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 2013  giugno 22 Sabato calendario

LA VERITA’ SULLA VICENDA RIZZOLI-CORRIERE DELLA SERA

Ritorniamo sulle vicende giudiziarie di Angelo Rizzoli do­po il suo recente arresto con l’accusa di bancarotta fraudolenta pat­rimoniale e documen­tale di quattro società da lui con­trollate e gestite. Un arresto che ha destato non poco scalpore a causa dell’illustre protagonista coinvolto già condannato con sentenza passata in giudicato per il medesimo reato commesso negli anni ’80 in danno della Rizzoli Editore.
Una storia, dunque, che si ri­pro­pone e sulla quale intendiamo ritornare per far luce su alcu­ni fatti che riguardano, non il re­cente arresto di Rizzoli, ma le vecchie questioni giudiziarie della Rizzoli Editore, delle qua­li ci siamo occupati tempo fa pubblicando anche alcune in­terviste di Angelo Rizzoli.
In un intreccio di cause, con­trocause, fallimenti e nuove norme, dovremmo (il condizio­nale quando si parla di Rizzoli è sempre d’obbligo) ormai esse­re arrivati a una verità proces­suale che non può più essere messa in discussione. Il Nuovo Banco Ambrosiano (oggi, Inte­sa San Paolo) e i soci della corda­ta che rile­varono nel 1984 la Rizzoli non solo non fecero alcuno “scippo”ai danni di Rizzoli,ma quest’ultimo, che all’epoca vendette la sua quota per dieci miliardi di lire, non ha alcun di­ritto di riaprire questa vecchia storia e lamentare di aver perce­pito un prezzo vile. E con un cer­to rammarico bisogna notare come in questa complessa vi­cenda anche i giornali e i giorna­listi abbiano fatto alcuni passi falsi. Clamoroso il caso della sentenza di Cassazione del 2009 che, come vedremo, solo apparentemente ha assolto An­gelo Rizzoli ma che, nella so­stanza, ha confermato le sen­tenze di condanna precedenti.
Ma per non perderci convie­ne dav­vero fare un riepilogo nell’intricata vicenda che si è chiu­sa in primo grado nel 2012 con l’ennesima condanna di Ange­lo Rizzoli, per lite temeraria, nel­la causa da lui promossa nei confronti di Intesa San Paolo e delle società eredi della corda­ta per ottenere il risarcimento dei presunti danni patiti quanti­ficati in una somma compresa fra 650 e 734 milioni di euro, pari, secondo il Rizzoli, al valore at­tualizzato della casa editrice.
Nel 1993 Angelo Rizzoli fu condannato a cinque anni di reclusione per bancarotta fraudolenta impropria, appropriazione indebita e falso in bilan­cio, per aver sottratto alla Rizzoli Editore beni sociali e dena­ri. Tre anni dopo, in appello, la pena per l’ex presidente e amministratore delegato della Rizzoli Editore fu confermata, ma ridotta. Il reato restava: distrazione di beni sociali e dena­ri dalla loro destinazione. La partita per Rizzoli si riapre, anche se come vedremo si chiude­rà presto, nel 2006.Il Parlamen­to­cancella l’istituto dell’amministrazione controllata e tutti i riferimenti a essa previsti dalla legge fallimentare. Insomma per farla breve: viene a manca­re la norma con la quale Rizzoli fu condannato in primo e in se­condo grado. Ma non cancella la sostanza di quanto accerta­to nelle sentenze penali passate in giudicato. È verità storica e giudiziaria che Angelo Rizzo­li abbia avuto comportamenti che all’epoca costituivano ban­carotta per distrazione, appro­priazione indebita e falso in bi­lancio: solo che la condanna viene cancellata dalla Cassa­zione nel 2009 poiché quei fat­ti, oggi, non sono più puniti dal­la legge. Forte di questa pronuncia, Angelo Rizzoli nel set­tembre del 2009 intenta una causa contro Intesa San Paolo e gli altri soci della cordata chie­dendo un risarcimento tra i·650 e i 734 milioni di euro, per l’acquisto fatto nel 1984.
Angelo Rizzoli ha sempre la­mentato, anche pubblicamen­te, di essere stato costretto a vendere a prezzo, a suo dire, vile il controllo del gruppo edito­riale, denunciando manovre considerate oscure nella gestio­ne della crisi dei gruppo. Su que­sto aspetto, peraltro, un prece­dente giu­dizio promosso da An­gelo Rizzoli contro l’allora Nuo­vo Banco Ambrosiano (oggi In­tesa San Paolo) e le società costi­tuenti la cordata lo vide soccom­bente sia in pri­mo sia in secon­do grado con sen­tenze del 1992 e del 1996, poi pas­sate in giudicato. Già allora Rizzoli sosteneva che il Banco (attraver­so la sua control­lata Centrale Fi­nanziaria) non avrebbe mai ver­sato nelle casse della Rizzoli Edi­tore l’importo de­liberato nel 1981 dovuto a titolo di aumento di capitale. Questo mancato pagamento, secondo il Rizzoli, avrebbe provocato il dissesto della società editrice e avrebbe consentito che questa fosse poi svenduta qualche tem­po dopo ( nel 1984) alla cordata al prezzo di una edicola. In real­tà, anche processualmente, questa contestazione (da cui di­scende gran parte dei presunto “scippo” di cui parla Rizzoli) è smentita. Esistono infatti nu­merosi documenti nei quali si dà espressamente conto di quei versamenti:tra tutti l’ista­n­za di ammissione alla procedu­ra di amministrazione control­lata da parte della Rizzoli Edito­re, che fu firmata proprio da An­gelo Rizzoli nel 1982, quale Pre­sidente e amministratore dele­gato della società. Senza conta­re la relazione del commissario giudiziale Luigi Guatri nomina­to dalla sezione fallimentare dei Tribunale di Milano dopo che la Rizzoli finì in amministra­zione controllata, così come quella del collegio sindacale, ol­tre a tutti i bilanci della società anche durante l’amministrazio­ne controllata che certificaro­no quel versa­mento. Quelle stesse sentenze, inoltre, accerta­rono che i dieci miliardi di lire percepiti da Riz­zoli per la vendi­ta del suo pac­chetto di control­lo alla cordata non erano affat­to vili, considerato il grave stato di dissesto in cui versava la so­cietà (destinata a breve al fallimento se la cordata non l’aves­se risanata attraverso ingenti aumenti di capitale) e conside­rati gli ulteriori vantaggi perce­piti da Rizzoli, quali la liberazio­ne da fidejussioni personali rila­sciate a garanzia di debiti socia­li per miliardi e miliardi di lire, oltre alla rinuncia all’azione di responsabilità già deliberata nei suoi confronti per i gravi atti di mala gestio commessi in dan­no della Rizzoli Editore.
Sempre riguardo al presunto prezzo vile a cui Rizzoli sarebbe stato costretto a cedere il suo gruppo a causa di pretese oscu­re manovre e indebite pressio­ni dell’allora Nuovo Banco Am­brosiano e del suo Presidente, prof. Giovanni Bazoli, negli an­ni ’90 le dichiarazioni di Rizzoli provocarono una iniziativa giu­diziaria del prof. Bazoli; iniziati­va che si concluse nel 1998 con la condanna di Rizzoli inflitta dal Tribunale civile di Brescia per diffamazione con sentenza passata in giudicato.
Nulla cambia dopo il 2009, dopo cioè l’annullamento in Cassazione della condanna per bancarotta fraudolenta impropria, appropriazione inde­bita e falso in bilancio. Rizzoli, come detto,cerca per l’ennesi­ma volta una rivincita proces­suale, quantificando il danno in una forchetta che va da 650 a 734 milioni. Ma il Tribunale di Milano l’11 gennaio del 2012 gli dà di nuovo torto. La parte più dura per Rizzoli è quella che lo vede condannato per lite temeraria e spese processuali a circa 13 milioni di euro.L’im­porto è stato così determinato: «Equo appare infine commisu­rare almeno simbolicamente l’importo da corrispondere in ragione della rilevata temera­rietà della lite i­ntentata all’entità dell’ingiusto profitto che l’at­tore intendeva ricavare dal pre­sente giudizio e che si ritiene pertanto di poter individuare nella pur minima misura complessiva dell’1% della doman­da proposta dall’attore». Il giu­dice ha infatti ritenuto che nel­la prospettazione dei fatti da parte di Angelo Rizzoli vi siano sospetti e allusioni per il comportamento di pubblici ufficia­li (giudici penali e custodi giu­diziari) non supportati da pro­ve; e che vi siano poi accuse ver­so il Nuovo Banco Ambrosiano e il suo Presidente che già si era­no­rivelate infondate nelle pronunce del Tribunale di Milano del 1992, della Corte d’appello del 1996 e che erano già state definite diffamatorie dal Tribu­nale di Brescia nel 1998; accuse poi ritrattate dallo stesso Rizzo­li nel 2002 attraverso una lettera di scuse indirizzata al prof. Bazoli.