Luca Fazzo, il Giornale 25/6/2013, 25 giugno 2013
COSI’ HA VINTO LA TEORIA DEL COMPLOTTO
La storia del Rubygate, come la ricostruisce ed interpreta la sentenza di ieri del tribunale di Milano, non è solo la storia di un principe dissoluto, pronto a usare i suoi poteri pubblici per difendere il segreto sui suoi vizi. È anche la teoria di un gigantesco complotto messo in piedi dallo stesso imputato e dalla sua corte per depistare le indagini e ingannare la giustizia. Per il giudice Giulia Turri, intorno al processo a Berlusconi si è messa in moto una macchina senza precedenti, fatta di complici eterogenei, ma tutti schierati in campo per occultare la verità, a costo di mentire sotto giuramento. Mai si erano visti, al termine di un processo, ben trentadue testimoni avviati verso la incriminazione per avere detto il falso.
La decisione del tribunale di trasmettere le trascrizioni delle trentadue testimonianze alla Procura, perché «valuti» se procedere all’incriminazione, è - a ben vedere - l’aspetto forse più significativo della sentenza di ieri, e ne costituisce in qualche modo l’architrave logica. Se i giudici si fossero fermati alla apparenza, all’aspetto esteriore di quanto emerso in aula, non avrebbero potuto condannare Berlusconi. La parte ampiamente maggiore dei testimoni avevano negato, ognuno per la sua parte, pezzi importanti delle tesi della Procura. Negate le pressioni sulla questura, negati i rapporti sessuali con Ruby, negati gli aspetti piccanti delle feste di Arcore, la famosa «terza fase» fatta di seni al vento e concupiscenze soddisfatte, descritta dai testimoni d’accusa. Per non arrendersi a queste versioni, il tribunale aveva una sola strada. Tirare una linea che separasse le testimonianze genuine da quelle fasulle. Di qua, le testimoni d’accusa. Dall’altra, le deposizioni che scagionavano l’imputato. E che ora, quasi in blocco, vengono considerate una lunga serie di deliberate menzogne. Poiché è inverosimile che trentadue testimoni abbiano casualmente, l’uno indipendentemente dall’altro, raccontato un sacco di balle, è ovvio che i giudici vedono dietro questo depistaggio una sola grande regia. E il regista è sempre lui, Silvio Berlusconi.
Del complotto sono strumenti personaggi disparati: una lunga serie di fanciulle ospiti delle feste, dalle gemelle De Vivo a Barbara Faggioli; funzionari dei servizi segreti come Giuseppe Estorelli; parlamentari come Valentino Valentini, Mariarosaria Rossi, Licia Ronzulli; diplomatici di carriera come Bruno Archi; dirigenti Mediaset come Carlo Rossella, o collaboratori di Berlusconi come il massaggiatore Puricelli e il cantante Apicella. E soprattutto, figura chiave della teoria del complotto, Giorgia Iafrate, commissario capo di polizia. Colei che la notte del 27 maggio 2010 firmò la liberazione di Ruby dalla questura di Milano, e che in aula ha dichiarato di avere fatto tutto di testa sua, nell’ambito dei suoi poteri, e di non avere nemmeno mai saputo che Berlusconi avesse personalmente telefonato in questura.
Nonostante in aula abbiano fornito versioni coincidenti con il racconto della Iafrate, i suoi superiori - il vicequestore Ostuni e il dirigente Ivo Morelli - scampano chissà perché all’incriminazione. Ma la rilettura del capo di imputazione che ieri porta il tribunale a inasprire la pena a Berlusconi chiama in causa anche loro. Per i giudici, i poliziotti furono vittime del Cavaliere, dell’arroganza dei suoi ordini impliciti. Ma poi la Iafrate si sarebbe trasformata in sua complice, mentendo sotto giuramento per proteggerlo. Perché questo sia avvenuto, dovranno spiegarlo le motivazioni. Per le olgettine, la causale è fin troppo ovvia: i 2.500 euro che, Berlusconi versa loro ogni mese. Ma per tutti gli altri bastano la sudditanza psicologica, la affinità politica, la speranza di favori, a spiegare lo spergiuro e la partecipazione al complotto?
E poi c’è lei, Ruby. Anche lei, soprattutto lei, parte decisiva del complotto per salvare Silvio. Il tribunale non la propone per l’incriminazione, perché in questo processo non è stata interrogata. Ma qualcun altro, si può stare certi, provvederà a colmare la lacuna.