Alessandro Platerotti, Il Sole 24 Ore 22/6/2013, 22 giugno 2013
Il tramonto del capitalismo relazionale Alessandro Plateroti «Alberto Nagel archivia la Mediobanca di Enrico Cuccia»; «Il salotto buono va in soffitta»; «Poteri forti addio: Mediobanca taglia con il passato»
Il tramonto del capitalismo relazionale Alessandro Plateroti «Alberto Nagel archivia la Mediobanca di Enrico Cuccia»; «Il salotto buono va in soffitta»; «Poteri forti addio: Mediobanca taglia con il passato». Più che gli obiettivi finanziari a breve e medio termine, peraltro migliori delle attese degli analisti, è la svolta "politica" annunciata ieri da Piazzetta Cuccia ad aver tenuto banco sui media e sui mercati. Aspettare la prova dei fatti, cioè l’uscita concreta e volontaria di Mediobanca dai patti di sindacato delle ultime "aree protette" del capitalismo italiano - da Rcs a Telecom Italia - non sembra neppure necessario: per analisti e investitori, l’evoluzione di Mediobanca è ormai un processo irreversibile, è la sola risposta possibile alle sfide della globalizzazione e soprattutto della progressiva integrazione del mercato finanziario italiano con quello mondiale. E poi, c’è la realtà più tipicamente italiana: il tramonto del grande capitalismo familiare e relazionale di cui Mediobanca è stata garante per oltre 40 anni. Un ruolo, questo, voluto da Enrico Cuccia ma imposto dalla fragilità del capitalismo italiano del dopo-guerra, dalla necessità di garantire stabilità agli assetti di controllo dei centri nevralgici dell’industria e della finanza italiana in un Paese che non ha mai sviluppato un vero mercato dei capitali alternativo a quello delle banche. Il problema di Mediobanca è che su questa missione si è innestato di tutto: dalla politica, a interessi finanziari stranieri che nulla avevano a vedere con la tutela dell’industria italiana. Operazioni studiate solo per tutelare questo o quell’azionista di Mediobanca hanno allontato gli investitori dal mercato finanziario e borsistico italiano, rallentando la modernizzazione della governance e minando la fiducia dei risparmiatori sul rispetto delle regole. Il risultato è stato non solo un progressivo declino di valore della holding e delle imprese partecipate, ma anche un peso sulla performance complessiva del mercato italiano: è stata la stessa autorità antitrust a denunciare che tra patti di sindacato e accordi vari, circa i 4/5 delle società italiane, tramite partecipazioni azionare o esponenti aziendali, sono state intrecciate tra concorrenti e finanziati, ponendo serie minacce al meccanismo della concorrenza. Basti pensare che nel 1998, nove società finanziarie, attraverso 6 amministratori collegati, erano connesse ad altre due società. Nel 2006 solo 3 società finanziarie quotate del MIB 30 non erano collegate tra di loro. In questo contesto, Mediobanca ha avuto la centralità nelle intese di sistema, diventando crocevia della finanza italiana e soprattutto il custode del più importante colosso finanziario nazionale, le Generali. Ora il meccanismo si è rotto. La politica sta perdendo progressivamente (e finalmente) la presa. Grazie alla vigilanza dei fondi e alla partecipazione attiva degli azionisti, soprattutto quelli esteri, la governance societaria è diventata determinante. Nell’era dei fondi protagonisti delle assemblee e delle banche commerciali azioniste delle imprese, il ruolo di una Mediobanca non serve più. E alla stabilità fittizia dei patti di sindacato, si contrappone la realtà dei nuovi concorrenti e soprattutto la necessità di capitali: oggi nessuno è disposto a investire su un mercato egemonizzato da una oligarchia che risponde a se stessa e a pochi poteri esterni e nella quale gli oligarchi costituiscono un unico blocco. Il modello-Cuccia, insomma, è stato un fenomeno tipico di un paese nel quale la democrazia economica del liberismo, le regole a tutela dei piccoli azionisti sono state per decenni insufficienti. Non è un caso se la filosofia che ispirava il fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia, era «le azioni si pesano e non si contano». Oggi, fortunatamente, è il contrario che si va affermando. La strada aperta dal management di Mediobanca, che ha dimostrato coraggio e coerenza avviando il cambiamento, va dunque sostenuta. I benefici potrebbero essere infatti enormi per il mercato italiano, la sua apertura internazionale e la stessa contendibilità delle imprese. La protezione dei patti di sindacato ha protetto i grandi soci dalle scalate, ma a pagarne il prezzo sono stati i piccoli investitori. Secondo uno studio condotto su 56 patti di sindacato nel periodo 1998-2003, l’annuncio di un accordo tra azionisti abbatte in media del 5,8% i titoli della società interessata (nel primo giorno in cui il mercato ne è informato ed in quello successivo). Opposta è la reazione nel caso di scioglimento dei legami tra soci: +7,8 per cento. Eppure, a dispetto di queste evidenze, la regolamentazione le trascura. O meglio non annovera l’annuncio dei patti tra notizie capaci di influenzare i prezzi (price sensitive) e tali pertanto da dover essere sottoposte ad obblighi di trasparenza immediati. Il capitolo è del tutto assente tra le fattispecie di notizie price sensitive prese in considerazione dalla "guida per l’informazione al mercato", redatta congiuntamente da Borsa, Assonime, Assogestioni ed Aiaf. La materia è affrontata nel Testo Unico della Finanza, ma non del tutto in modo efficace ed efficiente. E’ ora di cambiare anche su questo fronte. Alessandro Plateroti