Diego Motta, Avvenire 27/6/2013, 27 giugno 2013
L’ASCESA DI CASSA DEPOSITI E PRESTITI
È seduta sopra un tesoro di 230 miliardi, raccolto tra circa 24 milioni di italiani che hanno investito allo sportello in buoni e libretti postali. Nel 2012 ha mobilitato risorse per oltre 22 miliardi, pari all’1,5% del Pil e non c’è vicenda politica ed economica, dai fondi agevolati per le imprese allo scorporo della rete Telecom, in cui non venga chiamata in causa. Eppure, la Cassa depositi e prestiti resta un’illustre sconosciuta per i più e anche tra gli addetti ai lavori è in corso un dibattito per definirne meglio i contorni e l’identità.
A luglio verrà annunciato il prossimo piano industriale e i due azionisti di peso, il Tesoro all’80% e le fondazioni bancarie al 18%, dovranno svelare le carte, su cui per ora c’è il massimo riserbo. Ma dall’attività condotta in questi anni è già evidente come sia in corso una metamorfosi per la società guidata da Franco Bassanini e da Giovanni Gorno Tempini, riconfermati da Monti ad aprile per i prossimi tre anni.
Il rapporto col territorio e l’export
«Siamo una banca di sviluppo» spiegava quest’ultimo qualche mese fa a chi gli chiedeva del ruolo di Cassa depositi e prestiti nel futuro del Paese. I numeri diffusi a maggio 2013 confermano il calo di finanziamenti per gli enti pubblici e la crescita delle partecipazioni, attraverso i fondi d’investimento, nei settori dell’energia, delle multiutility e delle infrastrutture. In particolare, il taglio dei fondi a Comuni, Province e Regioni è stato netto: meno 3 miliardi in dodici mesi (dai 6,3 del 2011 ai 3,3 del 2012) il che equivale a un crollo di quasi il 50% nella concessione di mutui a tassi agevolati per le opere da realizzare sui territori (lo stock complessivo ammonta a 100 miliardi). Ma non si tratta di una scelta politica, quanto dei vincoli posti dal Patto di stabilità alle finanze dei Comuni. Che Cdp serva allo sviluppo del territorio, lo dimostra peraltro il fatto che sia proprio questo il veicolo scelto dal governo per far rientrare a livello locale i 4 miliardi necessari (2 nel 2013 e 2 nel 2014) per pagare gli arretrati con le imprese che vantano crediti nei confronti dello Stato. È di ieri intanto la notizia dell’aumento di 2 miliardi (da 4 a 6) del plafond messo a disposizione di Export Banca, lo strumento destinato alle operazioni di finanziamento dell’export e dell’internazionalizzazione delle imprese italiane.
I fondi e l’ipotesi società delle reti
Il vero punto di svolta per Cassa depositi e prestiti, però, va individuato seguendo la mappa degli interessi aperti nel mondo dell’industria. La creazione di una società delle reti «non è sul tavolo» ha detto nei giorni scorsi Bassanini. Eppure Cdp controlla il 29,9% di Terna nel mercato elettrico, il 30% di Snam nel settore del gas (e ha una quota del 26,4% di Eni). Con Telecom è stato avviato un confronto sullo scorporo «per fare investimenti necessari allo sviluppo della rete, nonché tali da garantire un ritorno nel lungo periodo», ha puntualizzato Bassanini. CreaÈ re un veicolo unitario è davvero un’ipotesi così peregrina? D’altra parte, anche le strategie di mercato seguite dal fondo comune d’investimento F2i, che hanno coinvolto otto aziende dalla green economy alle telecomunicazioni sino agli aeroporti e al gas, dimostrano che in gioco non c’è solo la remunerazione del capitale per chi ha investito, ma un disegno di valorizzazione e di crescita, non solo finanziaria, di diversi business . Ancor più esplicito è il traguardo perseguito dal Fondo strategico italiano che, nel campo delle ex municipalizzate, «promuove l’aggregazione geografica di operatori di piccole-medie dimensioni e la creazione di ’campioni’ su scala nazionale ». È sufficiente tutto questo per parlare della Cassa come del simbolo della nuova politica industriale del Paese? Dal Tesoro stoppano subito eventuali voli pindarici. «Cdp deve semplicemente garantire un ritorno sui risparmi affidatici tramite Poste dagli italiani». Solo garanzie finanziarie, dunque, tanto più che «le scelte di investimento riguardano per statuto aziende con prospettive di crescita ed escludono del tutto società in perdita». Nessun salvataggio in vista per gli ex colossi pubblici caduti in disgrazia. A meno che il governo non immagini una nuova metamorfosi nel prossimo piano industriale.