Giampaolo Visetti, Affari&Finanza, la Repubblica 24/6/2013, 24 giugno 2013
L’AMBIZIONE DELLO YUAN FUTURA VALUTA DI RISERVA
Gli Usa, e in misura minore la Ue, accusano la Cina di mantenere lo yuan sottovalutato per sostenere l’export. Le ultime analisi dimostrano che così non è: al contrario il suo valore potrebbe essere cresciuto troppo. Pechino avrebbe deciso di barattare una minore competitività con un allentamento del controllo sui capitali esteri, in vista dell’avvio della piena convertibilità della moneta. Lo yuan forte sarebbe il preludio alla costruzione della nuova valuta di riserva dell’Asia, da affiancare al dollaro e all’euro. I dati confermano gli ultimi movimenti della banca centrale cinese, avviati dopo che il premier Li Keqiang ha annunciato che entro l’anno presenterà il piano di allentamento sul controllo dei capitali. Dieci anni fa un dollaro veniva cambiato con 8,28 yuan. A fine maggio il rapporto è passato a 6,12, il che significa che lo yuan ha guadagnato il 35%. Ancora più consistente il recupero sullo yen, primo partner commerciale di Pechino: da novembre l’apprezzamento ha superato il 20%. Considerando il cambio reale, ossia il tasso ponderato con il costo del lavoro in Cina, Usa, Giappone e Ue, lo yuan in dieci anni si è rafforzato del 50%. La Banca dei regolamenti internazionali, che calcola il cambio reale in 61 Paesi facendo la differenza con l’inflazione, ha confermato che lo moneta cinese nell’ultimo anno ha registrato la crescita più rapida, a parte quella del Venezuela. E’ chiaro che a Pechino le valutazioni monetarie
cominciano a pesare più di quelle economiche. Lo yuan si rafforza e la crescita rallenta attorno al 7,5%, l’inflazione è in calo (più 2,1% in maggio), le esportazioni frenano al più 1%, il costo del lavoro aumenta e la popolazione fa registrare un tasso di invecchiamento secondo solo a quello del Giappone. Se dieci anni fa lo yuan era la moneta commerciale più economica del pianeta, oggi la convenienza è quasi scomparsa, in particolare se confrontata con le valute dei Paesi del Sudest asiatico. Gli ultimi rialzi riflettono la tenuta in Cina di tassi di interesse più alti, tesi a scongiurare una bolla immobiliare, e il cedimento delle paure di svalutazione. A fine 2012 Pechino ha definito la nuova leadership politica per i prossimi dieci anni: i timori di instabilità, e di una caduta valutaria, dopo i due anni della transizione sono svaniti. I mercati assistono così al ritorno in Cina dei capitali a breve termine, spesso camuffati da ricavi dell’export. Il risultato è che per la prima volta gli interessi del capitalismo occidentale e quelli dello statalismo di mercato del partito comunista, coincidono, fino a permettere alla banca nazionale cinese di aumentare il tasso di riferimento giornaliero dello yuan oltre la fascia di oscillazione dell’1%. Pechino, per scongiurare una piena di denaro caldo dall’estero, sta infine stabilizzando la moneta. Il rafforzamento però si è consumato, Usa e Ue hanno perduto l’argomento forte delle loro critiche e il giorno in cui lo yuan sostituirà lo yen come valuta di riferimento dell’Asia, si avvicina.