Cesare Monetti, Avvenire 27/6/2013, 27 giugno 2013
FIASCONARO, 40 ANNI DI UN RECORD SENZA EREDI
Manca dal 1978, ma Milano per Marcello “March” Fiasconaro è sempre la capitale del mondo e di quella magica serata del 27 giugno 1973 ricorda ogni istante. Primato mondiale sugli 800 metri, fermò il cronometro sull’1’43’70”, ancora oggi record italiano. È nato a Città del Capo dove il padre Gregorio, siciliano, si trasferì a cercar fortuna, ma lui si considera italiano. Chi l’ha visto correre rammenta quella sua corsa massiccia, da rugbista, sport che aveva praticato in Sudafrica. “March” è sempre stato un coraggioso, un solitario, oggi è un sessantenne brillante e in forma, jeans, camicia e mocassino.
Marcello, cosa ha fatto negli ultimi 40 anni?
«Ho lavorato come rappresentante per Adidas, per 34 anni in Sudafrica. Ora, andrò in pensione e giocherò a golf. Con mia moglie Sally andrò più spesso a trovare i miei figli. Gianna ha 36 anni e vive a Dubai, Luca ne ha 32 e sta a Città del Capo».
Ha saputo della scomparsa di Pietro Mennea?
«Un grande uomo, abbiamo avuto in comune l’allenatore, il professor Vittori, mi spiace di non aver mai potuto fare con lui una staffetta 4x400».
In Sud Africa ora siete in apprensione per Mandela…
«Il più grande di tutti, ha portato sullo stesso livello bianchi e neri. Mio padre gestiva dei teatri importanti, fu uno dei primi ad aprire i luoghi pubblici ai neri. Quando avevo 11 anni c’erano due autobus per andare a scuola, uno per i bianchi e l’altro per i neri. Assurdo».
Cosa ricorda di quella notte di 40 anni fa?
«Ricordo di aver avuto un gran mal di testa tutto il giorno. Con Vittori e Banner, i miei allenatori, decidemmo a tavolino la tattica: l’unica maniera per battere Plachy, atleta dal forte sprint finale, era cercare di scappare via, creare da subito un gap incolmabile. Sono partito forte, fortissimo. Però, non mi ha mollato, dopo il primo giro lo sentivo dietro attaccato a me, sentivo il suo fiato sul collo. A 150 metri dall’arrivo finalmente è scoppiato e ha rallentato. Io no, ho spinto fino alla fine. Che fatica».
Si dice che la sua corsa fu come quella di Rudisha alle Olimpiadi londinesi.
«David è un grande campione, è stato capace di vincere l’oro olimpico e battere il primato mondiale. Niente lepri a tirare e un solo obiettivo: vincere. Sarà il primo a correre gli 800 sotto i 100 secondi».
Quali i suoi idoli negli 800 metri?
«Prima di Rudisha c’è stato Alberto Juantorena che batté il mio record nel 1976 nella finale Olimpica di Montreal. Fece 1’43”50. Poi c’è stato Sebastian Coe, classe cristallina».
Si è spesso parlato di una ipotetica sfida sui 400 metri tra Bolt e Rudisha, chi vincerebbe?
«Bolt. La velocità conta di più in un solo giro».
Sa che il suo 1’43”70 è ancora il primato italiano?
«Lo so. Ma non ci sono giovani forti?»
Ha seguito l’Italia del rugby in tour in Sud Africa?
«Ho chiuso con l’atletica per giocare ancora con la palla ovale a Milano. Oggi gli azzurri sono cresciuti molto, anche se in queste settimane non hanno brillato. Mi piacciono Parisse e Castrogiovanni. Sono coraggiosi».
Come Lei in quella notte di 40 anni fa…
«L’atletica è una sfida… sempre».