Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 25/6/2013, 25 giugno 2013
La teste indispensabile (il pm minorile Annamaria Fiorillo) convocata dal Tribunale dopo che i pm non la chiamavano a deporre, il ritorno al reato («concussione per costrizione») che i pm dopo la nuova legge avevano prudenzialmente abbandonato a beneficio della più lieve «induzione indebita», e l’incriminazione di testi sulla cui falsità i pm avevano speso tante parole ma nessuna iniziativa: in attesa di Appello e Cassazione con prescrizione solo nel 2020, il Tribunale trasforma il «vorrei ma non posso» della Procura in un perentorio «devi» trarre le conseguenze logiche degli atti
La teste indispensabile (il pm minorile Annamaria Fiorillo) convocata dal Tribunale dopo che i pm non la chiamavano a deporre, il ritorno al reato («concussione per costrizione») che i pm dopo la nuova legge avevano prudenzialmente abbandonato a beneficio della più lieve «induzione indebita», e l’incriminazione di testi sulla cui falsità i pm avevano speso tante parole ma nessuna iniziativa: in attesa di Appello e Cassazione con prescrizione solo nel 2020, il Tribunale trasforma il «vorrei ma non posso» della Procura in un perentorio «devi» trarre le conseguenze logiche degli atti. In particolare delle versioni opposte tra la commissaria Giorgia Iafrate e il pm minorile Fiorillo all’esito della telefonata notturna dell’allora premier al capo di gabinetto della Questura. A parità di teorica attendibilità dei due pubblici ufficiali, era difficile accordare la preferenza a Fiorillo («mai autorizzato l’affidamento a Minetti») o a Iafrate («invece sì nell’ultima telefonata all’1 di notte»): arduo, a meno appunto di fare il passo di ravvisare nella poliziotta non una memoria imprecisa ma una deposizione falsa. Pesa molto il fatto che in Questura già dal tardo pomeriggio sapessero che Ruby era marocchina e scappata da una comunità di Messina, e che dunque fosse privo di fondamento il timore diplomatico («Ruby egiziana e parente di Mubarak») abbozzato a mezzanotte da Berlusconi per giustificare il proprio interessamento. Nella filigrana dei 7 anni a Berlusconi (a cui sommarne 4 in Appello per la frode fiscale Mediaset e 1 in Tribunale per rivelazione dell’intercettazione segreta di Fassino), l’immediato evaporare del pretesto-Mubarak fa per converso risaltare la reale ragione dell’intervento notturno da Parigi del premier avvisato sul telefonino dalla prostituta brasiliana coinquilina di Ruby, e cioè la paura che la mina vagante minorenne svelasse il giro di Arcore. E misura la pressione esercitata sui poliziotti dalla qualifica di chi telefonava (il presidente del Consiglio in persona) e dal preannuncio dell’invio non di un diplomatico ma della Minetti, alla quale non a caso la funzionaria affiderà Ruby destinata invece in comunità dal pm Fiorillo. La quale, paradosso, due mesi fa è stata disciplinarmente sanzionata dal Csm per aver esposto in tv, in polemica con la ricostruzione in Parlamento dell’ex ministro dell’Interno Maroni dopo l’iniziale comunicato del capo dei pm Bruti Liberati, proprio la versione (opposta a Iafrate) sposata ieri dal Tribunale. Stessa consequenzialità muove il Tribunale nel segmento di condanna per prostituzione minorile del premier, per aver fatto sesso con Ruby sapendola minorenne. Milita per la consapevolezza l’idea che Emilio Fede e Lele Mora, per i particolarissimi rapporti con Berlusconi, non gli avrebbero potuto nascondere la minore età della ragazza che proprio loro avevano introdotto ad Arcore. Ma la trasmissione all’Ordine degli Avvocati degli atti sull’allora legale di Ruby, Luca Giuliante, nel cui studio la notte del 6 ottobre 2010 Ruby subì un misterioso interrogatorio non ad opera dei pm ma ad opera di qualcuno che voleva sapere cosa avesse detto ai pm in estate, segnala che il Tribunale, tanto sulla minore età quanto sul compimento di atti sessuali sempre negati da Ruby, ha valorizzato le successive intercettazioni di Ruby e delle ragazze che proprio su quei temi palesavano l’allarme dell’entourage berlusconiano per quanto Ruby aveva potuto accennare in agosto ai magistrati. E anche qui, come nel caso della poliziotta, per il Tribunale va tratta la conseguenza logica su 32 testi ritenuti abissalmente difformi dal vero sia sulle «cene eleganti» sia sulla notte in Questura: le giudici trasmettono in Procura, perché valuti se procedere per falsa testimonianza, le deposizioni non solo della legione di ragazze venute a testimoniare pro-imputato con la non comune particolarità di esserne stipendiate a 2.500 euro al mese, ma anche di parlamentari pdl (il viceministro degli Esteri Bruno Archi, Valentino Valentini, Maria Rosaria Rossi, Licia Ronzulli), del presidente di «Medusa» Carlo Rossella, del cantante Mariano Apicella o del caposcorta Giuseppe Estorelli. Finito il processo Ruby a un imputato, rischia di cominciare il maxiprocesso Ruby a 32 testi. lferrarella@corriere.it