Eugenio Occorsio, la Repubblica 24/6/2013, 24 giugno 2013
LO STALLO POLITICO IN EUROPA E USA RALLENTA LA RIPRESA ECONOMICA
[Nouriel Roubini]
«Se il mercato si manterrà stabile, vorrà dire che ci si è limitati a una salutare depurazione dagli eccessi speculativi. Però l’esperienza deve comunque insegnarci qualcosa: esiste nel mondo, a partire dagli Stati Uniti, una preoccupante fragilità di base. Con questa dobbiamo fare i conti, e tenendo presente tale incertezza dobbiamo adeguare valutazioni e comportamenti ». Nouriel Roubini riflette, alla vigilia della riapertura, sulla tempesta che ha attraversato i mercati la settimana scorsa dopo l’annuncio di Bernanke che il quantitative easing sta per finire. Il guru della New York University indica le lezioni da trarne affiancato da Brunello Rosa, l’economista proveniente dalla Bank of England che è il direttore delle macro-strategie internazionali del think-tank Roubini Global Economics.
A complicare il quadro, mentre Bernanke dava il suo annuncio, Obama prendeva le distanze dal glorioso presidente della Fed come a volerne anticipare la dipartita. C’è connessione?
«La successione di Bernanke non è ancora decisa in favore di Janet Yellen (l’attuale vicepresidente, già consigliera di Clinton, ndr). Ci sono altri candidati come Larry Summers, economista liberal in grado di tenere a bada i “falchi”. E’ importante valutare gli equilibri nella Fed ma la coincidenza con l’affermazione di Obama che Bernanke sarebbe “stanco” è casuale: sul fronte della politica monetaria, il capo della Fed doveva dare un segnale che il quantitative easingnon può essere preso per scontato perché è dettato dall’emergenza e destinato a finire. Ha indicato una data, peraltro subordinata al calo della disoccupazione, e ha rimosso un fattore d’incertezza. Non è stato un errore. Semmai la Fed deve migliorare le tecniche di comunicazione».
In effetti la reazione è stata sproporzionata, e ora tutti sono in apprensione per la settimana che inizia. C’è motivo?
«A vendere sono stati gli hedge fund e altri operatori con una forte “leva” debitoria soprattutto sullle speculazioni sulle valute, e sulle commodity. E’ stato un bene. Le vendite non hanno coinvolto fondi pensione, assicurazioni, fondi d’investimento, chi gestisce insomma denari dei risparmiatori. Se si uniscono al sell-off, si innesca un effetto-valanga difficilmente controllabile».
E quante probabilità ci sono che ciò avvenga?
«Lo sa da cosa dipende? Dall’efficacia con cui i governi riusciranno a risolvere i problemi macroeconomici. In America viviamo uno stallo politico sulle correzioni di bilancio, sulle tasse, sui programmi assistenziali, persino sull’immigrazione. Il nervosismo di Obama si spiega così. Quanto all’Europa, sembra non rendersi conto che nessuna unione monetaria nella storia è mai sopravvissuta senza un’unione politica, fiscale, bancaria. Siamo ancora a livello di discussioni: anche se la situazione è migliorata grazie all’Omt, al Fondo salva stati, alle prime riforme strutturali, e la Grecia non è più sulla soglia dell’uscita dall’euro né Spagna e Italia rischiano più di perdere l’accesso ai mercati, la situazione resta incerta. Se aggiungiamo l’impatto frontale dell’austerity, la crescita e l’occupazione nei Paesi più deboli rischiano di non riprendersi mai».
In che misura le vicende europee sono condizionate dalle scelte della Fed?
«C’è un indicatore preciso. Uno degli effetti delle affermazioni di Bernanke del 19 giugno, che hanno confermato l’audizione al Congresso del 22 maggio, è il rialzo dei tassi a lungo termine: i buoni decennali americani sono schizzati dal 2 al 2,5% per un’ondata di vendite che ha abbattuto i valori e rialzato simmetricamente i tassi. Esiste una correlazione in economia: se il processo di vendite interessa i bond americani, coinvolgerà le altre obbligazioni risk-free nel mondo (Germania e Gran Bretagna in testa) ma soprattutto quelle considerate a rischio come l’Italia. Se io risparmiatore avverto segnali di panico, per prima cosa mi libero dei titoli meno sicuri. Ecco perché lo spread italiano è a rischio di rialzo».
La tendenza della Fed a rialzare i tassi influenzerà le decisioni della Bce, già paralizzata dal giudizio pendente a Karlsruhe?
«La Fed ha detto solo che fermerà il quantitative easing, ma di certo la Bce ha perso l’occasione per azzerare i tassi, il che avrebbe tra l’altro comportato il calo dell’euro. Tutto è ora realisticamente più difficile. La vicenda tedesca rende arduo anche affrontare le altre misure non convenzionali che dovevano affiancare gli Omt: la cartolarizzazione dei prestiti alle piccole imprese (la Bce li avrebbe ricomprati permettendo di abbassare gli interessi), i tassi negativi sui fondi delle banche presso la Bce stessa (invogliando a utilizzare diversamente il denaro), la versione europea del quantitative easing. Tutte misure non ortodosse così come non ortodossa era la politica della Fed. Se questa finirà, quella della Bce rischia di non cominciare mai».