Paolo Mastrolilli, La Stampa 23/6/2013, 23 giugno 2013
89 ANNI, IN PRIGIONE PER TRUFFA
Venerdì sera un uomo di 89 anni, malato di Parkinson e seduto sulla sedia a rotelle, è entrato in una prigione di New York per scontare una condanna a tre anni e mezzo di carcere, ridotti poi a uno. Reato: aver rubato soldi alla mamma. Già così sarebbe una storia intrigante.
Ma il fatto è che la madre in questione si chiamava Brooke Astor, erede di una delle famiglie più ricche e note di Manhattan. Così la saga di una dinastia che un tempo era «padrona di New York», come raccontavano le cronache politiche e mondane, è finita tristemente dietro alle sbarre.
Brooke era nata nel 1902 in New Hampshire da John Russell, comandante del Corpo dei Marines. Si era sposata a 17 anni col senatore del New Jersey John Dryden Kuser, da cui aveva avuto un figlio, Anthony, nel 1924. Era troppo giovane e nel 1930 aveva divorziato, ma quello era stato solo l’inizio della sua vita sociale. Nel 1932, infatti, aveva sposato il finanziere Charles Marshall, e dopo la sua morte si era unita a Vincent Astor, erede di una famiglia aristocratica nella più potente democrazia del mondo. Grandi proprietari edili, al punto che a New York ci sono strade e piazze intitolate a loro, oltre all’hotel Waldorf-Astoria e un intero quartiere al Queens. Vincent aveva ereditato una fortuna dal padre, John Jacob Astor IV, quando era morto nel naufragio del Titanic, e la sua vita consisteva grosso modo nello spendere questi soldi. Aveva una fondazione dedicata a «favorire il bene nel mondo», che era diventata la missione di Brooke, quando anche il terzo marito era morto nel 1959.
Anthony era rimasto sempre ai margini di questa vita scintillante. La madre, per sua stessa ammissione, era «formale e distante». Troppo impegnata nei ricevimenti con diplomatici e imprenditori, le relazioni sociali, le donazioni a grandi istituzioni come il Metropolitan Museum of Art o la New York Public Library, per occuparsi di lui. Il figlio quindi era finito in collegio in Massachusetts, e poi si era arruolato nei Marines. Aveva combattuto a Iwo Jima, guadagnandosi una medaglia Purple Heart, e al ritorno era diventato analista della Cia e ambasciatore, a Trinidad e Tobago, Kenya e Seychelles. Nel frattempo aveva avuto due figli gemelli, Alexander e Philip.
Più avanti con l’età, Anthony si era riavvicinato alla madre, che gli aveva chiesto di amministrare le sue fortune. Il rapporto, però, si era rovinato in fretta: lei esuberante e generosa con i soldi della fondazione, lui riservato e deciso a salvare il patrimonio. Il contrasto era esploso in pubblico nel 2006, quando uno dei figli di Anthony, Philip, aveva accusato il padre di maltrattare la nonna e approfittare del fatto che fosse malata di Alzheimer per portarle via i soldi. Milioni di dollari sottratti cambiando il testamento, vendendo quadri, elargendo a se stesso aumenti retroattivi di stipendio. Philip aveva presentato denuncia al tribunale di Manhattan, affinché la custodia di Brooke fosse tolta ad Anthony e assegnata alla moglie dello stilista Oscar de la Renta, Annette, vecchia e fidata amica dell’ereditiera.
Il processo era diventato una passerella imbarazzante per l’alta società di New York. Anche Henry Kissinger e David Rockefeller avevano testimoniato contro Anthony. Brooke era morta nel 2007, a 105 anni d’età, e due anni dopo il figlio era stato condannato. Vista l’età e i problemi di salute, Anthony aveva presentato appello, ma l’iter giudiziario si è concluso venerdì con la condanna definitiva. «L’esecuzione della sentenza era necessaria per affermare i diritti spesso dimenticati degli anziani», ha spiegato il procuratore di Manhattan Cyrus Vance, anche lui figlio di un ex segretario di Stato. Il giudice Kirke Bartley ha detto all’imputato: «Non provo piacere a compiere questo dovere, ma devo rispettare il mio giuramento, come lei quando era nei Marines». Poi, leggendo la lettera con cui l’altro figlio di Anthony, Alex, aveva chiesto alla corte clemenza per il padre malato, ha aggiunto: «Le consiglio di riaccogliere i suoi figli. La vita è troppo breve, di certo non ha bisogno che glielo ricordi io».