Paolo Mastrolilli, La Stampa 25/6/2013, 25 giugno 2013
Alla fine si è inginocchiato, ha lanciato un bacio in aria, e ha corso sul cavo sospeso per completare gli ultimi metri
Alla fine si è inginocchiato, ha lanciato un bacio in aria, e ha corso sul cavo sospeso per completare gli ultimi metri. Se c’è stato un problema, nel funanbolico tentativo di Nik Wallenda di attraversare il Grand Canyon, camminando letteralmente sul filo, è stato proprio la sua semplicità: vedendolo in tv, qualcuno adesso potrebbe montarsi la testa e ritentare l’impresa a casa. Invece di questo si è trattato, un’impresa fenomenale e terrorizzante, al punto che la televisione l’ha trasmessa con un ritardo di dieci secondi rispetto alla realtà, proprio per non correre il rischio di mostrare una tragedia in diretta. La passeggiata è cominciata domenica sera alle otto e ha richiesto 22 minuti e 54 secondi per essere completata. Nik, 34 anni, camminava sopra un cavo d’acciaio largo cinque centimetri. Era sospeso sul Grand Canyon a 1.500 piedi di altezza, un po’ meno di 500 metri, e teneva in mano un’asta pesante 20 chili per aiutarsi con l’equilibrio. Addosso aveva una maglietta con il nome dello sponsor, il «Discovery Channel», un paio di jeans e scarpette nere da acrobata. Tutto qui, per sfidare davvero la morte. Si è fermato una prima volta a causa del vento, inginocchiandosi sopra il cavo per non cadere, e una seconda volta perché il filo a cui era appesa la sua vita si era messo a oscillare con un ritmo pericoloso. Ha trovato anche il tempo e la calma per sputarsi su una mano e bagnare la suola delle scarpe, in modo da avere un miglior attrito sulla superfice metallica su cui si stava posando la polvere. Ha pregato, poi, durante tutta la traversata. Si potevano sentire le sue parole, mentre si rivolgeva al Signore perché lo aiutasse a tenere la concentrazione e completare l’impresa, e lo ha ringraziato all’arrivo. Ognuno ha il diritto di pensare quello che vuole, su questo punto, ma Nik ha sempre dichiarato apertamente che la fede è un aspetto fondamentale della sua vita e del suo lavoro. Lo ha pure scritto nel suo libro, «Balance»: «La fede è il luogo dove trovo davvero pace. Mi dà la certezza che, se mi dovesse succedere qualcosa, saprei dove sto andando». L’impresa è stata seguita in televisione da 217 Paesi. «Discovery Channel» ha gestito il programma, e certamente Wallenda ci ha guadagnato parecchio. Però è difficile credere che i soldi siano la sua unica motivazione. Nik appartiene ad una famiglia di acrobati, i «Flying Wallendas», appunto, che fanno queste robe da sette generazioni. Il nonno Karl morì nel 1978, mentre tentava un’impresa a Porto Rico, e il nipote sostiene che ha seguito il suo esempio per onorarne la memoria. Ma lo ha seguito e superato, visto che l’anno scorso ha attraversato le cascate Niagara, e domenica è diventato il primo uomo a camminare sul Grand Canyon. Inutile follia? Coraggiosa sfida per misurare i limiti e le capacità degli esseri umani? Rispondete come preferite, Nik ha già pronto il nuovo sogno: camminare su un cavo sospeso a New York, tra il grattacielo Chrysler e l’Empire.