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 2013  giugno 26 Mercoledì calendario

DI ROCCO, LO ZINGARO DEL RING

«Qualche rom si è ferma­to italiano /come a un ramo a imbrunire su un muro/ saper leggere il libro del mondo /con parole cangian­ti e nessuna scrittura…». Sono le pa­role di Khorakhanè, la canzone o­maggio al popolo Rom di Fabrizio De André. In quel frammento di brano, c’è anche un po’ tutta la storia di Mi­chele Di Rocco, classe 1982, il primo rom italiano ad essere diventato cam­pione europeo di pugilato. L’8 giugno, a Brindisi, battendo l’inglese Lenny Daws, ha conquista­to la corona conti­nentale dei Super leggeri (categoria di 64 kg). Un traguardo storico, l’ennesimo pugno sferrato con­tro il pregiudizio e il luogo comune che vuole tutti gli zingari, brutti, sporchi e cat­tivi. «La mia espe­rienza insegna che si può essere nomadi, Rom, Sinti, Kale, Ma­nouches e Romani­chals, tante sono le nostre etnie zingare, e condurre una vita regolare, fatta di sacrifici e di la­voro onesto che poi porta a dei risul­tati importanti, come le mie vittorie sul ring». Lì sopra al quadrato, Miche­le, terzo di dieci figli, «unico maschio in mezzo a nove sorelle», c’è salito che era un bambino. «Ho cominciato alla palestra di Bastia Umbra dove vive la mia famiglia. All’inizio facevo sia boxe che karate, poi a 14 anni sono entrato nel giro della Nazionale di pugilato e ho capito che questa era la mia stra­da ». Nel 2004 arriva la ribalta olimpica ai Giochi di Atene. «Grande emozione, ma anche tanta amarezza. Ai quarti di finale incontro George Ionut, romeno e rom anche lui. Ai punti avevo vinto nettamente, ma per strani “giochini politici” vengo eliminato». Chiude con il dilettantismo e rinuncia anche a un posto in Polizia. «Sono cresciuto con il mito di Cassius Clay e tra i pugili i­taliani il mio punto di riferimento è stato il compianto Giovanni Parisi: uo­mini veri che hanno saputo rischiare sulla propria pelle e che logicamente hanno fatto della boxe una professio­ne. Rimanere un dilettante solo per a­vere uno stipendio garantito e poter partecipare alle Olimpiadi, non rien­tra nella mia filosofia». La filosofia del “Gipsy King” del ring che in 37 incontri da pro­fessionista ha otte­nuto 35 vittorie, un pari e una sola scon­fitta: «Immeritata, contro Giuseppe Lauri: per colpa di u­na ferita all’arcata so­praccigliare quel match è finito in ris­sa, e mi hanno squa­lificato. Ma l’anno dopo a Lauri l’ho bat­tuto, ko alla prima ri­presa».
Racconta le sue imprese con fierezza, ma senza astio, perché «il pugilato non è uno sport violento e a me ha inse­gnato tre cose fondamentali: educa­zione, rispetto e umiltà». Valori che vanno a sommarsi a quelli impartiti nel suo clan di nomadi, però vivendo sempre in appartamento. «Mio padre, figlio di allevatori di cavalli, fino a vent’anni ha girato l’Italia in roulotte, poi si è trovato un lavoro regolare, mu­ratore, e noi figli siamo nati e cresciu­ti sotto un tetto». Via di casa però a 18 anni e con la tradizionale “fuitina” ha sposato Filomena, rom anche lei, che gli ha dato Anna 11 anni, Jennifer 9 e il piccolo Francesco, 3 ad ottobre. «L’abbiamo chiamato come Totti e co­me il nostro San Francesco: da Bastia Umbra alzi un dito e “tocchi” il cielo sopra Assisi. Se mio figlio volesse fare il pugile? Come hobby glielo consi­glierei, ma farne una professione no, è troppo dura, specie in Italia. Ti alle­ni sei ore al giorno, fai mille sacrifici e altrettante rinunce, perché i soldi spes­so non bastano. Mi autofinanzio, ma prima dell’Europeo non mi sono po­tuto permettere neppure una seduta di fisioterapia». È il grido d’allarme del campione gitano che da quest’arte no­bile, eppure povera, vuole comunque essere «un modello per i più giovani. Sono zingaro e me ne vanto. Combat­to per la mia gente, ma anche per tut­ti gli italiani. Al presidente del Coni Giovanni Malagò chiedo di stare più vicino a tutti quelli che, come me, si impegnano nello sport anche per fa­vorire l’integrazione delle minoranze etniche». È questa la sfida che gli sta più a cuore: mandare definitivamen­te al tappeto la discriminazione verso i rom. «Mai subìto episodi di razzismo. Conosco la storia del genocidio degli zingari sotto il nazismo, tragedie che non dovranno accadere mai più...».
Stringe i pugni Michele e poi riattac­ca: «A volte al semaforo mi fermo a parlare con qualche rom di strada ai quali dico sempre che le cose posso­no cambiare solo se provi a renderti u­tile per la società e se accetti le regole della convivenza civile».
Parla da saggio, eppure ha dovuto ab­bandonare gli studi in terza media per coltivare quel sogno di diventare un campione che gli aveva predetto la “maga” di casa Di Rocco. «Nonna Vin­cenza. Prima di ogni match mi salu­tava con due baci dicendomi: “Vai Mi­chè e vinci, nonna pregherà fino al tuo ritorno”. Sapeva leggere le carte mia nonna e mi ha insegnato la lingua dei rom con cui ho parlato con il calcia­tore serbo Sinisa Mihajlovic». Si chia­ma Vincenza anche una delle sue so­relle, che nel 1997 partecipò alle fina­li di miss Italia e ora è sposata con Pa­squale Casamonica che con Domeni­co Spada e Claudio Di Silvio comple­tano la colonia nazionale dei pugili gi­tani. «Ci sono tanti talenti del pugila­to tra i rom. E io vorrei vincere un ti­tolo mondiale e con i soldi della bor­sa poter aprire una palestra per tutti quei ragazzi in difficoltà e alla ricerca di riscatto».