Lavinia Farnese, Vanity Fair 26/6/2013, 26 giugno 2013
IL MIO MATRIMONIO DA DIECI E LODE
[Giorgia Surina]
Ad averla avuta davanti a occhi chiusi, mentre nel suo buio forzava il passato, e tornava a quando all’asilo l’insegnante Adele le toglieva i pastelli di mano per accompagnarla a un «pisolino pomeridiano» che mal subiva, lo avreste pensato anche voi, che a Freud va ancora riconosciuta una gran bella ragione, per essere arrivato alla conclusione che, non c’è niente da fare, ognuno di noi, da adulto, convive con il bambino che è stato.
Giorgia Surina, allora, se qualcosa non voleva era dormire. Lei desiderava continuare a disegnare. I compagni, gli altri, tutti, nella penombra scomparivano dentro i cuscini, e lei se ne stava lì, costretta in un’insofferenza calma, su una brandina scricchiolante, a guardare il pulviscolo che la luce faceva nell’aria, entrando dalla finestra socchiusa in fondo alla stanza. Vigile.
Proprio com’è quando ci incontriamo a Taormina al bar sulla spiaggia del resort che la ospita – il mare di fronte, la ferrovia che passa nel verde e nelle bouganville, dietro – e lei, qui per una lezione di cinema sul «successo a 20 anni», mette alle domande sul marito, Nicolas Vaporidis, un confine: «A settembre sarà un anno che siamo sposati, ed è come se avessi preso un dieci e lode. Da dire non c’è molto altro».
Non le piace che di loro si parli a lungo. Per una comprensibile «forma di protezione». Intorno a noi, il bianco: del suo vestito di cotone da mattino, degli ombrelloni che ci riparano, dell’orzata sul tavolo a fianco, dello yogurt che ha ordinato e lasciato lì. È la sua colazione.
Pensare che i giornali titolavano su di lei ragazzina: «Giorgia, la fatina dark di Mtv».
«Quindici anni fa, quando ho iniziato, tutto era nuovo e dirompente, nulla costruito. Andavo in onda in diretta dopo essermi truccata da sola, con i vestiti comprati al mercatino. Questo deve avere lasciato in noi (Victoria Cabello, Camila Raznovich, ndr), che siamo stati i volti di quell’innovazione senza artificio, un marchio di forever young. Io mi sento come se avessi una genetica diversa, come fossi stata toccata da qualcosa di magico e fresco, che mi ha insegnato lo stupore e non lo spavento, cosa significa non smettere di credere, osare, “aprire la propria mente”».
Qual è il primo ricordo che ha di questa- rivoluzione?
«Ero a Londra, avevo 20 anni. Mi stava per capitare di incontrare artisti fino ad allora visti solo sulle copertine dei dischi. Toccava a me, e a Eminem. Il mio inglese era ancora incerto. A Camden Town mi tremavano le gambe, mi feci forza: “È un ragazzo come te, solo un ragazzo come te”. E così fu: la sera, finimmo a fare tardi insieme in un locale».
È vero, come si dice, che Sere nere Tiziano Ferro l’ha dedicata a lei?
«Il testo torna, quando fa: “Mentre passa distratta la tua voce alla Tv”. E noi siamo stati grandi amici, ci frequentavamo tanto. Non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo».
Lei ne ha passate, di sere nere?
«Prima di mettermi con Nicolas, nel maggio del 2011, ho vissuto tre anni da single per colpa di un abbaglio: un uomo con cui dovevo addirittura sposarmi. È stato il dolore per quella storia sbagliata a rendermi lucida, a farmi tagliare gli strascichi: quando non si sa quello che si vuole, non ci si deve ostinare ad acchiappare lo stesso».
Si è mai fatta aiutare?
«La mia cura è sempre stata la radio, tuttora. E poi c’è stata mia madre. Ci ha pensato lei, a riprendermi per i capelli. I miei genitori hanno nomi da cartoni animati, Tina e Willy, ma da persone sane e modeste hanno avuto la grandezza di creare una bolla. Di farmi sentire dentro un nucleo di quelli che si vedono nei libri di scienze, che rimane indissolubile anche se il mondo fuori scoppia».
Com’è arrivato Nicolas?
«Assieme a un copione. Quello di Sei passi nel giallo. C’era anche lui, nel cast. Si girava a Malta. All’inizio non mi era simpatico. Forse anche perché, dopo essermi scottata, l’amore che sarebbe venuto me l’ero costruito a tavolino. I paletti erano: “Mai con un attore, mai con un romano, mai con uno più piccolo di me, mai con un Capricorno”. E Nicolas li buttava giù tutti».
E allora?
«Primo ciak, lui è un serial killer che mi deve sgozzare, io un ispettore di polizia legata a un tavolaccio di legno in un sotterraneo scuro, freddo e puzzolente, il corpo sotto il ricatto della sua pistola».
Di ritorno da Malta vi fidanzate, a un certo punto c’è aria di crisi, vi -lasciate. Lei va in Argentina per stare sola. Lui vola a riprendersela, le chiede di sposarlo. Come è andata a finire lo sappiamo tutti, ma che cos’era successo? Qualcuno ha dato la colpa agli otto anni in meno che ha Nicolas: la differenza di età è davvero una minaccia?
«Non può e non deve essere un limite. Se uno non è maturo a 20 anni, probabilmente non lo sarà neanche a 50. L’amore, se amore è, per sua natura va oltre le differenze, tutte: di anni, sesso, colore, religione. E lo dico da cattolica convinta. Davanti a un amico omosessuale che in America sta crescendo meravigliosamente una bambina voluta e avuta da genitore unico, rimango stupita di quanto bello possa essere, e con diritto assoluto di rispetto. Ci chiameranno “strani”. Saremo soprattutto radiosi».
Perché le nozze lontano, a Mykonos?
«In Grecia, e in un matrimonio con pochi invitati amici, speravamo in un po’ di silenzio. Invece le pubblicazioni del Comune ci hanno giocato un brutto scherzo, non eravamo più soli come avremmo voluto, e le foto amatoriali dell’interno della chiesa sono finite sulle copertine, senza rispetto».
Che cosa cambia «da sposati»?
«La sensazione di appartenenza, non all’altro, ma a una Spa, una società per amore, una promessa d’intenzioni che è come una lunga nuotata a due verso una stessa sponda. I miei genitori nuotano insieme da oltre 40 anni».
È vero che se è anche «dottoressa» lo deve soprattutto a suo padre?
«“Saresti la prima Surina laureata”, andava dicendo lui, disegnatore progettista al fianco di mia madre impiegata dell’ufficio postale, e lo faceva con un orgoglio in petto che non si poteva tradire. Studiavo di notte, di giorno infilavo i pattini e giravo per il mio quartiere a Corsico, vicino Milano, facendo volantinaggio per pagarmi le tasse dell’università».
Fu lì che vinse il concorso Miss Iulm e cominciò la sua carriera nella moda.
«Mi iscrissero gli amici».
Si spoglierebbe più, come ha fatto e in copertina, a 30 anni?
«Quei nudi erano un gioco con un’amica fotografa. So che mai mi presterei a un calendario da gattona».
Però, per contrappasso, la vedremo presto in Don Matteo 9.
«Nove mesi di set, fino a dicembre. Al provino mi sono detta: “Dopo tanto rock and roll, perché no la fiction italiana?”. Non ho paura di diventare diversa da quella che sono stata».
E a un bambino, nella sua Spa, ci pensa mai? Diceva di volerne, quando le mancava la persona giusta.
«Sì che ci penso, però rifuggo, oltre che il fatto di dirlo a un giornale, anche le scadenze, le facili pressioni psicologiche per cui hai un’età, una fede all’anulare e quindi non manca che quello. Non lo cerco, lascio che accada, e se deve arrivare arriverà, se invece no, quando sarà il momento, si troveranno delle soluzioni. Sono già felice così. Intanto».