Morya Longo, Il Sole 24 Ore 26/6/2013, 26 giugno 2013
LA GUERRA DELLA LIQUIDITÀ
«La realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non sparisce». Più degli studi economici, è questa frase – pronunciata dallo scrittore Philip Dick decenni fa – a spiegare i mercati finanziari: pompati dall’eccesso di liquidità, avevano raggiunto un livello di eccitazione fuori luogo rispetto alla realtà economica.
Mentre la gente comune fatica ad arrivare a fine mese, soprattutto in Europa, quasi tutti i mercati finanziari hanno raggiunto i record storici: dalle Borse ai bond "spazzatura". Mentre le banche europee erogano credito con il contagocce a imprese e famiglie, gli investitori ottengono finanziamenti con grande facilità e per importi record per speculare in Borsa. Ma ora che le principali banche centrali, per motivi diversi e in modi differenti, sembrano mollare l’acceleratore, sui mercati è scattato il panico. In tutto il mondo. Con conseguenze anche in Italia. E, potenzialmente, anche sull’economia reale. Ecco come. La fine del denaro facile Il vero cambio di passo, sui mercati, è stato causato dalla Federal Reserve Usa: il 19 giugno il presidente Bernanke ha lasciato chiaramente intendere che alla fine dell’anno potrebbe ridurre le iniezioni di liquidità perché l’economia americana è in ripresa. Non è certo che questo accada, ma per il mercato è stato un chiaro segnale: la speculazione, che per anni si è foraggiata alle maxi-iniezioni di liquidità della Fed, deve ridimensionarsi. Paradossalmente il miglioramento dell’economia spaventa i mercati, proprio perché temono che possa interrompersi il flusso di "droga" monetaria. Sembra follia, ma il meccanismo è proprio questo. Ma anche le altre banche centrali hanno lanciato segnali che, seppur diversi, hanno avuto simili effetti sui mercati. In Giappone l’istituto centrale ha varato due mesi fa la più grande manovra monetaria espansiva che la storia ricordi: in due anni raddoppierà la base monetaria. Insomma: pioveranno yen, freschi di stampa, dal cielo. Questo in un primo momento aveva infiammato le Borse. Ovvio, si tratta di denaro a costo zero da investire. Poi, quando si è capito che questa politica monetaria non sta ottenendo i risultati sperati sotto molti punti di vista, i mercati hanno iniziato a vacillare. E, soprattutto, a sperare che la Banca del Giappone aumenti la dose. Ma dato che questo non è accaduto, è emersa una certa delusione. Che si è fatta sentire più volte sulle Borse: a partire da quel crollo del listino di Tokyo del 7,3% del 23 maggio. In Cina, in fondo, sta accadendo la stessa cosa. Dopo anni di lassismo, è cresciuto un mondo finanziario "parallelo": un sistema para-bancario "ombra", che vale ormai il 55% del Pil nazionale, pari a 4.700 miliardi di dollari. Quando, settimana scorsa, la banca centrale ha iniziato a tirare la cinghia, per ridurre la liquidità che è diventata eccessiva e mal distribuita, la reazione è stata analogamente isterica: crollo delle Borse e panico in tutto il mondo. Tensioni in fondo favorite anche dalla Bce, che appare sempre più imbrigliata nei veti politici. Tutto questo ha dato ai mercati finanziari una percezione chiara: il "doping" monetario, unico e vero volano dei mercati finanziari negli ultimi cinque anni, potrebbe presto ridursi. Non finire, ma ridursi. Non importa se questo accade perché l’economia migliora come in America. Non importa se succede perché – finalmente – anche in Cina si cerca di ridimensionare un sistema finanziario gigantesco, invasivo e pericoloso. Ai mercati non interessa: per chi è abituato da anni ad avere la "dose" di liquidità giornaliera, queste non sono buone notizie. Gli effetti fino all’Italia La percezione di un’imminente "stretta", smentita comunque ieri da molti banchieri centrali, ha cambiato l’umore degli investitori: secondo l’indice del «sentiment» di Bank of America (che varia da zero a 10), gli investitori sono passati da 9,6 di maggio (euforia) a 4,4 (moderato pessimismo). Questo ha frenato la speculazione. Chi si indebitava per comprare azioni a Wall Street per investire in bond di Paesi emergenti o in obbligazioni "spazzatura", ha iniziato a cambiare rotta. E altrettanto hanno fatto i trader "algoritmici" e computerizzati, seguiti dai grandi fondi. In uno scenario che cambia, cambiano necessariamente anche i portafogli. E siccome si tratta di portafogli giganteschi, gli scossoni sui mercati sono stati poderosi. Violenti. Con repentini cambi di rotta. Questo ha causato il veloce rialzo di tutti i rendimenti dei titoli di Stato (che erano artificialmente bassi, soprattutto in America, proprio per gli acquisti delle banche centrali). Ha provocato un flusso di vendite sui bond dei Paesi emergenti, in precedenza oggetti dei desideri per la speculazione. E ha fatto salire anche i rendimenti in Europa: sia quelli dei Bund, sia quelli dei titoli periferici. BTp italiani inclusi. Sui titoli di Stato italiani ha giocato a sfavore anche il fatto che il piano Omt (cioè lo scudo anti-spread ideato dalla Bce per i Paesi in crisi) sia pendente preso la Corte Costituzionale tedesca: sebbene nessuno si attenda uno stop al piano, fin che non arriverà la sentenza la sua eventuale attivazione sarà comunque più difficile. Questo pesa. Morale: i rendimenti dei BTp decennali sono aumentati di un punto percentuale dal primo maggio ad oggi, arrivando al 4,87%. Il domino sull’economia La turbolenza per ora è solo finanziaria. Ma presto potrebbe riverberarsi sull’economia reale, già provata soprattutto in Europa. Negli Stati Uniti, per esempio, il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato ha già causato un adeguamento al rialzo dei tassi sui mutui: secondo bankrate.com, i mutui trentennali sono saliti al 4,24%, contro il 3,40% medio a maggio. Questo potrebbe, prima o poi, creare qualche problema a famiglie e banche. In Europa, e in Italia, il rialzo dei rendimenti avrà necessariamente lo stesso effetto: anche perché provoca potenziali perdite nei bilanci delle banche, piene zeppe di titoli di Stato. Bisogna ora vedere se questo possa rallentare la fragile ripresa americana e fiaccare ulteriormente l’economia europea, oppure se il mondo abbia intrapreso la lenta strada della normalizzazione. Certo è che i rischi sono tanti. Innanzitutto perché la ripresa economica globale resta fragile. Inoltre perché il sistema finanziario, ormai più di 10 volte più grande del Pil mondiale, resta troppo determinante per le sorti dell’economia reale. Il rischio è che ogni suo starnuto, si trasformi in una polmonite per tutti. La realtà, direbbe Philip Dick, prima o poi riemerge.