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 2013  giugno 26 Mercoledì calendario

LINA PROKOF’EV, NOTE DI VITA DAL GELIDO INFERNO DEI GULAG

Mosca, 20 febbraio 1948: agenti del Kgb arrestano con l’accusa di fur­to, spionaggio e intesa con il ne­mico una donna di origine spa­gnola. L’appartamento dove vi­ve la sedicente spia fa parte di un imponente palazzo sulla Chkalov: vi abitano pezzi gros­si della politica, ingegneri e arti­sti. La casa viene saccheggiata. Sulla parete un agente nota un ritratto della padrona di casa. È di suo gradimento - forse non sa nemmeno che è opera di una grande pittrice, Natalia Gontcharova - e lo sequestra. Stessa sorte per macchine per scrivere, cucitri­ce, libri. I gioielli vengono requisi­ti come oggetti di «color gial­lo». Torneran­n o­nei negozi ri­servati alle mo­gli e alle amanti degli intoccabili della nomenklatura come preziosi capricci. Il destino di Lina Codina, questo il nome dell’arrestata, è segna­to. Trasferita nell’inferno della Lubyanka, viene interrogata per nove mesi nella prigione di Lefortovo.
Dopo calci e sputi, senza son­no, in una cella con ghiaccio, minacciata di rappresaglie sui figli («Griderai ancora più forte quando sentirai questo manga­nello nel culo», le urla un aguzzino), Lina firma la confessio­ne. In meno di un quarto d’ora la Corte Suprema dell’Urss la condanna a vent’anni di lavori forzati nel campo di Abez, Re­pubblica socialista sovietica autonoma di Komi, Circolo Po­lare Artico. La «pericolosa cri­minale» ha 56 anni, passerà nell’arcipelago Gulag otto anni. La tragica sorte di milioni di rus­si colpisce quella che si considera ancora la moglie del più famoso composi­tore sovietico, Ser­gej Prokof’ev. Lina e Sergej, corteggiati dalla crema dell’intel­lighenzia e della politica sovie­tica, sono tornati, nel 1936, a vi­vere in Russia, dopo aver acqui­sito fama mondiale. Prokof’ev pensa che notorietà e relazioni altolocate lo mettano al riparo da qualunque attacco. Sa di es­sere spiato ma è sinceramente convinto che Stalin rispetterà gli artisti. Nei primi due anni, la coppia può compiere ancora tournée in Occidente, cantan­do le lodi della madrepatria. Ma i figli Sviatoslav e Oleg ri­mangono a Mosca, ostaggi.
La guerra e il dittatore geor­giano fanno precipitare gli eventi. Uno dei più fervidi am­miratori di Prokof’ev, il grande regista Vsevolod Emil’evic Mejerchold, sparisce nel nulla (verrà fucilato) e sua moglie, poco dopo, viene selvaggia­mente uccisa in una «rapina» di strada. Prokof’ev scrive a rit­mi forsennati una serie impres­sionante di capolavori più o meno graditi al regime - dai film con Eisenstein ai grandi balletti, opere, cantate, musica sinfonica e cameristica - nono­stante la salute lo abbandoni. Dopo la Grande Guerra Patriot­tica, Stalin ha ripreso le pur­ghe: anche Prokof’ev è bollato come «formalista» decadente. Non lo arrestano ma è costret­to a vivere appartato a migliaia di chilometri da casa. E presto si innamora di una giovane am­miratrice, Mira Mendelsson.
Lina, abbandonata, cerca in­vano tutti i modi per tornare in Francia. Per questo finisce su­bito nel mirino della polizia po­litica. Le autorità annullano il matrimonio, perché non avve­nuto nell’Unione sovietica: è il preambolo alla cancellazione di ogni libertà. Le requisiscono il pianoforte e la macchina. Poi finisce in manette. Dopo le tor­ture e la confessione, la deportano. Sopravvivere è durissi­mo: Lina resiste nel gulag an­che rispolverando i suoi eccellenti studi da soprano. Per «cru­dele, tragica coincidenza, pa­pà è morto nello stesso giorno, il 5 marzo 1954, di Stalin», scrive il figlio Sviatoslav alla ma­dre. Rilasciata nel ’56, Lina giu­ra di non parlare mai a nessuno di quanto le è successo. Fino al ’68 ci saranno due vedove Pro­kof’ev (Lina e Mira) con regola­re pensione di Stato.
Lina potrà fuggire in Occi­dente solo nel 1974, dopo aver minacciato di svergognare i gerontocrati di Breznev. A quan­to pare, è Yury Andropov in per­sona, all’epoca capo ai vertici del Kgb, a organizzare la sua partenza. Per decenni sul suo conto circolarono congetture confuse. Ora L’amore e le guer­re di Lina Prokof’ev è un’avvin­cente e documentatissima biografia inglese di Simon Morri­son (edita da Harvill Secker), ri­sarcimento postumo a un dramma personale in una tra­gedia collettiva.