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 2013  giugno 22 Sabato calendario

IL BRUSCO RISVEGLIO DAL MIRACOLO


IL RISVEGLIO dal “sogno brasiliano” è brutale. La presidente Dilma Roussef è costretta a cancellare un viaggio in Giappone.

E A convocare una riunione d’emergenza del suo governo. Mentre la protesta dilaga in più di cento città: perfino il Congresso di Brasilia ha rischiato di essere invaso. Eppure non molto tempo fa — ancora in occasione della visita di Obama nel marzo 2011 — il Brasile era additato come un “modello”. È la B dei Brics, il club delle potenze emergenti (con Russia India Cina Sudafrica) individuato dall’economista Jim O’Neill di Goldman Sachs 12 anni fa come “il mondo del futuro”. Il Brasile aveva — e in parte ha tuttora — delle qualità che mancano agli altri colossi emergenti. È una democrazia a differenza della Cina. È ricco di materie prime a differenza dell’India, ma non solo di quelle, e le sue industrie tecnologicamente avanzate (vedi Embraer, terzo costruttore mondiale di jet dietro Airbus e Boeing) gli danno un’economia più equilibrata della Russia. Infine dai tempi di Lula il Brasile ha sperimentato una via socialdemocratica con formule originali come la Bolsa Familia (sussidi perché i ragazzi continuino gli studi) che hanno iniziato a ridurre le diseguaglianze. Tutte favole?
Il miracolo brasiliano ha cominciato a vacillare due anni fa. In parte, vittima del suo successo. Il boom dell’economia, insieme con la scoperta di eccezionali giacimenti energetici offshore, aveva attirato troppi investimenti stranieri. Ivi compresi capitali speculativi. La moneta si era sopravvalutata riducendo la competitività delle esportazioni. Dall’anno in cui O’Neill coniò l’acronimo dei Brics, il Brasile aveva conosciuto uno sviluppo del 4% annuo fino al 2010: una performance che lo collocava poco dietro Cina e India. Nel 2011 c’era stata la prima frenata, con una crescita del 2,7%. Seguita da una stagnazione a 0,2% nel 2012. Senza più crescita, sono venuti a galla problemi strutturali e politici che prima erano ignorati. La Banca mondiale classifica il Brasile come la settima economia del pianeta, davanti all’Italia, e tuttavia la qualità di apprendimento nelle sue scuole è tra le peggiori del mondo. La lotta alle diseguaglianze ha solo attenuato il problema: il Brasile si colloca tra il 10% delle nazioni più diseguali del mondo. Gli alti tassi d’interesse stanno strangolando un ceto medio che si è molto indebitato anche per rincorrere la “bolla” del mattone. Il venir meno di uno sviluppo vigoroso ha esacerbato l’insofferenza verso la corruzione dei politici. La protesta è divampata su un “pretesto”, gli aumenti nella tariffe dei trasporti pubblici. La gente non crede più alle promesse sugli effetti benefici dei due grandi eventi sportivi — i Mondiali di calcio l’anno prossimo, le Olimpiadi nel 2016 — che secondo il governo dovrebbero generare 3,6 milioni di nuovi posti di lavoro. Anziché spendere in faraonici impianti sportivi — occasioni per tangenti ai politici — Dilma Rousseff per placare le proteste dovrebbe rivedere le sue priorità, dirottare investimenti verso la scuola e i servizi sociali.
Della rivolta brasiliana colpisce anche la modernità. I paragoni vanno fatti con altre democrazie e paesi avanzati: il movimento Occupy Wall Street negli Stati Uniti, gli indignados di Spagna e Grecia, le manifestazioni contro il carovita in Israele. C’è perfino qualcosa in comune con il Movimento 5 Stelle: la condanna del ceto politico in toto, la disaffezione verso i mass media tradizionali accusati di essere legati all’establishment. La Rousseff, nonostante il suo passato di militante nell’estrema sinistra (fu anche sbattuta in carcere dalla dittatura militare) sembra disorientata di fronte all’ampiezza della ribellione antisistema, che non si placa di fronte a singole concessioni. Gli aumenti delle tariffe degli autobus sono stati bloccati, le manifestazioni si amplificano. Per il resto del mondo c’è un elemento di preoccupazione aggiuntivo: la caduta del modello brasiliano avviene in simultanea con un rallentamento di tutti i Brics. La prossima puntata della grande crisi che ebbe inizio nel 2008, potrebbe riguardare proprio loro.