Fabio Isman, Il Messaggero 25/6/2013, 25 giugno 2013
SEGRETI E BUGIE D’ARTISTA
Henri Matisse, che, ancora giovane a Parigi, nell’anno di tirocinio legale s’annoiava tanto da bersagliare i passanti per la strada con una cerbottana; Albrecht Dürer salutato dal nazismo come «il più tedesco tra gli artisti tedeschi», ma il padre era ungherese; Maria Theresa de Silva y Silva, duchessa d’Alba, 24 anni e lui 40, posa per José de Goya y Luciente nelle due Maya, la «desnuda» e la «vestida»: per salvarne la reputazione, l’artista forse muta i connotati del volto; Dante Gabriel Rossetti, nella bara della moglie Lizzie Sidal pone le sue poesie, poi ottiene di riesumarla per riaverle: si erano perfino impigliate tra i capelli; Gustav Klimt, mai sposato ma con, a seconda delle fonti, da tre a 40 figli illegittimi; il padre di Georges Seurat che, a cena, avvitava le posate al moncherino del braccio che aveva perduto: sono soltanto alcuni tra gli aneddoti sulle «Vite segrete dei grandi artisti», raccontati nel libro di una giornalista texana, Elizabeth Lunday, e ora pubblicati da Electa (288 pag., 19,90 euro).
GOSSIP
Una storia dell’arte che, spesso, procede per gossip; vista dal buco della serratura, talora anche con qualche licenza: Caravaggio inizia a dipingere nella «tenuta» del cardinale Del Monte, e per essere liberato a Palo, «gli ci volle una grossa mazzetta»; ma il libro è dedicato al pubblico meno esperto che, magari, non guarda troppo per il sottile. Gli piacerà, però, di sapere, ad esempio, che sempre Caravaggio usa «un corpo sepolto da poco»: la Resurrezione di Lazzaro viene dipinta con due operai-modelli che lo reggono; quando l’olezzo è tale che non ce la fanno più, l’artista trae un pugnale «intimando di riprendere la posa». O che a Picasso un rigattiere offrì a poco un quadro del «Doganiere» Henri Rousseau, dicendogli: «Ci puoi dipingere sopra». Rousseau, autodidatta, inizia a dipingere a 40 anni; inventava le sue Giungle all’Orto botanico di Parigi; da giovane era finito in carcere perché, lavorando da un avvocato, aveva rubato soldi e francobolli. Quando dipingeva, sovente cadeva in trance: «Si spaventava, tremava, doveva aprire i vetri»; Picasso lo scoprirà tra i primi, e nel 1908, in casa, gli organizza un banchetto con gli Stein, Braque, i poeti Max Jacob e Guillaume Apollinaire.
CURIOSITÀ
Van Gogh, forse, sarebbe morto perché, nella sua follia, ingeriva il colore dei tubetti: lasciamo stare. Leonardo dipinge la Gioconda priva di sopracciglia, anche se Vasari le descrive, senza aver visto il dipinto: se le strappava, come usava allora, o mancano per un pessimo restauro? Jan Van Eyck è dei primi a firmare un quadro: nel Ritratto dei coniugi Arnolfini, sul muro una scritta recita «Jan Eyck è stato qui, 1434», sopra lo specchio; ma i due non sono gli Arnolfini, coppia maritata 13 anni dopo; è un mistero. La moglie di Vermeer, Catharina, gli dà 15 figli in 20 anni: è per questo che molte sue donne sembrano incinte, quando le ritrae? Del resto, i suoi, spesso, gli facevano da modelli per le sue non più di tre, quattro tele all’anno. Si sa già che Rembrandt si autodipinge almeno ottanta volte, e che è stato in pessime condizioni economiche. Rossetti aveva un piccolo zoo: «Canguro, zebù, armadillo, camaleonte, talpa, marmotta, salamandra, pappagallo, corvo, allocco bruno e taccola»; però preferiva un marsupiale australiano che si chiama vombato: «Dormiva in casa, sul tavolo da pranzo».
ROSSO VULCANO
Il cielo rosso nell’Urlo di Edward Munch deriverebbe da un’eruzione (vulcano Krakatoa, 1883). Picasso domanda a Matisse, laicissimo, il perché della cappella di Vence, e non di un bordello: «Nessuno me l’ha mai chiesto». Ricordo l’ultimo Argan: mi raccontava di aver visto l’artista gia à letto, malato, e d’avergli chiesto come mai quella cappella per la Vergine; e lui: «La vergine, la vergine, ho sempre amato le ragazzine». Claude Monet vedeva male: colpa di una cataratta; per questo, quadri rossi e gialli: non vedeva il blu; operato «i blu lo travolsero»; Paul Cézanne diceva di lui: «Solo un occhio, ma, mio Dio, che occhio». Gli serve per dipingere 250 volte le Ninfee del suo giardino: quando installa quelle immense all’Orangérie, era già arte ormai del passato, la moda pittorica era cambiata.
Auguste Rodin sposa la sua compagna dopo 40 anni che erano assieme, e tanti tradimenti: appena due settimane prima che lei se n’andasse. Cézanne era meticolosissimo; per eternare il mercante Ambroise Vollard gli impone «cento sedute, una dalle 8 alle 23.30, senza pause». Goya dipinge e nasconde tre volte il viso di Giuseppe Bonaparte da una sua opera. Dürer fa causa al veneziano Marcantonio Raimondi, che ne copiava le incisioni (un nuovo mercato, a basso prezzo), e il suo Rinoceronte, eternato senza averlo mai visto (1515), è pieno di inesattezze. Perché anche i più grandi, si sa, sono fallibili. Anzi, fallibilissimi.