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 2013  giugno 26 Mercoledì calendario

TORNA LA GUERRA FREDDA, SENZA ATOMICA MA COL WEB

È il ritorno alla guerra fredda. No, è un film: in questo momento Ed­ward Snowden è nella zona transiti dell’aeroporto di Sheremetyevo e ora ha tutti intorno, russi e america­ni, cinesi e curiosi. Macché, è una storia cinese, tipicamente asiatica, anzi sudamericana, cubana ed ecuadoregna, ma forse nordcoreana con un sapore antico e un tuffo nel futu­ro anteriore dello spionaggio.
La verità è che la storia non si ripe­te mai neppure sotto forma di farsa e dunque potrebbe, proprio per que­sto, anche ripetersi solo per dimo­strare che anche questa regola è fal­sa. Dunque, il bravo ragazzo Snowden, classe 1983, un tecnico che ha dichiarato di essersi fatto assumere da una ditta che lavorava per l’agenzia Nsa, si trovava ieri al terminal D mentre Vladimir Vladi­mirovic Putin, esibendo una delle sue più perfette facce da impunito ha detto in una pubblica dichiarazio­ne: «Arrestarlo? Non ne vedo il moti­vo, anche perché non si trova neppu­re sul suolo russo. Estradarlo? E perché mai?».
E così siamo tornati a square one, la casella numero uno del gioco dell’oca internazionale che questo misterioso trenten­ne ha aperto con la sua fuga, le sue dichiarazioni al britannico Guardian, il suo affermato pro­posito di danneggiare il più pos­sibile gli Stati Uniti d’America guidati da un Barack Obama che ai suoi occhi vale tanto quanto l’arcinemico George W. Bush.
Morale: su questa vicenda si stanno polarizzando da una parte tutti i nemici degli Stati Uniti con la new entry dell’Ecua­dor che sostituisce (almeno ci prova) il Venezuela del defunto Chavez; e dall’altra si sta for­mando una santa alleanza fra Stati Uniti ed alleati, a comincia­re dal Regno Unito che ha fatto largo uso dei sistemi denuncia­ti da Snowden, intercettando e catalogando tutte le telefonate e i messaggi in arrivo dalla Ger­mania, per moti­vi che a noi non è dato sapere. Allora: siamo o no al ritorno di fiamma della guerra fredda? Che rispondere? Sì e no. Il sì è di rigore se si ricorda che anche l’anti­ca guerra fredda fra il 1945 e il 1989 fu, sotto il travestimento ideologico di una guerra fra co­munismo e democrazie, uno scontro fra l’impero russo e gli Stati Uniti con tutti i loro alleati del Patto Atlantico. Esiste anco­ra quello scontro fra imperi? Non esattamente, ma alcune tracce resistono. Stati Uniti e Russia non hanno mai supera­to la fase dello scontro e Oba­ma, non diversamente da Bu­sh, guarda con allarme all’in­fluenza finanziaria russa, deri­vata dalla sola vendita di idro­carburi, petrolio e gas, con una classe dirigente tutta creata e cooptata nelle aziende di Stato come Gazprom. C’è poi stata una guerra (vinta da Putin) su­gli oleodotti, un’altra guerra (vinta da Putin) sul dispiega­mento di batterie antimissile sull’Europa orientale e una ter­za guerra (per ora vinta da Pu­tin) per il sostegno del regime si­riano. Dunque lo scenario non manca e Washington le sta prendendo su tutti i fronti. E in che modo su questo scenario si innesta il signor Snowden?
Snowden rappresenta il fatto­re umano, l’irrompere del caso, l’elemento imprevedibile. La sua figura diventa ogni giorno più ambigua. Cresce il sospetto che agisca per conto o su istruzioni di uno o più committenti e oggi protettori e infatti tutti si chiedono perché sia fuggito proprio a Hong Kong mettendo­si l­ì in contatto con il governo ci­nese, cioè con un soggetto poli­tico in grande competizione con quello americano sulle in­terferenze nella rete e lo spio­naggio elettronico?
E perché afferma di essere tentato dall’Ecuador che è oggi lo Stato emergente dell’Ameri­ca Latina fra i nuovi sfidanti di Washington, dopo aver annun­ciato di voler andare a Cuba? Tutte scelte casuali, guarda un po’, fra gli avversari e i nemici degli Stati Uniti?
Le sue mete sono L’Avana, Quito, Mosca, Hong Kong, Bejing, forse la liberale Islanda dove si trova anche il quartier generale dell’altro fuggiasco Ju­lian Assange, l’uomo dei primi e più noti «leaks» che hanno messo in braghe di tela diplo­mazia e cancellerie di mezzo mondo. E infatti anche l’Islan­da è entrata nella lista nera del­le agenzie di spionaggio ameri­cane e inglesi.
In Ecuador è intanto nato un nuovo Fidel Castro, si chiama Rafael Correa, un professore universitario e sociologo che cerca di ereditare il regno del de­funto Chavez ma che intanto si segnala per le sue persecuzioni contro giornali e giornalisti del suo Paese. Ed è lì, a Quito, che il giovanotto Snowden è atteso come un eroe, per aver dichiara­to guerra all’arcinemico ameri­cano di cui diffonde le carte segrete, le operazioni segrete, i piani segreti.
Se la vita reale fosse come un film, già una squadra di killer sa­rebbe sulle tracce di Snowden per farlo semplicemente fuori. Ma poiché la vita reale non è un film e gli Stati Uniti non posso­no permettersi una brutale soppressione di Snowden, ecco che si scatena una battaglia legale e diplomatica che non avrebbe potuto svolgersi ai tem­pi della guerra fredda, quando si metteva mano alle armi chi­miche e batteriologiche molto spesso, per non dire degli om­brelli bulgari e altri sistemi per eliminare gli avversari e i defe­zionisti.
Ecco invece che avvocati, am­basciatori, uomini dei servizi se­greti ed emissari altrettanto segreti si parlano ronzando per ca­nali riservati, specialmente su Skype (che è finora il mezzo più sicuro per parlare senza essere intercettati) e cercano un accor­do. Ma l’accordo è lontano per­ché nessuno, né Putin, né i diri­genti di Pechino, né l’ecuadoregno Correa, è disposto ad am­mettere di aver adottato o di vo­ler adottare il fuggiasco Snowden il quale ieri era imbottigliato sudando freddo nel tor­rido terminal D dell’aeroporto di Mosca.
È ovvio che Snowden è una preda prelibata per tutti i servizi di sicurezza e spionaggio del mondo, americani inclusi che vorrebbero impedirgli di nuo­cere, non soltanto per le informazioni che conosce in prima persona, ma per la conoscenza del sistema complessivo. Ovvia­mente tutte le password e i firewall sono stati cambiati, ma lui sa come arrivare ai file e sa anche perché i file esistono, e chi li gestisce, e quali sono gli uo­mini sul terreno che li alimentano con le loro vite doppie e tri­ple, secondo le buone norme dello spionaggio.
Snowden sta certamente trat­tando: per la sua sicurezza e per il miglior vantaggio possibile. Obama è furioso e Putin è beffar­do. Correa è ansioso di diventa­re il protagonista, e i cinesi rac­colg­ono elementi per dimostra­re che malgrado gli accordi sot­toscritti con una stretta di ma­no in California poche settima­ne fa con il presidente Obama, gli Stati Uniti giocano sporco. È guerra fredda questa? Non ha alcuna importanza il grado di calore. Sta di fatto che si tratta di una guerra modernissima, con armi ieri impensabili per tecno­logia, di cui la più obsoleta è pro­babilmente il cervello umano.