Carlo Rimini, La Stampa 27/6/2013, 27 giugno 2013
L’ITALIA NON PUÒ FAR FINTA DI NIENTE
La sentenza della Corte Suprema americana sul matrimonio omosessuale è solo l’ultimo tassello.
L’ ultimo tassello lungo una strada che la civiltà occidentale ha imboccato con decisione negli ultimi anni: il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e, in primo luogo, del loro diritto a unirsi in un vincolo riconosciuto dallo Stato. Le democrazie occidentali sono ormai in gran parte orientate a riconoscere questo diritto come espressione del fondamentale principio di uguaglianza e del divieto di discriminazione delle persone sulla base del loro sesso, delle loro opinioni e della loro condizione.
La politica, la buona politica, sa vedere come cambia la civiltà, come si sviluppa il pensiero della gente. Sa leggere le linee del cambiamento, sa guidarlo, prevenirlo, orientarlo. In una parola, sa governare il cambiamento. Ebbene, non dovrebbe essere difficile cogliere che anche in Italia – e non solo in tutti gli altri Stati con cui siamo abituati a confrontarci – il sentire comune non ritiene più che sia giusto negare alle coppie omosessuali il diritto di formare una famiglia riconosciuta dallo Stato. Lo dicono le sentenze della Cassazione e lo registrano i sondaggi di opinione, che non dovrebbero solo indicare ai politici le variazioni nel loro consenso elettorale, ma dovrebbero essere uno strumento per capire la società che cambia. Gli italiani non sembrano favorevoli all’introduzione del matrimonio omosessuale: la parola «matrimonio» ha per noi un significato, anche religioso, che pare incompatibile con l’unione di due persone dello stesso sesso. Al contrario nulla impedisce di creare un istituto familiare che consenta alle coppie omosessuali di formalizzare la loro unione all’interno di una cornice giuridica certa che attribuisca loro diritti sovrapponibili a quelli dei coniugi eterosessuali. Lo si è fatto in Germania, lo si è fatto in Inghilterra e in un gran numero di altri paesi. In Italia la politica ne parla da anni, proponendo formule anche inutilmente complicate, ma passare dalle parole ai fatti sembra troppo difficile anche quando non si tratta di rispettare i vincoli di bilancio.
Il «Governo del fare» proponga un disegno di legge e il Parlamento lo approvi rapidamente, altrimenti la gente penserà che la politica sia solo capace di imporre sacrifici economici e non si occupi della società. Diversamente, di fronte all’inerzia del legislatore, interverranno ancora una volta i giudici. La Cassazione e la Corte Costituzionale hanno infatti da qualche anno iniziato a seguire una giurisprudenza sempre più aperta al riconoscimento dei diritti delle nuove famiglie. Non è lontano il momento in cui anche la nostra Corte Costituzionale, pur ribadendo che è legittimo che il matrimonio possa essere celebrato solo fra persone di sesso diverso, sarà costretta ad affermare che è contrario al principio di uguaglianza il fatto che non sia riconosciuta alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre una unione civile. Sarebbe l’ennesima sconfitta della politica, vittima della propria inerte incapacità di guidare i cambiamenti.
*Ordinario di diritto privato nell’Università di Milano twitter: @carlorimini