Gabriele Romagnoli, Vanity Fair 26/6/2013, 26 giugno 2013
TONY SOPRANO NON E’ MORTO
LA MATTINA DI GIOVEDÌ 20 giugno 2013 al risveglio ho trovato al cellulare un sms che diceva: «È morto il tuo amico Tony Soprano. La cosa curiosa è che quel messaggio veniva da un numero registrato nella mia rubrica come appartenente a «Tony Soprano». Ora, per chiudere il cerchio, come vi sarà noto, Tony Soprano non esiste. Non propriamente. È un personaggio di fantasia, creato da un genio di nome David Chase, protagonista della serie che ha rivoluzionato la storia della Tv, intitolata appunto I Sopranos. A morire era stato l’attore James Gandolfini che ne interpretava meravigliosamente il ruolo. E a comunicarmi la notizia era un mafioso pentito, che vive sotto protezione usando un falso nome, e che io chiamo, appunto, Tony Soprano.
DA CHE MI RICORDO vivo in un mondo senza confini, dove la realtà e la fantasia si sovrappongono, considero amici e fratelli uomini che ho incontrato in film, libri, serie Tv (Condor, Stoner, Don Draper), mi sveglio e continuo a vivere come nei sogni, frequento quasi esclusivamente persone disegnate per essere cartoni animati. Da che mi ricordo il bene e il male sono un’invenzione umana, troppo umana, la cui sfera viene delimitata da ministri del governo o della fede a seconda dei tempi e delle convenienze. Esiste un’area che non è grigia, ma arcobaleno, dove tutto si crea e nulla si distrugge. Lì abitava il Tony Soprano televisivo. Lo vidi apparire anni fa su un piccolo schermo di NewYork. Era grasso, portava un accappatoio bianco, ciabattava lungo il perimetro di una villa del New Jersey. Come un vecchio Holden si fermò a guardare le anatre volarne via e si sentì inspiegabilmente triste, tanto da cercare una psicoterapeuta a cui raccontarlo. Questo Tony aveva una famiglia: una madre che lo detestava, una moglie vagamente ottusa e bigotta, un figlio che non gli somigliava se non in peggio, una figlia politicamente corretta. E un clan di inaffidabili, da cui guardarsi le spalle. Era malinconico, qualche volta ferale (capace di uccidere durante una gita con la ragazzina), qualche altra sensibile (in grado di amare una russa senza una gamba, per quella mancanza, supplita dal coraggio). Cavaliere pieno di macchie, con qualche paura. Non si era mai visto un mafioso raccontato così: quelli di Scorsese, Coppola e Leone avevano una dimensione in meno. POI HO CONOSCIUTO L’ALTRO Tony Soprano, quello che era stato un mafioso veramente, prima di pentirsi e di farlo perché «Riina e Provenzano volevano che uccidessi degli innocenti». Anche lui ha una moglie e dei figli che lo fanno disperare, un umore in altalena e una storia che ha fatto la spola tra ferocia e dolcezza.
Nel mio codice personale la vita degli altri comincia quando li conosco e non giudico il passato, se hanno saputo andare oltre. A chi mi chiede come posso frequentare un pluriomicida e che cosa mai abbiamo in comune io e quest’altro Tony Soprano, rispondo che crediamo entrambi in alcuni valori: responsabilità, onore, lealtà. I miei amici di sinistra obiettano: «Tu sei sempre stato tendenzialmente un po’ fascista». Quelli giustizialisti: «Sei sempre stato tendenzialmente un po’ delinquente». Li lascio tendenzialmente dire e, quando sono nella città dove abita, vado al bar con Tony Soprano. Lui racconta la mafia come David Chase: nella tragedia si fa strada il comico. E ha vissuto come il personaggio della serie Tv. Se l’altro Tony si fosse pentito sarebbe diventato come lui: fiero, senza scorta, spesso fuor d’acqua. Ogni tanto mi chiede cose strane, come la volta in cui mi domandò se potevo procurargli il numero di Stefano Ricucci.
E a che ti serve?, chiesi perplesso.
«Vedi, mio figlio ha un locale che non riesce a vendere e Ricucci, che è un immobiliarista, potrebbe aiutarlo...».
Sì, ma perché dovrebbe farlo?
«Allora, quando lo arrestarono io provai simpatia per lui e il giorno dopo presi una cartolina, gliela spedii a Regina Coeli, e ci scrissi: Stai sereno, vedrai che esci presto. Senza firma, perché poi non si dicesse che aveva collegamenti sospetti. E ogni mattina gliene mandai una, finché effettivamente uscì. Ora, se tu mi dai il suo cellulare, gli chiedo un incontro, mi presento, gli scrivo sotto i suoi occhi: Stai sereno, vedrai che esci presto. Lui si ricorda, capisce, si commuove e mi aiuta».
NON HO MAI ORGANIZZATO quel summit, ma ho pensato che tutti i padri disperati sono capaci di inventarsi qualsiasi cosa, da qualunque parte stiano dello schermo o della legge.
Tutti poi vogliono soltanto andarsene in pace, circondati dai propri affetti.
Nell’ultima puntata della serie Tony Soprano, rappacificato con la moglie e i figli, va con loro al ristorante. Quando scende dall’auto c’è qualcuno parcheggiato a poca distanza che ne osserva i movimenti, qualcun altro fa lo stesso all’interno del locale. È un agguato, ma la telecamera si spegne prima, mentre sono ancora vivi e sorridono. Così immagina di andarsene l’altro Tony, e non importa per mano di chi o che cosa, «ma non ci saranno uomini della scorta a pagare per me».
James Gandolfini è morto. Tony Soprano? Mentre scrivevo ascoltavo Little Steven che nella serie interpreta il braccio destro, Silvio cantare un brano della colonna sonora, Inside Of Me. Il ritornello fa: «È ancora vivo dentro di me/Non è mai morto dentro di me».