi sorrideva sulla scena inverosimile del bacio con Totò Riina” (anche perché la scena, molto verosimile per chi conosce i rituali mafiosi, era il bacio di Riina ad Andreotti e non viceversa). Quanto a B., anche lui viene “abbattuto per via giudiziaria”, e con lui tutta la “Seconda Repubblica” (chissà perché). I giudici infatti “hanno fatto calare la ghigliottina sul collo del Cavaliere” (si chiama sentenza, Marcello: sentenza) e per di più gli hanno affibbiato “la pena aggiuntiva dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici” (Marcello, dài, chiedi a qualcuno che ha studiato un po’: l’interdizione perpetua è prevista automatica e obbligatoria per legge a tutte le pene superiori a 5 anni e, per quelle inferiori, c’è quella quinquennale). E, cattivoni, hanno “sorprendentemente chiesto alla Procura di incriminare per falsa testimonianza i testi della difesa” (Marcello, su, la falsa testimonianza è reato e pagare un testimone perché dica il falso si chiama corruzione giudiziaria). Segue copiosa lacrimazione per le sorti del “governo delle larghe intese che doveva favorire la pacificazione dopo l’inutile e infinita epoca della guerra civile”. Scusa, Marcello: pacificazione fra chi e chi? e per quale guerra? e dichiarata da chi a chi? La pacificazione che hai in mente tu si chiama impunità, privilegio, è roba da monarchia assoluta. Ci fai sapere in quale incunabolo l’hai scovata? Grazie.

Stappa un prodino. Intervistato da La Stampa, il prodiano (povero Prodi) Sandro Gozi esorta i dirigenti del Pd a “non esultare”, come fanno i volgari militanti del Pd, dinanzi alla triste notizia della condanna di B. (raccomandazione peraltro superflua, visto che sono tutti listati a lutto) perché “noi dirigenti siamo chiamati a una prova di maturità”: cioè a governare col puttaniere concussore e in prospettiva a “confrontarci con un progetto politico che stia in piedi a prescindere da B.”. Meglio dunque raccontare che la condanna di B. non riguarda tanto B., ma è piuttosto “un punto di arrivo anche per gli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo. Rischiano di cadere molte rendite di posizione politica e anche professionale, tra cui quelle di certi giornalisti. Dicono niente i nomi di Ingroia o Travaglio? Sono queste le rendite di posizione che rischiano di saltare. Berlusconismo e antiberlusconismo finiranno insieme”. Intanto, per anticipare la fine del berlusconismo, Gozi sta nella stessa maggioranza con Berlusconi e, quando lo condannano, i primi nomi che gli vengono in mente sono Travaglio e Ingroia. Bravo, bis.

L’Unità e i Mostri. Il sempre acuto direttore dell’Unità, Claudio Sardo, quello che era contrario al governo Pd-Pdl finché il Pd non fece il governo col Pdl, si guarda bene dal domandare al Pd che cosa ci faccia ancora al governo con B., meno che mai dall’incalzarlo perché voti finalmente l’ineleggibilità dell’ineleggibile (e non sia mai: “una maggioranza politica non può cambiare oggi la prassi sull’ineleggibilità di B.: sarebbe come tradire il carattere giurisdizionale di quella decisione”; cioè, siccome han violato la legge per vent’anni, devono continuare a violarla, sennò poi la gente si disorienta). Così lancia uno straziante appello a B. perché tolga il disturbo e il Pd dall’imbarazzo, così che possa finalmente governare con un Pdl pulito e presentabile, cioè coi vari Schifani, Alfano, Verdini, Fitto, Gasparri, Letta (Gianni). La scena ricorda quella dei Mostri, quando il seduttore Gassmann che vuole scaricare l’amante per dedicarsi a un’altra la convince a mollarlo per il suo bene (di lei). Ed ecco Sardo ululare sotto le finestre di Palazzo Grazioli: “Vogliono ancora continuare così? Vogliono alzare la posta del conflitto? Ma si rendono conto della responsabilità della politica in questa drammatica crisi?”. Segue un appello che persino Alice nel paese delle meraviglie troverebbe un po’ ingenuo: “Il centrodestra è a un bivio strategico. Deve scegliere tra due strade. O sostiene il governo Letta e usa questo tempo per darsi una struttura democratica interna e una successione a B., oppure si chiude nel bunker del Capo, confermando il carattere personale, anzi proprietario di quel non partito”. Ci pare di sentire la risposta, direttamente dal sottosuolo: “Senti, bello, noi stiamo ancora tremando per la tua intimazione, ma confermiamo il carattere personale, anzi proprietario del non partito e restiamo qui nel bunker, che fra l’altro è pieno di gnocca. E tu salutaci Bersani o Epifani o come si chiama Coso”.

M’hai detto un Prospero. A proposito di commedia all’italiana, poteva mancare sull’Unità l’illuminato parere del professor Michele Palmiro Prospero? No che non poteva. A preoccuparlo non è che il Pd governi col puttaniere concussore, ma “l’intervento di un fattore esterno, non collegato cioè alle normali dinamiche elettorali, che si impone in maniera irresistibile come la causa immediata della netta cesura che infrange la continuità dei cicli politici”. Siete ancora vivi? Bene, fate un altro bel respiro: “Fattori esterni al consueto gioco competitivo furono al centro delle tragiche vicende che si sbarazzarono di Moro (uccisione per mano del partito armato)... Anche la decapitazione politica di Craxi... assunse i tratti di una rovina esterna (tintinnio delle manette)”. E ora, per B., i giudici “esterni” tornano “per la terza volta come elemento dirompente incaricato di sferrare colpi micidiali agli assetti di potere esistenti”. Mica male il paragone fra i giudici di Milano che condannano dei politici malfattori e le Br che ammazzano un politico innocente. Ma non è niente, al confronto con le conclusioni più sconclusionate che memoria d’uomo ricordi: condannando il puttaniere concussore invece di lasciarlo eliminare dai suoi avversari politici (che per eliminarlo meglio lo portano al governo anche quando perde le elezioni), i giudici “esterni” gli fanno un favore perché ora il Pdl “acuisce il peso del-l’irruzione catastrofica del fattore esterno e cerca anzi di utilizzarlo per trarne qualche profitto (im)politico ravvicinato. Il fattore esterno come ferita mai cicatrizzabile”. Lo portano via.
Libero bordello. Libero, che pure in passato aveva focalizzato la questione meglio di altri (quando titolò “Il guaio di Silvio è la gnocca” o quando Belpietro lo qualificò di “vecchio porco”), dimentica tutto e somministra ai lettori un titolo elegante almeno quanto le cene del Cainano: “Giustizia a puttane”. Seguono le solite panzane sui reati che non ci sono perché le vittime li negano (se è per questo, li nega pure l’imputato). Ma, se questa baggianata giuridica valesse nei codici, non si farebbe mai un processo ai mafiosi che impongono il pizzo (i negozianti, terrorizzati, negano quasi sempre di aver subìto minacce e si dicono felici di pagare spontaneamente per l’innata simpatia dei loro aguzzini, autori di “riscossioni eleganti”). E nemmeno a certi mariti violenti che pestano le mogli (“vostro onore, mio marito non c’entra coi lividi, sono caduta dalle scale”). Ma tutto questo Belpietro e quello con le mèches non lo sanno. E allora ecco il primo ricordare che Ruby “ha sempre sostenuto di non essersi prostituita e nessuno l’ha mai vista a letto col Cavaliere”, dunque “il processo non doveva neppure cominciare”. L’altro non s’è ancora dato una risposta al “mitico quesito: B. sapeva che Ruby era minorenne?”. Tanto poco lo sapeva che, appena Ruby fu portata in questura, telefonò al capo di gabinetto per farla “affidare” a Nicole Minetti con una procedura che ha un senso per i minorenni, visto che i maggiorenni non devono essere affidati a nessuno. Invece i soldi dati alle ragazze dopo le cene (2-3 mila euro) e le notti (5-6 mila) eleganti -tenetevi forte - erano “rimborsi spese”: per i costumi del burlesque. A quel punto arrivava la Fata Turchina, accompagnata da Peter Pan e Capitan Nemo.
Stato sallustionale. Una prece per il povero Alessandro Sallusti, in evidente stato confusionale. Affranto per la condanna del capo, giura che “stiamo parlando di un galantuomo, mattacchione sì, ma di gran lunga moralmente più integro dei suoi accusatori e giudici”: mai il galantuomo avrebbe “molestato una donna” (peccato che l’accusa non sia di molestie, ma di prostituzione minorile, reato che scatta anche quando la minorenne è consenziente). E, “se avessi un solo dubbio che il presidente l’abbia fatto anche una sola volta in vita sua, non sarei qui a scrivere queste righe”. Dunque dobbiamo fidarci di lui, sulla parola, anziché di “questi pazzi scatenati travestiti da giudici, i quali vogliono che tutti pieghino la testa di fronte alla loro arroganza e impunità”. Roba da “tribunali stalinisti e nazisti”. Completano il quadro (clinico) la raffinate analisi di Annamaria Bernardini De Pace nonché Serbelloni Mazzanti Viendalmare contro le donne in toga che hanno “umiliato le donne”, cioè le olgettine; e la squisite dissertazioni giuridiche di Vittorio Sgarbi che ora, per coerenza, vorrebbe “processate tutte le donne mantenute”: non gli entra proprio in testa che qui il reato non è mantenere, ma andare con minorenni a pagamento e abusare del proprio potere per costringere la polizia a violare la legge.
Citofonare Giuliana. Ieri Giuliano Ferrara, con la consumata perizia dell’habitué, si è spalmato il rossetto sulle labbra e ha convocato le masse in piazza al grido di “Siamo tutti puttane”. Proprio tutti magari no, ma se parlasse per sé potremmo anche dargli ragione. Poi, senz’accorgersene, ha scritto per conto del padrone una piena confessione: che male c’è “se ti piace invitare giovani donne a casa tua”, tieni “un comportamento generoso con le ragazze ospiti” e poi ”ti prende il ghiribizzo di raccomandare per telefono un trattamento umano per una di loro incappata in una disavventura (un fermo per furto, ndr) e trattenuta in Questura”? C’è che è un reato, anzi due: quelli per cui è stato condannato B. Esilarante poi la definizione di “sentenza ad personam”: tutte le sentenze sono ad personam, visto che – art. 27 della Costituzione – “la responsabilità penale è personale”. Addirittura irresistibile che l’accusa di sentenziare “ad personam” venga lanciata da colui che imputa da sempre alla magistratura milanese di “processare un sistema” o generici “stili di vita”: ora che han processato e condannato uno solo per due specifici reati, non gli va bene lo stesso. Ma lui non fa il giornalista, fa un altro mestiere ancora più antico: l’ha detto lui.
Raccolta differenziata. Sul Foglio c’è anche il redivivo Mario Sechi, già direttore del Tempo, poi portavoce e candidato di Monti (invano), ora editorialista dell’house organ berlusconiano, ma soprattutto giureconsulto: ci informa che “un collegio di sole donne è un altro elemento rilevante ai fini dello squilibrato giudizio”: già, da quando hanno aperto la magistratura alle donne la giustizia è andata a rotoli. Erano meglio tre giudici maschi, possibilmente puttanieri. C’è poi Ritanna Armeni, ma ve la risparmiamo perché non (si) capisce nulla di ciò che scrive.
E c’è persino Piero Ostellino, in momentanea trasferta dal Corriere, che ripete il ritornello del “reato senza parti lese” (Piero, informati: tre ragazze si sono costituite parte civile), poi s’inventa un altro reato: “corruzione di minorenne”. Ne avesse azzeccata una: il reato si chiama prostituzione minorile ed è punito fino a 3 anni da una legge fatta da B., che dunque dovrebbe conoscerla. Ma questi per Ostellino son solo dettagli. Lui è un Prospero in formato extralarge, infatti segnala un solo precedente della sentenza: “i partigiani comunisti” che “dopo il 25 aprile del ’45 ammazzarono alcuni partigiani che non appartenevano alla propria parte politica, oltre ad alcuni possidenti terrieri e riccastri che bisognava far fuori per arrivare alla rivoluzione proletaria”. La quale poi “non riuscì e quei partigiani comunisti furono costretti a fuggire in Cecoslovacchia”. Purtroppo “oggi i giudici che hanno emesso la sentenza contro Berlusconi non scapperanno certo in Cecoslovacchia, anzi saranno elogiati da tutti gli avversari del Cavaliere. Ma hanno fatto la stessa cosa: hanno promosso una rivoluzione attraverso la quale far fuori qualcuno che non appartiene allo stesso campo”. Dunque, siccome le tre giudici assassine non sono fuggite, bisogna arrestarle.
PS. L’articolo di Ostellino non è stato scritto da Ostellino: si tratta – avverte il Foglio – di un “testo raccolto”. Le cose sarebbero andate così: Ferrara è uscito a portare a spasso il cane e ha trovato sul marciapiede il testo di Ostellino, ancora bello fumante. Parendogli brutto lasciarlo lì, l’ha raccolto. Con la paletta.