Michele Ferrante, SportWeek 22/6/2013, 22 giugno 2013
LA FINE
Erbacce ovunque, le strutture fatiscenti hanno imboccato la deriva finale, dalle scuderie alla pista e fino alle tribune ormai deserte dal dicembre 2012, quando l’impianto è stato chiuso per fallimento della società che lo gestiva, oberata dai debiti. I pochi cavalli rimasti e gli uomini che se ne prendono cura senza sapere come faranno a pagare i conti della paglia a fine mese si aggirano come spettri dai giorni ormai contati. Hanno staccato pure acqua e luce, se ne dovranno andare per lasciar spazio alle ruspe destinate a preparare l’area su cui sorgerà il nuovo stadio della Roma. Ormai è scritto.
Sulla pista dell’ippodromo romano di Tordivalle, nel 1998, un cavallo vinse il Derby, la corsa delle corse. E piazzò il primo vero grande tassello dell’immensa favola chiamata Varenne, il più grande trottatore della storia mondiale. Quasi 15 mila in tribuna, l’atmosfera unica dell’evento sportivo e mondano che solo Roma riesce a creare, forse anche per quella inimitabile luce del suo tardo pomeriggio. Di quegli antichi fasti restano macerie, la fotografia di una resa incondizionata che quasi 300 chilometri più a nord viene rifiutata a tutti i costi.
L’ippodromo delle Cascine di Firenze è immerso nel verde dell’omonimo parco. L’Arno è quasi lì e al fiume che spesso ispirò Dante, nel lontano 1827, alcuni nobili inglesi residenti a Firenze intitolarono la prima corsa di cavalli in Italia. Ogni anno, all’ippodromo, il rito della Corsa dell’Arno si rinnova con le tribune piene di gente, perché in città l’ippica ha deciso di non arrendersi, sorretta dalla passione e, ovviamente, dall’interesse economico in prospettiva futura, ammesso che una prospettiva esista.
Viene da lontano la crisi ormai quasi irreversibile dello sport dei re: dalla metà degli Anni 90, quando le scommesse sportive entrate su un tappeto rosso (anziché pagando una tassa di ingresso) nella già esistente rete ippica, iniziarono a erodere fette di mercato e a limitare, fino a bloccarlo, il ricambio generazionale tra i seguaci delle scommesse abbinate ai quadrupedi, fra i quali gli under 40 sono ormai diventati mosche bianche. Successivamente, ecco il fiume di misfatti della politica avventatasi sui miliardi (di euro) in gioco, con la complicità delle cosiddette categorie ippiche comunque appagate da risorse sufficienti per tenere in piedi un mastodonte da oltre 40 ippodromi pieni di cavalli ma senza un progetto di rinnovamento necessario come l’ossigeno.
Il colpo di grazia? Fine 2011, taglio del 40% di tutte le risorse (montepremi, corrispettivi a ippodromi, provvigioni allevatorie) per il crollo delle scommesse e il mancato contributo una tantum di oltre 150 milioni che aveva tenuto insieme la baracca, miseramente crollata assieme alla struttura amministrativa (Unire-Assi), azzerata per far posto a un’entità che ancora non esiste, con conseguente paralisi pressoché totale del sistema, pagamenti dei premi compresi.
Scioperi, manifestazioni, disperazione, eutanasia operativa. Ormai le vittime non si contano, al momento sono sei gli ippodromi che fanno parte della lista nera, ma è come se fossero 60. Assieme a Roma sono fermi Milano trotto e Napoli (trotto e galoppo), i tre principali impianti nazionali, affiancati da Livorno, Ravenna e Padova. Sono chiusi per fallimento (Roma e Napoli) o per impossibilità più o meno reale di andare avanti (tutti gli altri), ma destinati forse almeno in parte a rinascere. Gli spettri romani ritroveranno vita all’interno dell’ippodromo del galoppo di Capannelle, dove sorgerà una pista di trotto esattamente com’è accaduto a Firenze. La gestione di Napoli (almeno temporanea) dovrebbe venire assegnata nei prossimi mesi e, alla fine, l’unico dei grandi impianti davvero condannato sembra il trotto di San Siro, che non ha più presente e quasi certamente neanche un futuro, con i terreni su cui sorge destinati ad altro utilizzo. Qualcuno ogni tanto parla di un nuovo San Siro a sud della città, ma fino a quando la politica che ha rovinato tutto non approverà una riforma (semi privatizzazione) con un minimo di certezze su numeri e risorse, le bocce resteranno ferme e l’esercito degli spettri vaganti continuerà a crescere.