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 2013  giugno 23 Domenica calendario

DIAMOND SBAGLIA, I SELVAGGI NON ESISTONO


Il nuovo libro di Jared Diamond, Il mondo fino a ieri (Einaudi), mi dovrebbe piacere, pensavo. Dopo tutto, nella mia veste di direttore generale di Survival International, ho passato decenni a sostenere che abbiamo molto da imparare dai popoli tribali, e questo è il messaggio principale del libro «scientifico-divulgativo» di Diamond, almeno stando a quanto ci viene raccontato. Ma con la sua opera l’autore lancia due messaggi pericolosi che, se dovessero rimanere indiscussi, rischierebbero di riportare indietro di decenni i progressi compiuti nella difesa del diritto di 150 milioni di persone, appartenenti ai popoli tribali, a esistere e ad essere se stesse nel XXI secolo.
Il primo messaggio deriva da un pregiudizio molto comune, ma non per questo meno sbagliato: i popoli tribali sono dei fossili viventi, le ultime vestigia della società umana che fu. Secondo Diamond, questi popoli (che lui chiama «società tradizionali»), sebbene in parte modificati dal contatto, oggi vivono ancora più o meno come l’umanità visse «fino alla comparsa dell’agricoltura nella Mezzaluna Fertile, circa 11 mila anni fa».

La conseguenza logica di una simile argomentazione, spesso utilizzata dai governi per assimilare a forza i popoli tribali nella società dominante privandoli delle loro terre e risorse, è che, prima o poi, anche queste tribù dovranno «evolvere» e «progredire», proprio come hanno fatto tutti gli altri.
Ma l’idea che i popoli tribali contemporanei siano arretrati e vivano in qualche modo come gli antenati del genere umano è già stata contestata da molti scienziati e specialisti di preistoria. Come ogni società, anche quelle tribali cambiano costantemente nel tempo, anche se in modi differenti dal nostro; sono «moderne» e appartengono al XXI secolo esattamente come tutte le altre. Ed è naturale che siano cambiate, altrimenti non sarebbero sopravvissute.
Il secondo errore di Diamond (ed è incredibile quanto poco se ne stia parlando) è sostenere che «la maggior parte dei popoli tribali si trovano impegnati o intrappolati in uno stato di guerra perenne» e che, per questo, hanno bisogno dell’intervento benevolo del governo statale per smettere di uccidersi a vicenda. L’autore lo ripete all’infinito, sciorinando statistiche storiche calcolate in modo quantomeno discutibile e basando parte della sua teoria sul lavoro del contestato antropologo americano Napoleon Chagnon, che descrive gli indiani yanomami del Brasile come «scaltri, aggressivi e minacciosi», e impegnati «in uno stato di belligeranza cronica». Tutte queste affermazioni sono state ampiamente screditate da un gran numero di esperti.
Diamond sostiene fantasiosamente che la violenza diminuirebbe con l’avvento degli Stati-nazione e che il più grande vantaggio offerto dallo Stato sia quello di portare la pace. Tali affermazioni hanno suscitato l’indignazione degli abitanti della Papua Occidentale, un’area ben nota all’autore: lì, dal 1963, le autorità indonesiane hanno già ucciso circa 100 mila papuasi. Eppure, Diamond non ne fa neppure cenno. Dichiarandosi «scioccati» per il modo «fuorviante» con cui l’autore li dipinge, i papuasi hanno chiesto le sue pubbliche scuse. «Il numero dei dani (indigeni degli altopiani, ndr) morti per le atrocità commesse dall’Indonesia negli ultimi 50 anni è ben più grande di quello delle vittime fatte dalle guerre tribali dani in centinaia di migliaia di anni» ha dichiarato pubblicamente Markus Halukm, un membro anziano del Papuan Customary Council. «A causa delle operazioni militari, centinaia di migliaia di papuasi sono stati uccisi, torturati, sepolti vivi, incarcerati, rapiti, fatti sparire, e sono stati vittime di ogni altro tipo di violazione dei diritti umani. Il risultato è che l’etnia dei melanesiani della Papua Occidentale si sta estinguendo».

Potrei portare numerosi altri esempi dell’oppressione statale sui popoli tribali citati nel libro, tra cui il genocidio degli indiani aché per mano dei coloni e dell’esercito paraguayani negli anni Settanta e le torture e gli arresti arbitrari inflitti ai giorni nostri ai boscimani del Botswana, colpevoli solo di voler cacciare nella terra ancestrale. Questo dimostra che, diversamente da quanto afferma Diamond, gli Stati non salvano i popoli tribali, ma che, anzi, l’imposizione del loro potere li uccide. Mettere a confronto i popoli tribali con le società industrializzate è sempre stata una questione di politica più che di scienza. Il modo in cui questi popoli vengono rappresentati e la maniera in cui sono trattati dagli estranei sono due aspetti strettamente connessi: le società industrializzate trattano bene o male le tribù a seconda del modo in cui le vedono, ma anche a seconda di quello che vogliono da loro.
Affermare che i popoli tribali sono «più violenti delle società industrializzate» ricorda le argomentazioni utilizzate da certi missionari, dagli esploratori e dai governi coloniali, dal XVI secolo in poi, per giustificare la «pacificazione» e la conquista dei «selvaggi» in terre lontane. Ma Diamond echeggia addirittura la propaganda imperialista quando afferma che, secondo lui, le tribù apprezzano questi interventi essendo «disponibili ad abbandonare il loro stile di vita della giungla» — un’affermazione contraddetta da un immenso numero di testimonianze e di prove raccolte nel corso di secoli. Queste idee sono tanto pericolose oggi come lo erano allora. Il mondo di ieri si ripeterà domani? Spero proprio di no.
(Traduzione di Francesca Casella)