Fabio Morabito, Il Messaggero 25/6/2013, 25 giugno 2013
MANDELA È GRAVE. LA FIGLIA: NON È ANCORA IL MOMENTO
«Apre ancora gli occhi». Le parole di Makaziwe, la figlia maggiore di Nelson Mandela, parlano al Sudafrica che in questi giorni prende confidenza con il dolore più grande della sua storia recente. Mandela, quasi 95 anni, non è stato solo l’uomo che ha sconfitto l’apartheid, la segregazione razziale imposta dall’etnia bianca, ma è stato il protagonista della riconciliazione, come la storia difficilmente concede ai suoi eroi. Ora, dopo che le parole di un suo amico hanno dissolto la nebbia dei comunicati tutti uguali, dove i medici stavano facendo il possibile per migliorare le condizioni di Mandela, «gravi ma stabili», la verità che si fa strada non accarezza più la speranza. «È l’ora di lasciarlo andare» aveva detto con commozione l’amico Andrew Mlangeni, quando già i fotografi, dopo tanti giorni, avevano fatto ritorno a casa e non piantonavano più l’ospedale di Pretoria dove è ricoverato dall’8 giugno l’eroe nazionale. Ma non si stacca la spina, lui è «sereno», e la famiglia di “Madiba” (il suo soprannome che significa “anziano”, e che ne indica la saggezza) prega perché «il passaggio» sia tranquillo. «Nella nostra cultura, la cultura Tembu - dice ancora Makaziwe - non si lascia andare via una persona fino a quando questa persona non l’abbia chiesto. Mio padre non lo ha ancora fatto».
Ora, nei giorni inesorabili di una fine preannunciata - o almeno questa è la sensazione trasmessa da Pretoria, una pacifica rassegnazione -, tanti suggeriscono un’emozione, un ricordo, un legame. «Un mio eroe personale» lo ha definito ieri Barack Obama, il presidente degli Stati Uniti, il primo presidente nero della più grande potenza del mondo.
IL PRESIDENTE ZUMA
Mandela è stato ricoverato, ed è la quarta volta in sei mesi, per un’infezione polmonare che sembra invincibile, in un corpo indebolito dalla tubercolosi, eredità di ventisette anni di prigione. L’attuale presidente sudafricano, Jacob Zuma, ha affrontato con parole caute le decine di giornalisti che lo aspettavano a Johannesburg: «Non posso dirvi ciò che non va bene in lui, non sono un medico. Per quello che ho capito le condizioni sono critiche. Ma non sono un medico che può dire quanto una condizione sia critica». Mandela nel suo Paese è idolatrato con un fervore quasi religioso. «È l’uomo che noi tutti amiamo - ha aggiunto Zuma - è il padre della democrazia, è l’uomo che ha combattuto e sacrificato la sua vita. Tutti devono però accettare la sua età». Poi, a differenza di altri, più rassegnati, Zuma ha voluto aprire una finestra alla speranza: «Quello che dobbiamo fare come Paese è pregare per lui, e assicurarci che i medici facciano il loro lavoro in modo che lui possa uscire dall’ospedale».
IL RICOVERO
Madiba riceveva assistenza medica 24 ore su 24 già quando era a casa sua, a Houghton. Poi, l’8 giugno, il ricovero. Un trasferimento, da casa all’ospedale, drammatico. L’ambulanza si fermò per un guasto lungo l’autostrada. Nei quaranta minuti d’attesa, prima che arrivasse un’altra ambulanza a prelevarlo, medici e infermieri avrebbero lottato per mantenere in vita «l’indomabile anima» - per citare un verso della sua poesia più famosa- di Mandela.