Sergio Romano, Corriere della Sera 24/6/2013, 24 giugno 2013
IL DUELLO VENTENNALE TRA BERLUSCONI E I MAGISTRATI
Ancora una volta alte e anche abbastanza stucchevoli si levano le grida — da parte del Pdl — sulla politicizzazione dei giudici. Le chiedo di spiegare, a me e ai lettori: 1) per tanti anni il Pdl ha governato, e anche con maggioranze "bulgare", perché nulla è stato fatto per cercare di eliminare questa che, secondo Berlusconi, è un’anomalia (ma lui usa termini un po’ più forti). 2) Perché la vita di tanti milioni di cittadini dovrebbe sempre dipendere dalle vicende giudiziarie di un solo uomo?
Ernesto Felici
ernesto.felici@gmail.com
Caro Felici,
Il vero tema della sua lettera è una tragicommedia italiana, cominciata poco meno di vent’anni fa e non ancora finita. Proverò a riassumerne la trama.
Siamo nel 1993. Le indagini della Procura milanese hanno avuto per effetto il collasso del sistema politico italiano; il crollo del muro e la morte del comunismo hanno fatto il resto. In questo vuoto politico si fa avanti un imprenditore. È ottimista, accattivante, promette la rinascita dell’Italia e piace, a giudicare dai risultati elettorali, a un numero considerevole di italiani. Ma ha un evidente conflitto d’interessi e governa un impero economico afflitto da parecchie vulnerabilità giudiziarie. I magistrati inquirenti di alcune procure, d’altro canto, si sentono investititi di una missione nazionale, credono che la magistratura non abbia soltanto il compito di applicare le leggi, ma anche e soprattutto quello di vigilare permanentemente sulla pubblica moralità e sul buon funzionamento della democrazia.
Berlusconi diventa così il banco di prova della efficacia delle loro nuove funzioni e l’imputato di numerosi processi. A qualche osservatore, fra cui chi scrive, sembra che sia cominciato un pericoloso duello fra il potere politico e il potere dei magistrati, un problema a cui occorrerebbe fare fronte con una doppia riforma: delle istituzioni e dell’ordine giudiziario. Ma l’opposizione, preoccupata soprattutto dall’ascesa di Berlusconi, preferisce lasciare alla magistratura il compito di eliminarlo dalla vita pubblica.
Berlusconi, tuttavia, continua ad avere il consenso della maggioranza relativa degli italiani, vince le elezioni del 2001 e governa per una intera legislatura. Toccherebbe a lui quindi avviare, con la separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti, la riforma dell’ordine giudiziario. Ma è lecito a un pluri-imputato riformare la carriera di coloro che lo stanno giudicando? Fra tutti i riformatori possibili Berlusconi è quello che offre minori garanzie. Per aggirare l’ostacolo, il presidente del Consiglio usa la sua maggioranza per fare approvare dal Parlamento parecchie leggi di cui i suoi avvocati potranno servirsi per meglio allontanare dalla sua persona gli strali dei magistrati. È una politica di corto respiro che rafforza la posizione dei procuratori, li sollecita ad essere sempre più interventisti e allontana nel tempo la riforma dell’ordine giudiziario.
Il risultato, caro Felici, è sotto i nostri occhi. Vent’anni dopo Berlusconi è sempre gradito a molti italiani; i procuratori sono sempre convinti della necessità della loro missione e alcuni di essi continuano a passare con naturalezza dall’aula del tribunale a quella del Parlamento; e la riforma dell’ordine giudiziario è la grande incompiuta del ventennio.