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 2013  giugno 23 Domenica calendario

IL CORPO DELL’AMORE


Il ricordo della scoperta affonda nella memoria delle lenzuola candide del mio letto di bambino alle soglie dell’adolescenza, quando all’improvviso mi accorsi di un calore dolcissimo e di una sensazione di piacere inspiegabile e ignota, che partiva in basso e risaliva al cervello, fino a quando le mie mani scoprirono che il mio piccolo membro si era stranamente irrigidito al balenare nella mente di una immagine femminile, che ora è completamente scomparsa e sprofondata nell’oblio. La sessualità si apprende così, all’improvviso, nel volgere di una sera o di un mattino, quando l’adolescenza irrompe e ti trasforma. Il turbamento, certo, nell’uomo come nella donna. Ma un turbamento speciale quando, come nel mio caso, hai ancora il corpo bloccato nell’ingessatura rigida, dal torace alla gamba sinistra, per ricomporre le tante fratture di quella strana malattia genetica delle ossa, che mi ha fatto nascere così, un po’ storto e asimmetrico, fragile e tenace al tempo stesso.

Ecco, nell’attimo del primo turgore sessuale ho realizzato anche la mia diversità, mi sono accorto di essere differente, nel fisico, da tutti gli altri. Nel fisico: non nei desideri, non nella mente, non nella volontà. Ma da allora il destino personale rispetto alla ricerca di affetto, e poi di sesso, era segnato indelebilmente. Un piccolo insostituibile rovello si era depositato nel mio cervello e nel mio cuore, portandomi nel tempo a sentimenti altalenanti e confusi, oscillando tra la dolce malinconia e la ricerca comunque di una prova, di una possibilità.
Quando si è ragazzi amore e sesso si confondono e si complicano a vicenda, solo il tempo restituirà la dimensione più realistica delle differenze e delle opportunità. Ma non per tutti, non sempre. Perché la disabilità è una condizione umana possibile e diffusa, nelle sue mille forme e bizzarrie del corpo e della mente, ma non per questo accettata e condivisa, anzi spesso rimossa e ammantata di pregiudizi, di uno stigma che si trasforma in barriera e assume le forme del tabù indicibile.
Oggi ho superato i sessant’anni e il mondo dovrebbe essere molto cambiato dai tempi della mia normale adolescenza disabile (ma allora neppure le parole mi aiutavano, ché ancora si diceva quasi sempre «poverino» o «invalido», nel migliore dei casi). Ed è vero, se pensiamo alle leggi che favoriscono le cure, la riabilitazione, l’integrazione scolastica, l’inclusione lavorativa, la mobilità personale. Ma si tratta pur sempre di leggi che regolamentano diritti in qualche modo assolutamente esigibili, oggettivi, rispetto ai quali lo scambio di azioni non presuppone e non obbliga alla piena condivisione dell’esistenza, o meglio, del corpo, del proprio aspetto fisico. Inutile dire che io mi sono sempre sentito, dentro di me, assai bello, alto, attraente e seducente. Peccato però che la realtà esteriore urlasse il contrario, e non a caso la prima esperienza, peraltro dolcissima e insperatamente positiva, di sessualità la ebbi attraverso l’incontro a pagamento con una prostituta, alla soglia dei vent’anni. Fu la conferma che in teoria avrei potuto condurre una vita sessuale ed affettiva quasi normale, con qualche piccolo accorgimento tecnico che non mi pare il caso di riferire qui nei dettagli.
Il punto vero, e incontrovertibile, è che la sessualità (e di conseguenza l’amore) è un diritto che non si può esigere, non si può imporre. Al massimo si possono cercare delle vie d’uscita, dei compromessi onorevoli e dignitosi (come sta avvenendo, faticosamente, con la battaglia per la creazione della figura dell’assistente sessuale, sulla scia di esperienze significative in molti Paesi europei, come raccontiamo in queste pagine). Ma la strada è tortuosa, complessa, irta di ostacoli di ogni genere. Dopo quell’esperienza unica di sesso «proibito» mi risultò più facile percorrere la strada lineare della ricerca di affetti, di relazioni, che spesso rimanevano comunque amicizia, con il non detto, con quell’ultima ritrosia (magari dettata dal timore della reazione dei genitori) che mi lasciava in uno stato di struggente delusione. Fino a quando incontrai Nadia, una ragazza paraplegica vivacissima, che divenne mia moglie e con lei condivisi 21 anni di vita intensa e assolutamente normale: una malattia imprevedibile me la strappò, quasi dieci anni fa. Ci credevano fratello e sorella. Non capiva la gente come facessimo in due, entrambi in sedia a rotelle, a vivere da soli, liberamente. Era divertente stupire con un bacio, rispondere sorridendo agli sguardi carichi di imbarazzo.

Il destino è stato buono con me. Da sei anni vivo una relazione intensa con una donna più giovane, senza alcuna disabilità, che ancora stento a capire perché abbia deciso di condividere la sua esistenza con una persona oggettivamente disabile e un po’ scomoda, come sono io. Ma la chiave di lettura è in fondo la «normalità» di una storia nella quale si vive alla pari, senza indulgere nell’accudimento, anzi. Attorno a me, finalmente, vedo e sento storie più o meno positive di relazioni importanti, ma anche di avventure sessuali effimere. I social network, i siti internet, amplificano le opportunità di incontro, di caduta delle inibizioni e spesso degli alibi che consentono a molti di rinunciare, di scappare, di fronte al rischio di un rifiuto.
Ammiro davvero molto le donne con disabilità, capaci di esprimere la propria bellezza attraverso i dettagli, la cura di sé, il fascino, anche quando il corpo tradisce e non rappresenta in modo autentico l’Io che c’è dentro. L’amore, ma anche l’approccio sessuale, parte dallo sguardo, e gli sguardi che toccano le persone disabili spesso feriscono, quasi uccidono. Nella società dell’esaltazione del corpo perfetto è difficile superare la barriera rappresentata da una sedia a rotelle, o da una camminata incerta, o da un modo di parlare rallentato da un deficit o da una spasticità, o dalla cecità. La discriminazione sessuale è evidente, forte, crudele, cinica. Colpisce equamente giovani e meno giovani. Interessante esplorare, ad esempio, la doppia discriminazione che unisce disabilità e omosessualità, maschile e femminile: una realtà che ovviamente esiste, nelle proporzioni analoghe a quelle esistenti e conclamate oggi nella nostra società apparentemente meno omofoba di un tempo. Eppure qui è più difficile, quasi impossibile rivelarsi, fare outing.
La frontiera ancora più complessa, e racchiusa spesso nel silenzio muto della famiglia, è la sessualità delle persone con disabilità intellettiva. Assai più numerose e attive sessualmente rispetto a chi, come me, ha un deficit fisico. Solo le madri, a volte, rompono il silenzio e raccontano l’indicibile, come nel blog «InVisibili» (http://invisibili.corriere.it). Eppure, di fronte all’intero e variegato mondo delle disabilità, la gente continua a ritenere che sessualità e amore non siano un diritto, ma un problema in più per questi «sfortunati». Non li riguarda, non li tocca. Al massimo un’alzata di spalle, un sorriso indulgente, magari una battuta sconveniente.
Ma l’amore no…