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 2013  giugno 25 Martedì calendario

MILANO

— I fedelissimi collaboratori, dall’ex consigliere diplomatico e oggi vice ministro della Farnesina, Bruno Archi, a Valentino Valentini, deputato del Pdl ed ex capo della segreteria personale del Cavaliere. Ma anche il maggiordomo di Arcore, Lorenzo Brunamonti, il compagno di schitarrate, Mariano Apicella, per finire alle quasi venti ragazze dell’Olgettina che ancora oggi ricevono 2500 euro ogni mese dal Cavaliere, solo «perché adesso, dopo che è scoppiata l’inchiesta, non possono più lavorare». Tutti, secondo il convincimento del collegio milanese presieduto da Giulia Turri, hanno detto menzogne. Sono sfilati come testimoni della difesa, invocati dall’accoppiata di avvocati-onorevoli, Niccolò Ghedini e Piero Longo, e le loro rassicurazioni su cene che giuravano essere solo eleganti, all’insegna dell’humor e della simpatia del padrone di casa, alla fine si sono dimostrate un fallimentare quanto doloroso boomerang.
Sono trentadue quelli che rischiano di subire a breve un processo per falsa testimonianza. È un rivolo della sentenza emessa ieri dalla quarta sezione del Tribunale milanese, dai risvolti altrettanto imbarazzanti.
I POLITICI
La convinzione dei giudici è che gli uomini che da anni lavorano ad Arcore, spesso promossi a rango di parlamentari del Pdl, abbiano deciso di seguire
gli ordini di scuderia piuttosto che dire il vero di fronte a un giuramento, alla legge. E non ci sono solo i nomi di Archi e Valentini nello sterminato elenco di presunti testimoni reticenti. A fargli compagnia, loro malgrado, anche quella che, negli ultimi mesi, segue come un’ombra il Cavaliere, l’onorevole Maria Rosaria Rossi. «Ma questo è un tribunale?», aveva ironizzato sorridente davanti alle telecamere il 25 giugno di un anno fa, dopo aver deposto al processo a carico del “principale”. Che non fosse uno scherzo, probabilmente, l’esponente del Pdl se ne è accorta solo ieri pomeriggio. «Spogliarelli? Ma erano serate divertenti in cui le ospiti si toglievano gli abiti e rimanevano in costume da bagno», aveva stragiurato. Ma era andata oltre
l’onorevole Rossi. Si era addirittura attribuita una parte di paternità del termine “bunga bunga”, per definire «una serata meno politica e più divertente ». Dichiarazioni che contrastano alla radice con la sua voce sconfortata cristallizzata nell’agosto di tre anni fa dalle intercettazioni disposte dalla procura milanese. Di fronte alla telefonata di Emilio Fede, all’annuncio pieno di soddisfazione che quella sera avrebbe portato due nuove ragazze, la deputata campana aveva sbuffato, come fosse stufa delle feste arcoriane. «Anche stasera bunga
bunga? Che palle... allora io stasera mi devo vestire da femmina... io però stasera a mezzanotte chiudo le camere, che lui domani deve lavorare», la reazione della donna ombra del Cavaliere.
E sempre il falso avrebbero dichiarato, sotto giuramento — è bene ricordarlo — l’attuale europarlamentare Licia Ronzulli (nei guai anche il marito Renato Cerioli), e l’ex consigliere regionale lombardo, Giorgio Puricelli (promosso al grado di politico dopo l’esperienza di fisioterapista di Sua Emittenza). Tutti pronti, secondo quanto è stato
stabilito ieri, a correre in soccorso del collegio difensivo del Cavaliere, smentire baccanali, scene boccaccesche, a minimizzare
movenze osé, o ancor peggio hard. Pronti invece a rimarcare soprattutto le simpaticissime barzellette raccontate
intorno al desco dall’irresistibile e instancabile Cavaliere.
GLI AMICI
Di «cene conviviali» ha parlato il presidente di Medusa gruppo Mediaset - Carlo Rossella. «Mai viste donne a seno nudo », ha dichiarato rispondendo alle domande dei difensori del suo principale. «Cantavano inni come ”Meno male che Silvio c’è”, o canzoni sudamericane», giurava non più tardi del novembre scorso Rossella. Peccato che, la stessa sera in cui lui era ad Arcore, fosse presente anche l’amica di Nicole Minetti, Melania
Tumini. La “doppia laureata”, che da quella serata così elegante, più che «briffata» uscì disgustata. Alla cornetta, la mattina dopo con il padre, altro non la definisce se non un vero «puttanaio ». Con l’ospite che anziché parlare delle crisi internazionali, della politica, «tocca questa e quella tra le cosce... Ne bacia una e, poi, un’altra, davanti a tutti... Capisco che uno ammicca e, poi, magari si apparta in una stanza con una, ma anche con cinque ragazze... Siamo tutti maggiorenni e consenzienti... Ma così, davanti a tutti... ».
LE OLGETTINE
Stipendiate dall’inizio dell’inchiesta, dal gennaio 2010, l’esercito delle Olgettine, dalla
caraibica Polanco, alla russa Skorkina, alla ex partecipante al programma tv “La pupa e il secchione” Cipriani, tutte secondo
il Tribunale, hanno recitato un copione. Come già si intuiva dalle intercettazioni in mano alla procura, il loro atteggiamento in aula sembra essere stato concertato. Quella di ieri sembra essere solo una naturale conseguenza dei dubbi emersi all’indomani dello scoppio dell’indagine, nel gennaio 2011, quando durante una serie di perquisizioni, negli appartamenti di via Olgettina - messi a disposizione gratuitamente dal Cavaliere per le più assidue frequentatrici del bunga bunga - erano state rinvenute delle copie di interrogatori che le ragazze avevano reso ai legali
del Cavaliere. Uno strumento assolutamente lecito e consentito dal codice, sospettoso se si pensa che quelle dichiarazioni assolutorie per Berlusconi, fossero arrivate due mesi prima che lo scandalo Ruby finisse sui
giornali.
LA POLIZIOTTA E IL LEGALE
Nella sfilza di presunti reticenti, dei “bugiardi” che hanno mentito nelle loro ricostruzioni, c’è anche il nome di Giorgia Iafrate, la commissaria di polizia di 31 anni, che la sera del 28 maggio di tre anni fa, decise di consegnare nelle mani della consigliera
del Pdl, Nicole Minetti, l’allora minorenne Ruby Rubacuori, disattendendo le precise disposizioni ricevute dal pm della procura dei Minori, Annamaria Fiorillo. «Ho agito nell’interesse della minore», ha detto sotto giuramento il 2 aprile scorso la Iafrate, rispondendo alle domande di procuratore Ilda Boccassini e del pm Antonio Sangermano. Anzi. L’allora sicurissima giovane funzionaria di polizia, si è spinta oltre: «Nell’ambito dei miei poteri di pubblico ufficiale — ha riferito al Tribunale — di fronte alla scelta se lasciare la ragazza in questura in condizioni non sicure
o affidarla a un consigliere regionale eletto dal popolo (la Minetti, ndr), ho ritenuto di seguire quest’ultima possibilità».
E un procedimento disciplinare lo rischia anche quello che è stato il primo avvocato di Ruby, l’ex tesoriere regionale lombardo del Pdl, Luca Giuliante. Il collegio presieduto da Giulia Turri, ieri, ha inviato al Consiglio dell’Ordine di Milano la sua posizione, per valutare se abbia realmente seguito il codice etico degli avvocati. Secondo la Corte, dalle intercettazioni captate nell’agosto 2010 dalla procura, Giuliante più che tutelare gli interessi della diciassettenne Ruby El Marough, emerge come il controllore di una minorenne che poteva mettere nei guai qualcuno di molto più potente.

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— La chiamano «Annina», è romena, stava spesso alle feste di Arcore, in aula aveva detto che ricordava Ruby Rubacuori come «una ragazza molto corpulenta fisicamente», come i suoi racconti così disperati che «ci fece pena», e si era rifiutata di rispondere, nonostante gli ammonimenti della presidente, alle domande del pubblico ministero sul tema del «sesso ad Arcore», dicendo «scelgo io i letti dove andare». Ma ieri Ioana Visan, dopo la sentenza e la trasmissione anche della sua testimonianza in procura, per riaprire le indagini, è «basita», come dice lei.
In fondo è semplice, il tribunale ritiene che lei e altre avete mentito.
«Ma ho detto le cose come stanno. Se noi siamo trenta a dire le stesse cose, sarà vero o no?».
Non è una questione di numeri, ma di fatti e di riscontri.
«
Io ho detto quello che ho visto e sentito».
Per il tribunale no, anzi lei si è rifiutata di rispondere.
«Ho reagito alle domande che non accettavo»
Siete in parecchie papi-girl indagate per falsa testimonianza. E siete ancora pagate da Silvio Berlusconi con un mensile, o no?
«Abbiamo subito un danno. Io sono stata massacrata, mi hanno fatto ogni genere di pressione perché raccontassi chissà cosa, ma ho detto la verità e sono pronta a ripeterla, ma tanto non servirà a nulla, mi spiace molto per l’Italia. Ci sono persone che uccidono e prendono dieci anni di carcere, sette anni a Berlusconi sono pazzeschi, è una condanna molto pesante, politica».
Non se l’aspettava?
«Per niente».
Non sa che c’è di mezzo una minorenne?
«A me hanno dato della prostituta, e se adesso mi accusano di avere detto le bugie, mi sembra il minimo ».
(p.c.)

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FABIO TONACCI
ROMA

Carlo Rossella, giornalista e presidente di Medusa Film, è sorpreso della sentenza di condanna di Berlusconi?
«Non posso commentare la decisione del Tribunale di Milano, visto che adesso rischio di essere imputato per falsa testimonianza... Ecco, di questo posso parlare ».
Parliamone.
«Quando ho deposto il 5 novembre 2012 al processo ho detto l’assoluta verità, e cioè che alle due feste ad Arcore a cui ho partecipato non ho mai visto né minorenni né Ruby. Lo ribadirò in ogni sede giudiziaria. Speriamo mi credano».
Lei però ha anche detto di non aver mai visto atteggiamenti di natura sessuale. Eppure una delle testimoni, Melania Tumini, afferma di averla incontrata alla festa del 19 settembre 2010, quando è accertato che vi furono spogliarelli, palpeggiamenti vari
e altro. Dunque?
«La Tumini si sbaglia. Tant’è che sostiene di avermi visto andare via verso l’1.30, mentre io me ne sono andato a mezzanotte e quarantacinque. Posso provarlo».
Come?
«Ho ancora la ricevuta del taxi che presi quella notte. L’ho mostrata durante il processo di primo grado, ma è stata ritenuta non interessante. Se qualche pm mi vorrà ascoltare, gliela mostrerò di nuovo. E non è l’unica incongruenza che ho trovato nel racconto della Tumini».
Cosa ha pensato quando ha visto il suo nome accostato a decine di “olgettine” che, come lei, vengono sospettate di aver testimoniato il falso per difendere Berlusconi?
«Mah, io non so nemmeno chi siano queste ragazze. Sono sorpreso, nella vita può capitare di tutto. Non ho fatto niente di male. E il mio comandamento è male non fare, paura non avere».

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ROMA
— Ci sono anche quattro politici del Pdl, quattro stretti collaboratori di Berlusconi, nell’elenco dei testi sospettati dai giudici di Milano di aver reso false testimonianze. Due sono le regine di cuori finite nell’inchiesta per via del loro ruolo nell’organizzazione delle feste del Cavaliere: Maria Rosaria Rossi e l’eurodeputata Licia Ronzulli. La Rossi è assistente personale del leader Pdl ed è stata candidata al Senato per stargli sempre accanto. Tanto che i nemici interni del partito, per il suo ruolo nel filtrare gli accessi a corte, alle sue spalle hanno preso a chiamarla «la badante». È sua la voce intercettata in una telefonata con Emilio Fede mentre parlano del bunga-bunga. L’altro uomo di fiducia del Cavaliere su cui il Tribunale ha chiesto alla procura di vederci chiaro è Valentino Valentini, deputato Pdl, ma soprattutto assistente, interprete ed ex consigliere per le relazioni internazionali quando Berlusconi era a palazzo Chigi. È stato Valentini a tenere i rapporti con Putin durante le innumerevoli trasferte nella dacia dello zar russo.
Ma il bersaglio più grosso tra quelli citati dal Tribunale in mezzo a decine di olgettine è senza dubbio Bruno Archi, soprattutto perché attualmente ricopre l’incarico di viceministro degli Esteri. È stato Archi, all’epoca consigliere diplomatico di Berlusconi, a ricostruire al processo la famosa cena tra
l’allora premier e Mubarak a villa Madama durante la quale il Cavaliere pronunciò il nome di Ruby. «Berlusconi — racconta Archi — aveva chiesto a Mubarak se la ragazza facesse parte della sua cerchia familiare, fu questo a suscitare l’interesse». «Cosa rispose Mubarak? », chiede Boccassini. «Rimase in-
curiosito, ma non capì bene la domanda, c’era molta confusione, eravamo a fine pasto e ci furono anche problemi di interpretariato. Mubarak non rispose, ma gli altri iniziarono a interloquire dicendo che conoscevano una famosa cantante di nome Ruby». Insomma Archi non chiarisce in Tribunale quale fu la risposta del Raiss alla fatale domanda di Berlusconi sul rapporto di presunta parentela con Ruby. Tanto che alla Farnesina i maligni definiscono Archi «viceministro per testimonianza», quasi che la nomina (e l’elezione alla Camera) siano il frutto della riconoscenza del Cavaliere per aver accettato di raccontare la sua verità su Ruby.
In ogni caso il viceministro è un diplomatico di lungo corso e l’esperienza e le competenze per l’incarico non gli mancano di certo. In una carriera in genere riservata ai “figli d’arte”, il giovane Archi riesce infatti a entrare in diplomazia benché il padre sia un semplice funzionario del ministero. L’incontro fatale, prima di quello con Berlusconi, fu con il potentissimo Bruno Bottai, il figlio del ministro di Mussolini. L’allora segretario generale della Farnesina lo prende sotto la sua ala protettrice e la carriera di Archi schizza sulla rampa di lancio. Fino alla chiamata di Silvio a palazzo
Chigi.
(f. bei)