Vittorio Feltri, il Giornale 25/6/2013, 25 giugno 2013
SE LE TOGHE FANNO LE BADANTI DELLA SINISTRA
Siamo uomini di mondo e abbastanza vecchi per averne viste di tutti i colori. Cosicché la condanna di Silvio Berlusconi (sette anni di carcere più interdizione perpetua dai pubblici uffici) ci amareggia, ci avvilisce, ma non ci sorprende. Dal 1994 il Cavaliere è in politica, e da allora - da quando cioè inaspettatamente vinse le elezioni - è considerato l’avversario numero uno della sinistra che, caduto il pentapartito, si era considerata erede unica al potere. Un avversario dapprima sottovalutato, quindi preso poco sul serio, poi, visto il suo successo sul piano dei consensi, temuto, odiato e giudicato talmente ingombrante da meritare di essere combattuto su ogni fronte, anche giudiziario. La nostra analisi, per quanto possa apparire affrettata, si basa su dati di fatto, sull’osservazione della realtà. In effetti la prima botta in testa all’intruso (un imprenditore improvvisatosi leader politico) fu inferta proprio nel 1994, a pochi mesi dal suo trionfo alle urne. Era la fine dell’anno: Silvio Berlusconi, durante un vertice internazionale, ricevette un avviso di garanzia per un reato. Non ricordo quale, ma ricordo che la storia finì in una bolla di sapone. Comunque fu un segnale. Di cui gli ex comunisti furono ben lieti: dalla politica la battaglia si trasferiva anche sul terreno giudiziario. Berlusconi andava sputtanato in ogni modo, distrutto nella reputazione e nell’immagine. Dopo di che, anche politicamente, egli avrebbe pagato il fio.
Ecco perché i compagni, da quel momento, si sono sentiti alleati dei giudici: dove non arriviamo noi, speriamo che arrivino loro, ragionavano. Passa il tempo. Vince Romano Prodi, la Lega si slega dal centrodestra. Tutto sembrava accomodarsi secondo i desideri e gli interessi dei postcomunisti. Calcoli sbagliati. Il Cavaliere non capisce l’antifona e insiste a stare al vertice di Forza Italia. Nel 2001 rivince le consultazioni e governa per cinque anni. L’opposizione si dispera. Ha l’impressione che il leader del centrodestra abbia sette vite come i gatti e che sia difficile, se non impossibile, batterlo con le armi della politica. Per cui ogni iniziativa delle Procure è salutata quale opportunità di sconfiggerlo, mandarlo a casa, lasciando lo schieramento conservatore (se è lecita la definizione) orfano del suo principale sponsor.
I processi, le perquisizioni, le intercettazioni tese a incastrare il nemico numero uno dei progressisti non si contano e si accavallano. Nonostante ciò, lui se la cava sempre. Nel 2006 Berlusconi perde le elezioni, anzi le pareggia. Nel 2008 le vince. Nel 2013 le pareggia di nuovo. Insomma, anche quando sembra morto, il Cavaliere con un colpo di coda si rialza. E la sinistra non sa più a che santo votarsi per liberarsi da questo signore che le vieta di pigliare in mano il timone del Paese. Non le resta che confidare nella tenacia della magistratura: o ce la fanno le toghe a eliminarlo o gli eredi del Pci sono fritti.
Ai nemici di Silvio non par vero che le Procure abbiano sul tavolo le carte dei diritti Mediaset (presunta evasione fiscale) e di Ruby Rubacuori, squallida vicenda di sesso e ammennicoli vari. È noto che all’imprenditore - politico le donne piacciano. Ci gioca. Si vanta di conquistarne parecchie. Un’occasione eccellente per metterlo sotto. Non ho - non abbiamo - gli strumenti per dire come si siano svolte le famose cene eleganti nella villa di Arcore. Mica siamo poliziotti. Ci limitiamo a segnalare che Ruby nega di essere stata a letto col padrone di casa e che nessuno dei supposti concussi (la telefonata in questura) afferma di essere stato vittima di concussioni. Di norma, se non esistono le vittime di un reato non esiste neanche il reato. Nel caso di specie accade qualcosa di stravagante o quantomeno strano: i giudici non credono a Ruby (vittima, quindi, a propria insaputa) e neppure a quelli che dicono di non essere stati costretti ad agire secondo la volontà del Cavaliere.
E allora? Per condannare Berlusconi bisogna sbugiardare i testimoni. Dov’è il problema? Essi saranno perseguiti per falsa testimonianza. Cerchio chiuso. Anche chi non s’intenda di diritto e pandette comprende l’anomalia. In sintesi, l’imputato è stato condannato a una pena superiore alle richieste del pm Ilda Boccassini. Conclusione. Dato che la politica non è mai stata in grado di spedire fuori gioco il Berlusca, ha provveduto la giustizia a fare «giustizia»: in galera. Ma non è detta l’ultima parola.
Ci sarà l’appello, poi la Cassazione. Dopo di che il quadro sarà completo. Magari falsato, ma non parziale quanto quello di oggi. Comunque, confessiamo di essere basiti, pieni di sospetti e di dubbi. Una democrazia che non riesca a funzionare senza aggrapparsi in qualche modo alla magistratura, non è una democrazia. E una magistratura che si presti, o che dia l’idea di prestarsi, a determinate manovre non fornisce una prova esemplare di autonomia. È solo una sensazione, ma molto forte.