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 2013  giugno 24 Lunedì calendario

L’ITALIANO CHE COMBATTE I PIRATI


Qual è il giusto confine fra la difesa della privacy e la difesa della sicurezza dei cittadini? E di chi ci si può fidare fra i governi e le aziende che giurano di tutelare i nostri interessi? Sono le domande da 100 miliardi di dollari aperte — e rimaste senza una chiara risposta — dalla recente scoperta dei programmi della Casa Bianca per sorvegliare le reti telefoniche e di Internet a caccia di terroristi.
La cifra di 100 miliardi di dollari è il valore stimato del business del Big Data: quell’insieme di macchine e programmi che raccolgono l’enorme quantità di informazioni prodotte oggi nella Rete — 2,5 quintilioni di byte al giorno (vedere grafico) — e l’analizzano per trovare la soluzione ai problemi più disparati. Amazon.com usa queste tecnologie per suggerire prodotti da acquistare ai suoi clienti, Google per piazzare pubblicità «personalizzata», gli scienziati per mettere in guardia contro i rischi di disastri ambientali. Con fortune alterne, come mostrano recenti fallimenti: i sismologhi giapponesi avevano escluso la possibilità di un terremoto dell’intensità di quello verificatosi nel 2011 che mandò in tilt la centrale nucleare di Fukushima.

Piattaforme
E nei giorni scorsi è arrivata la conferma dalle principali aziende high-tech che le autorità Usa regolarmente chiedono l’accesso ai dati privati dei loro utenti coinvolti in indagini criminali. Il numero maggiore di persone o conti interessati nel secondo semestre 2012 riguarda Microsoft (fra i 31 e 32 mila) e il minore (1.145) è di Twitter. Le società non hanno però potuto rivelare quante di queste indagini riguardavano criminali comuni e quante dipendevano dai programmi di sorveglianza dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa).
«Dalle audizioni al parlamento americano abbiamo sentito che grazie ai programmi dell’Nsa sono state sventate dozzine di attentati terroristi, quei programmi sono insomma serviti al governo a svolgere il suo compito di proteggere la sicurezza dei cittadini; diverso sarebbe se i dati fossero usati per altri fini», osserva Joe Tucci, presidente e amministratore delegato (ceo) di Emc corporation, l’azienda numero uno al mondo nella fornitura di piattaforme per immagazzinare dati. Il suo è quindi un osservatorio privilegiato su come si sta evolvendo il business del Big Data e ne ha parlato con CorrierEconomia durante una visita alle sedi italiane (cinque, con 480 dipendenti) del gruppo americano.
«Sicurezza e privacy sono due problemi diversi», precisa Tucci, sottolineando che Emc ha solo clienti aziendali, ai quali offre servizi per identificare e proteggere l’identità di chi entra nei loro sistemi e assicurare che non vi si svolgano attività inusuali. «Non dimentichiamo che nel mondo ci sono un sacco di tentativi, da parte di pirati informatici e altri, di infiltrarsi nelle reti e rubare o manomettere dati — aggiunge Tucci —. Noi collaboriamo con tutti gli altri operatori per difendere le reti dagli attacchi e proteggere i loro utenti».
È un compito tanto più urgente e complesso, quanto più l’immagazzinaggio dei dati si sposta dai computer sistemati fisicamente nelle sedi aziendali alla «nuvola» (cloud computing), l’infrastruttura di mega-computer centralizzati da cui i vari servizi — compresa l’analisi e la gestione di quei dati — vengono distribuiti via Internet.
«Il mondo dell’high-tech sta cambiando e le nuove forze che alimentano la sua crescita sono il cloud computing, il Big Data, la mobilità e i social network», spiega Tucci, 65 anni, italo-americano di seconda generazione (i nonni erano lucani e abruzzesi), considerato uno dei ceo più influenti negli Usa (fa parte fra l’altro della potente organizzazione Business Roundtable), anche se poco noto al largo pubblico. Da quando guida Emc (2001) l’ha trasformata — con una raffica di acquisizioni da 14 miliardi di dollari — da produttrice di memorie per mainframe a gruppo diversificato in tre aziende indipendenti ma legate fra loro.

Fiducia
La capogruppo Emc si occupa di immagazzinaggio delle informazioni, della loro analisi e sicurezza; la controllata VMware sviluppa software per gestire i data center nella nuvola, sia privata sia pubblica e aiuta le aziende a organizzare in modo sicuro i propri sistemi I.T. aperti ai diversi smartphone e tablet usati dai loro dipendenti. Pivotal è l’ultima nata, a fine aprile, ed è partecipata al 10% anche da General electric, con cui lavora sull’«Internet delle cose», oltre a sviluppare piattaforme per applicazioni basate sulla nuvola. In tutto il fatturato 2012 è stato di quasi 22 miliardi di dollari e Tucci si aspetta di continuare a crescere al ritmo del 9% l’anno, il triplo della media del mercato dell’information technology.
«La nostra forza sta nella fiducia che i clienti ci accordano», dice Tucci. Una fiducia che il governo americano deve riconquistare comunicando meglio al pubblico quali sono i limiti delle sue «invasioni» nella privacy dei cittadini.
@mtcometto