Emanuela Audisio, la Repubblica 24/6/2013, 24 giugno 2013
IL BARONE E IL PROLETARIO QUEL MERAVIGLIOSO MATCH TRA VON CRAMM E BUDGE
Le partite più belle sono quelle dove ci si gioca la vita. Hanno splendore, tragicità, mistero. Nulla va come deve andare, tutto si ribalta, Shakespeare lo direbbe meglio, ma alla fine anche lo sport trova le parole. Fu un match magnifico, quello del 20 luglio ’37, sul campo centrale di Wimbledon, «verde e teso come un panno da biliardo». Ora raccontato da Marshall John Fischer in “Terribile Splendore” (66thand2nd). C’erano la regina Mary e 14 mila spettatori per Usa-Germania, finale interzone della coppa Davis per stabilire chi avrebbe affrontato i campioni in carica (inglesi). Importava soprattutto la partita tra l’aristocratico tedesco e il proletario americano. Il barone von Cramm aveva 28 anni, indossava pantaloni di flanella color panna, cintura bianca e rossa del suo club, Rot-Weiss di Berlino. Donald Budge, sei anni più giovane, aveva una polo aderente e anche lui i calzoni lunghi, Daks, forniti dalla sartoria Simpson. I tratti comuni finivano qui. Il tedesco usava una Dunlop dal manico sottile, aveva mezzo dito in meno, a dieci anni un suo cavallo lo aveva morso, mentre l’americano randellava con una Wilson di mezzo chilo dal manico extralarge. Il barone voleva rifarsi della delusione di aver perso tre finali a Wimbledon, due con Fred Perry, l’ultima proprio con Budge, 17 giorni prima. Si presentava come Gottfried Cramm, anche se la mamma apparteneva a un’importante dinastia tedesca, viveva in un castello (Schloss Bruggen), aveva come istitutrice Fraulein Marggraff, che si era occupata anche del principe Edoardo.
Ad allenare il barone nel ’28 era arrivato il grande campione americano, Bill Tilden. Anche lui aveva un dito della mano destra accorciato, se lo era lacerato contro una recinzione nel ‘22. Tilden capì che al ragazzo mancava un buon rovescio, lui si era allenato spaccando legna per rinforzare il braccio destro, disse a Gottfried di fare lo stesso. Cramm si trasferì a Berlino, si diede al tennis, sposò Lisa von Dobenek, ma aveva una doppia vita, frequentava “Manny” Herbst, ebreo galiziano 18enne. Anche Tilden era omosessuale, ma allora tutto era segreto, anche nello spogliatoio.
Don Budge, detto “Il Terrore Rosso” dal colore dei capelli, era figlio di un fattorino di Oakland, amava il jazz, «datemi Bing Crosby e Tom Dorsey e lascio il tennis», si era messo a dieta (niente più fritti e cioccolata) e aveva il miglior servizio al mondo.
Von Cramm aveva bisogno di vincere per allentare i dubbi del regime. Non si era iscritto al partito nazista e la Gestapo lo seguiva da quattro anni. Confessò a Tilden: «Tu non capisci, io qui mi gioco la vita. Loro sanno cosa penso e sanno di me». Nel ’37 l’eterosessuale felicemente sposato non esisteva più: Lisa gli aveva chiesto il divorzio, i suoi locali preferiti erano stati chiusi, gli amici ebrei perseguitati. Nell’aprile di quell’anno due agenti della Gestapo lo andarono a prendere. Fu interrogato per una denuncia: un prostituto di Hannover sosteneva di averlo aiutato a cercare ragazzi. Gottfried negò. Giocare per la gloria di un regime criminale? Budge in seguito raccontò (episodio non confermato) che prima di entrare in campo squillò un telefono e il suo avversario chiese scusa: «Era Hitler, voleva augurarmi buona fortuna».
Wimbledon tifava per l’aristocratico tedesco, anche l’americana Barbara Hutton ne era innamorata, lo yankee passava per uno zoticone. Budge lo ammise: «Quando entravi in campo con lui era difficile non sentirti oscurato dalla sua ombra». Von Cramm lo attaccò sul dritto e lo mise sotto, Budge si schiantò: 8-6, 7-5 per la Germania, due pari al terzo. Ma l’americano prese rischi, scese a rete, recuperò: 6-4, 6-2. Nel quinto von Cramm tornò avanti 4-1 ma Budge rimontò ancora. Sul 7 6, al suo quinto match-point, si buttò di lato per non perdere il punto. Un rovescio in tuffo. Un colpo disperato. La palla è nell’angolino, Budge è disteso ma non può sapere: dentro o fuori? Sente l’applauso: 8-6. E von Cramm che gli dice: «Don, è stata la più bella partita che io abbia giocato nella vita».
Un anno dopo il barone finì in prigione. Per reati di natura sessuale. Nel ‘39 provò a ritornare a Wimbledon, non lo ammisero: «Moralmente non adatto». Gli Usa gli negarono il visto per giocare a Forest Hills. Nel ’51, contro Drobny, rimise piede sul campo centrale a Wimbledon: aveva 42 anni e ancora i calzoni bianchi lunghi. Si alzarono tutti mentre lasciava per sempre quell’erba. Redimere i peccati del mondo è difficile. Ma il barone e il proletario erano d’accordo: nessuno di loro due aveva mai giocato meglio di così.