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 2013  giugno 23 Domenica calendario

A GENOVA TRA GLI ULTIMI PESCATORI

Il più vecchio si chiama Luigi Santamaria. Neppure a ottant’anni riesce a staccarsi dal mare. «Abbiamo provato per quattro mesi, con i miei figli Vincenzo e Nicolò. Ma stavamo tutti male. Sono dovuto andare dal medico a chiedere qualcosa per dormire. Allora abbiamo deciso di investire i risparmi nello “Squalo”.
Guardate come è bello! Siamo andati a comprarlo a Venezia, abbiamo fatto il giro d’Italia per portarlo a casa. Ed eccoci qui, ancora qui...». A fare gli ultimi pescatori di Genova. A disfarsi la faccia al sole. A strapparsi i polsi, a furia di calare e salpare le reti. Stanno rannicchiati su brandine come nel grembo materno. Giocano a «cirula», leggono Asimov, pregano in silenzio nel tratto di mare verso l’orizzonte, quando non si può fare altro che aspettare. Prima di tirare fuori dall’acqua pesci buoni e divini, che svenderanno anche per 8 euro alla cassa.
«È un lavoro troppo “travaglioso” - dice il signor Santamaria - non ripaga. Per questo nessuno lo vuole fare più». Figlio di pescatore, partito da Alcamo, Sicilia, nel 1959 era emigrato a New York, dove ancora oggi risiede la sua età dell’oro: «Nell’Atlantico prendevamo merluzzi grandi da poppa a prua. Dividevamo per tre, senza distinzioni di ruoli. Un avvocato di Brooklyn mi aveva fatto sposare una donna sconosciuta, per avere i documenti. E nel giro di un anno e mezzo, avevo già i soldi per comprarmi il primo peschereccio». Ha perso un pollice dentro l’argano. Ha passato la vita sulle onde. Non cambierebbe questo mestiere con nessun altro. Anche se ora, è evidente, non è più il paradiso.
I pescatori rimasti sono pochi e dimenticati. Hanno canottiere logore e tecniche uniche, che nessuno imparerà. Dal porto più grande d’Italia ormai partono soltanto tre barche per la pesca a strascico, cinque a circuizione, sette con le reti da posta: totale 42 imbarcati. La «Stella del Sud» è sotto sequestro giudiziario perché fallita. La «Genova 8387» è in vendita. In Italia il settore segna - 38 % rispetto al 2000. Ma quarantadue pescatori ancora resistono nella darsena del porto antico, in mezzo ai turisti. Per capire quello che sta succedendo, bisogna andare alla capitaneria di porto a leggere il registro navale di Genova: 2662 iscritti dal 1972 ad oggi. Si sono arresi quasi tutti.
Non Luigi Dairoli, con la faccia da burbero e una sigaretta storta fra i denti. È lui che legge racconti di fantascienza e divora i gialli di Agatha Christie in cabina, durante le ore di navigazione. «Mi sono concesso solo due vacanze in vita. Tre giorni a Gardaland per i miei figli e una settimana a San Remo, costretto da mia moglie. Passavo il tempo a curiosare sulle barche degli altri». Lui e Giovanni Bertolotti dividono questo miracolo galleggiante chiamato «Maria Rosa». Ventisette tonnellate di stazza, sessant’anni di vita, un motore diesel 8 cilindri che sbuffa e arranca. Ma prendono il mare. Vanno a cercare i gamberoni rossi cantati da Paolo Conte. Un sogno che si può trovare dodici miglia a dritta, a una profondità di cento metri. Poi, nel pomeriggio, come i colleghi dello Squalo, si ritrovano sulla banchina del porto, davanti al Museo del Mare, a cercare di vendere il pescato direttamente. Per non dovere cedere ai prezzi stracciati dei supermercati. «Ci stanno uccidendo la crisi e l’Europa - dice Bertolotti - negli anni il gasolio è passato da 150 lire a poco meno di un 1 euro al litro. Intanto dobbiamo rispettare regolamenti assurdi. Come i centimetri delle reti. I nostri pesci sono più piccoli di quelli dell’Atlantico francese. I moscardini passano tutti nel sacco. E comunque, alla fine e come sempre, dobbiamo sperare che il mare sia buono con noi».
Oggi, scirocco. Nuvole grigie opprimenti. Onde che sconquassano la chiglia. «È un mare che sta cambiando dice Bertolotti - quest’anno sono spariti i merlani e lo sgombro, ma ci sono tanti tonni e gamberi bianchi». Lo ripetono tutti: non mancano pesci, ma pescatori.
Chicco Sacceddu, 39 anni, molti tatuaggi, è il capitano del gozzo «Irrequieto». Da un mese va da solo. «Ho dovuto vendere la barca più grande e lasciare a casa sei lavoratori, una cosa che mi fa soffrire. Ma nel 2012 abbiamo preso 120 mila euro di pesce, a cui bisogna togliere 27 mila euro di gasolio, 15 mila euro di contributi, la manutenzione, e poi dividere la paga. Era impossibile continuare». Anche adesso è dura: «Ieri ho preso sette casse di occhiate, ma ne ho ributtate cinque in mare. È la crisi. Vengono a comprare con le monete da 10 centesimi. Se andavo a raccogliere cartoni forse era meglio...». Ma si ostina a prendere il largo alle nove di sera, ritorna alle cinque del mattino. Due ore di sonno su una vecchia Fiat Stilo, per essere pronto a vendere il pescato alle 7. Alle tre di pomeriggio sta già cucendo le reti danneggiate, per ricominciare il giro da capo. «Quando mi siedo sulla barca e accendo il motore io sono l’uomo più felice del mondo - racconta - vorrei solo la serenità di qualche anno fa. Resisto per i miei figli Riccardo e Valentino».
È una storia paradossale. «L’Italia è dentro l’acqua, ma è come se non esistessimo», dice Felice Mammoliti, quinta generazione di pescatori in famiglia. «Avremmo bisogno di istituzioni, di giovani, di considerazione. Invece il 70 per cento del pesce sulle nostre tavole è importato. La colpa è della grande distribuzione. Non c’è più cultura...».
È una vita di nafta e salsedine. Di caffettiere in bilico nelle tempeste. Fiocchi di neve in mezzo al mare. Nebbie, spaventi, sorprese. Gioia indicibile, quando la rete si gonfia di pesce venato da luminescenze perfette. Saraghi, gallinelle, triglie, bughe, scorfani, naselli. Perché stiamo perdendo tutto questo?
Prendete i sette della motonave «Aquila Pescatrice», con la lampara per la pesca alle acciughe. Mandateli in una scuola. Fate vedere le mani di «Mister P», alias Paus Omodrodion, partito da Lagos, Nigeria, per lavorare qui anche venti ore al giorno. Mettete in cattedra la maestria con cui John Sanmartin, 45 anni, da Isla Puna, Equador, sa cucire le reti. Oppure la barba rossa da vichingo di Federico Traverso, 22 anni, nato a Bogliasco, che ha scelto una vita che nessuno considera: «Questa è la mia famiglia - dice pescare è una passione più forte di me». Il comandante Claudio Orecchi, mentre carica il ghiaccio nella stiva e dà lezioni di ironia. Il cane Set che abbia felice, quando è ora di mollare gli ormeggi. Prendete il figlio del comandante - Elia, 22 anni, ciuffo alla Elvis - il più giovane pescatore di Genova: «Neppure il calcio vale questo mestiere, anche se nessuno lo capisce». Fra due mesi si sposerà con Marta, 21 anni, che studia per diventare assistente sociale. «Ci vediamo poco, ma ci amiamo tanto». Loro vedono un futuro, ed è già abbastanza.