Paolo Mastrolilli, tuttoLibri, La Stampa 22/6/2013, 22 giugno 2013
PERCHÉ UCCIDERE UN FIGLIO E POI ANDARE A BALLARE?
[Lisa Gardner]
La banalità del male è ancora più banale di quanto ci si possa aspettare. E’ normale, nascosta da qualche parte dentro ognuno di noi. Pronta a sgomitare, farsi spazio, imporsi sul lato buono degli esseri umani in qualsiasi momento. «Intendo dire - spiega Lisa Gardner - che il pericolo è molto più vicino di quanto pensiamo. Il confine tra bene e male è incerto, confuso, e chiunque può attraversarlo quasi senza accorgersene».
Lisa è uno degli autori di thriller più affermati negli Stati Uniti: una ventina di milioni di copie vendute, film, programmi televisivi. Bella, occhi azzurri, dolce all’apparenza, vive in una casa di campagna del New Hampshire col marito e la figlia, e passa il tempo a immaginare incubi. Ora ritorna in Italia con Love You More , A chi vuoi bene , pubblicato da Marcos y Marcos. Racconta la storia di Tessa Leoni, una poliziotta molto tosta di Boston, che arriva a casa per scoprire che la figlia di sei anni è stata rapita. La detective D.D. Warren, protagonista di una serie di romanzi della Gardner, viene incaricata dell’indagine, e questi due profili di donna si sovrappongono in una caccia piena di sorprese. Avvincente, si fatica a posare il libro per andare a mangiare.
Da dove viene l’idea?
«Il caso di Casey Anthony, una giovane madre della Florida accusata di aver ucciso la figlia. Alla fine è stata assolta, ma come nel processo di O.J. Simpson, tutti restano convinti che sia colpevole. Ecco, quella vicenda mi ha spinto a indagare su una realtà orribile: cosa spinge una madre ad uccidere il proprio figlio, e poi magari andare a ballare, come fece Casey».
Qual è stato il risultato di questa ricerca?
«Direi che ho fallito, nel senso che il libro era cominciato in un modo, ed è finito in un altro».
Cioè?
«Forse il fatto è che anche io sono madre, ma conducendo le mie indagini ho scoperto molte storie diverse. Esistono genitori che per estremo egoismo uccidono i figli, ma la stragrande maggioranza è disposta ad andare ai confini della Terra per salvarli».
E così la poliziotta Tessa si trasforma in criminale, per cercare la sua bambina.
«Esatto».
Una persona così retta, che diventa così cattiva?
«Vi ricordate quel tipo dell’Ohio, che ha tenuto tre ragazze prigioniere nella sua casa di Cleveland per oltre dieci anni? I vicini dicevano tutti che era una persona buona, mite, tranquilla. Una storia così non puoi inventarla, anche se ci provi, eppure spiega l’essenza del male. E’ dentro di noi, nelle persone più normali. Convive con il bene, che prevale quasi sempre nei nostri comportamenti. Eppure da un momento all’altro, per ragioni imprevedibili, può venire per ognuno di noi l’istante in cui il male prevale. Io - pensiamo dentro di noi - non uccido. Ma ogni giorno muore qualcuno. Il confine è incerto, confuso, annebbiato. Il pericolo è molto più vicino di quanto pensiamo, perché il lato oscuro della nostra natura esiste e ci minaccia sempre».
Per ricercare «A chi vuoi bene», lei è andata anche a visitare la «Body Farm», un macabro posto del Tennessee dove si studia la decomposizione dei cadaveri. Roba da«Il silenzio degli innocenti». Cosa l’attira verso la tragedia?
«E’ la psicologia del crimine che mi affascina. Tutti cerchiamo di capire cosa ci spinge a commettere reati orribili, come l’uomo dell’Ohio che rapisce tre ragazze. Mi affascina perché il male può essere così normale, vicino, mescolato con i caratteri migliori di una persona. Fa parte della nostra natura. Però indagarlo, conoscerlo, aiuta a capire, e quindi a sentirsi più sicuri».
I suoi romanzi trasmettono sicurezza?
«Offrono una risoluzione, una chiusura, che spesso nella vita non arriva mai. La conoscenza è potere. Capire come funziona la psicologia del crimine, o come funziona la macchina della giustizia, aiuta ad affrontare il male».
Non le pare che nella società americana ce ne sia troppo?
«Noi siamo ossessionati dalla violenza. Lo vedi nella televisione, i film, i libri come i miei. Vogliamo vederla, conoscerla».
Gli Stati Uniti sono più violenti degli altri paesi?
«Non credo. La natura umana è uguale ovunque, ed è ciò che cerco di indagare con i miei romanzi. Però noi abbiamo un interesse morboso per la violenza, e questo forse ci distingue da altri luoghi del mondo».
Non teme di contribuire a peggiorare questa piaga?
«Il contrario, cerco di curarla. Ho scritto anche due libri sulle sparatorie nelle scuole, come Newtown, e dalle pagine emerge con chiarezza che non bisogna alimentare le fantasie dei violenti. Non è una problema che riguarda tutti, ma alcune persone andrebbero tenute lontane da certe suggestioni. Dovremmo cercare di capire meglio i nostri figli, e magari evitare certa tv o certi giochi. Il pericolo è sempre vicino. Il male si confonde col bene in ognuno di noi. Dobbiamo imparare a conoscere la sua normalità, per prevenirlo.