Paolo Colonnello, La Stampa 25/6/2013, 25 giugno 2013
Vista la sentenza di condanna per Silvio Berlusconi e la presenza, non eccezionale ma sicuramente significativa del Procuratore Liberati in aula alla lettura del verdetto, è quasi un atto dovuto quello che il tribunale sceglie di fare ordinando la trasmissione in Procura «per le sue valutazioni» dei verbali d’udienza dei testimoni che al processo raccontarono di «cene eleganti» e di tranquille serate in Questura dove se telefonava il Presidente del Consiglio tutti proseguivano serenamente il loro lavoro
Vista la sentenza di condanna per Silvio Berlusconi e la presenza, non eccezionale ma sicuramente significativa del Procuratore Liberati in aula alla lettura del verdetto, è quasi un atto dovuto quello che il tribunale sceglie di fare ordinando la trasmissione in Procura «per le sue valutazioni» dei verbali d’udienza dei testimoni che al processo raccontarono di «cene eleganti» e di tranquille serate in Questura dove se telefonava il Presidente del Consiglio tutti proseguivano serenamente il loro lavoro. Si tratta, in altre parole, dell’indicazione precisa ai pm di aprire un’indagine per falsa testimonianza nei confronti di personaggi come la commissario Giorgia Iafrate che raccontò di non aver percepito le indicazioni, apparse invero chiarissime del pm minorile Annamaria Fiorillo; oppure del giornalista e presidente di Medusa, Carlo Rossella che raccontò di aver assistito solo a «cene eleganti», scontrandosi con i racconti a luci rosse di alcune testimoni che lo ricordano sia a tavola che nella ridotta di villa San Martino; o ancora quelle della deputata Maria Rosaria Rossi, detta «la badante» resa celebre da una famosa telefonata con Emilio Fede: «Ah che palle che sei, due amiche, quindi bunga bunga»; o quella dell’ex sottosegretario agli affari Esteri Valentino Valentini, cui «non mi venne in mente» di allertare il consolato Egiziano quando insieme al Cavaliere telefonò alla Questura di Milano per far liberare «la nipote di Mubarak». Perché scegliendo di abbracciare la tesi della Procura, necessariamente i giudici del tribunale di Milano fanno a pezzi quella della difesa e dei suoi principali testimoni, considerati «mendaci» fino al punto di arrivare candidamente a confessare, come hanno fatto bellezze del calibro di Marystelle Polanco, Barbara Guerra, Barbara Faggioli, Lisnei Barizonte, Elisa Toti, Manuela Ferrero, Loddo Myriam, Francesca Cipriani, le sorelle De Vivo, Skorkina Raissa, Roberta Bonasia, solo per citare alcune delle cosiddette «Olgettine», di percepire una «paghetta» da 2.500 euro al mese erogata dallo stesso imputato. «Perché questo processo ci ha rovinato l’immagine», hanno cantato in coro. Peccato che i pagamenti siano partiti proprio con l’incalzare dell’inchiesta, dopo che la Procura fece perquisire le loro abitazioni e vennero tutte convocate ad Arcore. «Un’anomalia», si sono limitati a commentare i pm, giusto per non dire corruzione di testimone. Una vicenda di cui adesso il tribunale chiede conto e che potrebbe far aprire una nuova inchiesta dagli esiti imprevedibili, visto il livello di velato ricatto, anche reciproco, in cui si sono mosse molte delle protagoniste di questa storia. Anche perché nel lungo elenco delle persone di cui valutare la posizione, ci sono oltre a figure scontate come quella del cantante Mariano Apicella, altre più istituzionali come il caposcorta Giuseppe Estorelli e l’attuale viceministro degli Esteri Bruno Archi, diplomatico in carriera e tra i «consiglieri» di Berlusconi che raccontarono di aver partecipato a un pranzo con il presidente Mubarak nel quale, disse, si sarebbe parlato di Ruby come appunto nipote del Raìs egiziano. Ma il tribunale sceglie anche di trasmettere gli atti per una valutazione disciplinare al Consiglio dell’Ordine degli avvocati nei confronti del legale Luca Giuliante, ex tesoriere del pdl in Lombardia ma soprattutto ex avvocato sia di Ruby che di Lele Mora. Ieri in aula c’era un’assenza forte, quella di Ilda Boccassini, lontana dal palazzo per delle ferie programmate. Il segno che non è stata una «guerra personale» tra lei e Berlusconi ma solo l’epilogo di una storia triste. «Ciarpame», come la definì in una famosa lettera Veronica Lario, ex moglie di Silvio Berlusconi.