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 2013  giugno 22 Sabato calendario

Il deputato Cinque Stelle ingolla il caffè alla buvette come chi ha bisogno di dimenticare un’amarezza

Il deputato Cinque Stelle ingolla il caffè alla buvette come chi ha bisogno di dimenticare un’amarezza. «Il prossimo che vola via è Zaccagnini». Quando? «Lunedì». Chi te l’ha detto? «Lui. Non a me. A un collega. Ma io non a te l’ho mai detto». Mai. Figurarsi. Ma lui, Zaccagnini, il prossimo appunto, il nuovo anello di una catena che rischia di soffocare il Movimento nella culla, che cosa ne pensa? Mastrangeli espulso. Furnari e Labriola usciti per conto proprio. Gambaro espulsa. Pinna e Currò graziati in extremis nel tentativo (vano?) di dimostrare che chi guida il gruppo da Genova e da Milano Grillo e Casaleggio - non ha istinti dittatoriali nordcoreani. Ieri, in mattinata, il saluto senza preavviso della senatrice veneta Paola De Pin. Uno schiaffo inaspettato, alla vigilia della dolorosamente attesa rendicontazione sulle diarie. «Dopo una lunga e sofferta riflessione annuncio la mia uscita dal Movimento 5 Stelle. Piena solidarietà ad Adele Gambaro, sottoposta a una inaccettabile gogna mediatica». Bye bye baby. Avete trattato male la mia amica, me ne vado anch’io. I soldi non c’entrano, senatrice? «Ovviamente no». C’è qualcuno in grado di fermare la frana? «Dobbiamo capire se questo addio è il segno di una piccola o di una grande emorragia», dice evidentemente sconfortato Nicola Morra, capogruppo Cinque Stelle al Senato. Alla Camera, intanto, il cicalino che richiama i deputati per il voto invade l’aria. I parlamentari svuotano il transatlantico. L’Aula si riempie. Dibattito acceso. Discussioni. Tutti contro i Cinque Stelle, accusati di avere costretto il governo a mettere la fiducia sul decreto ambiente. «Se il testo è insoddisfacente è colpa del vostro ostruzionismo». Scintille. Baruffe. Qualcuno trascende. Il cittadino-deputato Manlio Di Stefano si scontra col collega di Sel Nazzareno Pilozzi. Intervengono i commessi. La Boldrini urla: «Basta». Fine round. Zaccagnini lascia l’assemblea scuro in volto. «Il linguaggio di Grillo ci sta contagiando. Di Stefano ha chiamato il collega di Sel “leccaculo”. Non va bene. È sbagliato. Capisco la sofferenza della De Pin. E ho capito anche quella della Gambaro. Continuiamo a ripetere gli stessi errori». Non è questo il Movimento che aveva immaginato. «Le frasi concilianti di Grillo sono arrivate solo perché nel sondaggio sull’espulsione della Gambaro la Rete si è divisa. Ma questa tregua è fittizia. Se in Aula ci sono persone come Di Battista che parlano a nome di tutti senza avere consultato nessuno significa che qualcosa non va». Te ne vai, come dicono i tuoi colleghi? La risposta anticipa anche l’eventuale, ulteriore, obiezione. «Ho già l’Iban dove versare l’eccedenza della diaria. Sono a disagio. Ma non è detto che lunedì lasci il Movimento». Non è detto. Verserà il denaro come i suoi ex fratelli al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Poi deciderà se fare la valigia. Riflessione che non riguarderà solo lui. I suoi colleghi hanno l’aria affranta di un esercito in ritirata. Passeranno mai 24 ore di fila senza che esploda qualche polemica interna? Anche Grillo e Casaleggio sanno che non si può andare avanti così. Non è più sufficiente - come fa Grillo a Ragusa mettere alla berlina gli avversari («con lo streaming abbiamo fatto diventare Letta uno statista»), c’è bisogno di risolvere il marasma nel tempio. Da qualche giorno, hanno cominciato a chiamare i parlamentari uno per uno. L’intelligenza collettiva farà anche la differenza, ma se non presti attenzione all’intelligenza individuale rischi di ridurre in poltiglia l’intero favoloso progetto. La prossima settimana scenderanno assieme a Roma. Non più per imporre le mani. Stavolta - la prima - per imporre un po’ di buonsenso. Magari anche a loro stessi, per evitare di trasformare i propri fedeli in povera gente senza patria che fugge chissà dove.