Francesco Specchia, Libero 26/6/2013, 26 giugno 2013
MATHESON, L’AUTORE DIVENTATO LEGGENDA
Il dottor Robert Neville caricò il fucile con un colpo secco. Volse lo sguardo pesto verso le persiane chiuse, attraversate da lame di luce timida, nell’annuncio dell’alba; il branco di vampiri ancora ululava, e rantolava alla porta. «E di colpò il dottor Neville pensò: Ora sono io l’anormale. La normalità è un concetto di maggioranza, la norma di molti e la non norma di uno solo...». (questo è testuale, la prima parte un mio ricordo di bambino).
La suddetta scena ossia il ritratto, nel racconto Io sono leggenda, dell’ultimo uomo sulla Terra assediata dai vampiri fu, da ragazzino, il mio incubo personale. Direi che se la batteva con Incubo a 20mila piedi, quell’episodio del telefilm Ai confini della realtà in cui un tizio comodamente seduto in aereo si accorge che un gremlin, un diavoletto peloso, gli sta smontando, in volo, un motore; il tizio urla a tutti il pericolo, ma nessuno gli crede. E tra gli esprit che mi segnarono l’adolescenza -tanto per stare sul personale- ci metterei pure la faccia terrorizzata dell’automobilista di Duel, perseguitato da un tir che lo vuol morto e non si sa perché. Soltanto anni dopo seppi che tutti e tre i miei cachemar immaginari provenivano da racconti di Richard Matheson. La cui morte, a 87anni, è stata l’altra sera annunciata attraverso un tweet straziante, della figlia Ali: «Il mio amato padre è morto ieri, in casa, circondato dalle persone e dagli oggetti che amava. Era brillante, intelligente, amorevole, generoso, gentile, creativo e il miglior padre che si possa desiderare». Non solo. Matheson era anche il miglior scrittore e sceneggiatore di genere che l’America postatomica, post maccartista e hollywoodiana abbia mai prodotto.
Quasi ignorato dalla grande critica, definito dagli allievi Ray Bradbury e Stephen King «uno degli scrittori più importanti del XX secolo», Matheson, barbuto signore dai modi gentili, era nato ad Allendale, New Jersey, il 20 febbraio 1926. Dopo aver lavorato come operaio in una fabbrica per finire gli studi di giornalismo, divenne gradualmente un grande narratore pop di romanzi gialli, di fantascienza, horror, fantasy e western. Matheson , inoltre, collaborato con Roger Corman, per il quale ha scritto alcuni dei film tratti da Edgar Allan Poe e prodotto dalla mitica Hammer Film - I vivi e i morti (1960), Il pozzo e il pendolo (1961), I racconti del terrore (1962), I maghi del terrore (1963)- e ha scritto la sceneggiatura del primo film di Stephen Spielberg, appunto Duel del 1971. Ha anche scritto e inventato molti degli episodi Star Trek e dei telefilm Alfred Hitchcock presenta. Nonostante spesso i film trasmessi alla tv non permettevano di leggerne il nome nei credits, Matheson è imprescindibile nella narrativa fantastica. Direi che il suo corpus narrativo ha influenzato non poco scrittori come Stephen King, Clive Barker e registi come David Cronenberg, Roger Corman, Hitchcok, lo stesso Tim Burton, o George Romero che proprio a Io sono leggenda -uscito in Italia col banale titolo I vampiri-trasse la saga infinita dei suoi zombies. Matheson distillava le emozioni, specie quelle degli altri.
«Io credo che la paura e il terrore siano due cose differenti: il terrore raggela lo spirito, mentre la paura agisce sul cuore. Io sono certo di aver scritto storie di paura, ma spero di aver scritto soprattutto storie di terrore», scriveva, dichiarando una mai troppo occulta affezione per la solitudine, la paranoia e l’indifferenza degli uomini che per lui -come per Tommasi Landolfi - era davvero «l’ultimo terrore». Matheson, dal punto di vista letterario, covava anche una passione per la matrice dell’irreale pirandelliano alla Mattia Pascal; e per gli spaesamenti del Gregor Samsa di Kafka (i cui germi si ritrovano in Io sono Helen Driscoll, dove senza motivo lo spettro di una donna appare ad un uomo che si fa ipnotizzare per scherzo).
Matheson - a detta di Giuseppe Caimmi nell’introduzione in una memorabile antologia Mondadori del ’91- era alla ricerca di «un oscuro potere» inabissato nell’immaginazione, una sorta di rivisitazione contemporanea del perturbante caro ad E.A. Poe, se si vuole. Le tematiche erano, più o meno, le stesse. Ruotano sullo sfaldamento della normale percezione della realtà (cara anche a P.K.Dick che, preso dai fumi di acido lisergico premeva di più sul grottesco...). Ma pure sulla necessità di scovare l’orrore nei piccoli gesti del quotidiano. Per esempio, fu osservando un film dove Ray Milland indossava un cappello che non era il suo, che partorì Tre millimetri al giorno- The incredible shrinking man, la storia di Scott Carey che per colpa di una nuvola radioattiva (siamo negli anni 50, piena fobia nucleare) un uomo si accorge, per caso, di rimpicciolire a vista d’occhio fino ad essere rinchiuso nei cassetti delle bambole, lottare con i ragni che sembrano mostri e finire risucchiato in mondi subatomici (l’ispirazione lì era Viaggio in una moneta, cult comic di Brick Bradford). La Univesal ne fece un film indimenticabile di Jack Arnold. Per non parlare dell’idea del camion-autocisterna di Duel guidato dal maniaco sempre in penombra, che ossessiona il protagonista David Mann, tranquillo commesso viaggiatore: Matheson ne cuoce l’intuizione durante un viaggio in solitaria sulla Route 66.
Chiamato da Alfred Hitchcock per scrivere Gli uccelli tratto dal racconto di Daphne Du Maurier, incassa il suo unico due di picche. Faccia a faccia col regista, Matheson esordì: «Non credo che gli uccelli si dovranno veder molto, signor Hitchcok...». Hich lo squadrò con orrore: «No, no, no, non ci siamo!», e la sceneggiatura toccò al giallista Evan Hunter. Matheson finì la carriera -come ricorda nel suo ammirato saggio Giuseppe Lippi Incubi Spa, Almanacco della Paura Sergio Bonelli, ’98- nel western crepuscolare con Journal of the Gun Year e Il Conquistatore . Il figlio, Richard Matheson jr., ne ha proseguito l’opera, con meno maestria. Matheson rivoluzionò la gamma dei nostri stessi orrori. Lo sguardo sperduto del dottor Neville tra i vampiri divenne, per molti di noi, davvero una metafora dell’uomo moderno...