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 2013  giugno 23 Domenica calendario

Il Giornale, domenica 23 giungo 2013 Si definisce la «povera allegra», ma Laura Galletti è assai più povera di come appare

Il Giornale, domenica 23 giungo 2013 Si definisce la «povera allegra», ma Laura Galletti è assai più povera di come appare. La più povera d’Italia. Ha fatto voto di non chiedere mai niente a nessuno, tantomeno l’elemosina. Non tocca il denaro per nessun motivo. Non ha una casa. Non riscuote la pensione. Non ha da parte risparmi. Non utilizza i trasporti pubblici. Non usa telefoni o computer. Non possiede nulla di nulla, a parte uno zainetto, un borsone da viaggio e gli abiti che indossa. Eppure non ha smarrito il suo radioso sorriso. E si presenta perfettamente in ordine, vestita con sobria eleganza, pulitissima, le mani e le unghie curate, i capelli che sembrano acconciati dal parrucchiere. Il film della sua vita potrebbe intitolarsi In viaggio con papà, se non l’avessero già girato Alberto Sordi e Carlo Verdone. Solo che questo papà si scrive con la maiuscola. Il compagno di viaggio di Laura Galletti è Dio, che lei chiama appunto Papà. Dell’altro padre, quello naturale, ricorda d’averlo visto per la prima e ultima volta a 18 anni. Si presentò dicendole: «Ora che sei diventata signorina, ti serviranno», e le esibì un rotolo di banconote. Voleva comprare il suo affetto e il suo perdono. Lei lo mandò a quel paese. Il rifiuto dei soldi era scritto nei precordi. Da quando è nata, nel 1947, a Milano, Laura porta il cognome della mamma, Giulia Galletti, insegnante con due lauree (lettere e lingue) e cinque diplomi, che fu preside della scuola Bon Brenzoni a Verona, dove la famiglia era proprietaria del ristorante Birra Pedavena nella centralissima piazza Bra, e morì nel 1999. «Non ho mai preso marito perché ero sposata con lei. Aveva 42 anni quando mi partorì e io l’ho assistita fino ai 95. Allora vivevo grazie alla sua pensione e all’assegno di accompagnamento». Non che Laura Galletti non fosse in grado di mantenersi da sola, capiamoci. Diplomata all’istituto d’arte Nani nella città scaligera, ha studiato grafica e fotografia a Monaco di Baviera. Ha avuto uno studio di pubblicità tutto suo. Ha lavorato per lungo tempo a Firenze presso l’agenzia Leader di Pico Tamburini, parente alla lontana di sua madre, che aveva in portafoglio clienti come Piaggio, Ray-Ban e Ariston: era la responsabile dei servizi fotografici e del casting al fianco di Gilberto Filippetti, il creativo che ideò il fortunato slogan «Chi Vespa mangia le mele (chi non Vespa no)». Ha curato per 12 anni a Milano l’immagine di Bagaglino hotels & resorts. «Lavoravo 14 ore al giorno, ormai avevo adeguato i miei ritmi di vita a quelli delle rotative. Ho detto basta. Oggi mi accontento solo di esistere. Per la prima volta mi sento finalmente radicata in qualcosa: in Dio». Appena persa la mamma, la «povera allegra» s’è recata in banca con una suorina delle Missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta. «Credeva che volessi fare un’offerta. Quando ha visto che le intestavo il conto, è arrossita. Le ho detto: per me questa è solo carta, adesso per fortuna la responsabilità di che cosa farne è solo vostra». Da allora la sua casa è Roma. «Indirizzo privilegiato: primo gradino della libreria Àncora all’angolo fra via della Conciliazione e piazza San Pietro. I barboni dormono all’addiaccio. Io invece mi costruisco una casetta con tre scatoloni d’imballaggio, uno incastrato dentro l’altro. Alle 6.30 i carabinieri c’invitano a sloggiare. Ogni sera mi devo rifare il ricovero. Invece nel porticato di Palazzo Pitti a Firenze, dove dormo da qualche notte, posso lasciare i cartoni ben ripiegati in un angolo». Laura Galletti si muove solo a piedi. «Niente autostop: non posso chiedere. Ma se Papà mi manda un passaggio, accetto volentieri». Con questo sistema ha girato tutta l’Italia ed è arrivata anche in Terra santa, a Lourdes, a Fatima, a Medjugorje, a Santiago di Compostela, «il Cammino no, non l’ho fatto per intero, perché se vuoi dormire negli ostelli ti serve qualche soldo e poi io non posso andare per sentieri, devo percorrere solo strade statali asfaltate: ho un unico paio di scarpe da farmi durare». Quando ha deciso di vivere così? «Il 12 aprile 2001. Ma è una storia lunga». Sono qua apposta. «Dall’adolescenza in poi ho vivacchiato nell’indifferenza religiosa. Dio lassù, io quaggiù. Da inferma mia madre riceveva l’eucarestia in casa. Per farla contenta, mi sono confessata e ho cominciato a comunicarmi anch’io. Quando se n’è andata, ho sentito che morendo la mamma mi aveva dato per la seconda volta la vita, quella eterna». Immagine suggestiva. «Dunque dovevo trasferirmi nella Città eterna, nella culla della cristianità. Andavo alla messa cantata delle 8 nella basilica di San Pietro. Ero catturata dalle omelie di monsignor Alberto Roncoroni. La badessa di un convento delle Clarisse mi indirizzò a un centro per ragazze madri, in via di Bravetta. La superiora mi disse: “Vede l’area qui intorno piena di calcinacci? Me la trasformi in un giardino”. La accontentai. Mesi di sudore. Il martedì alle 19 andavo alla catechesi nella parrocchia di Santa Galla, molto distante. La suora mi cacciò perché tornavo in ritardo. Mi ritrovai a dormire fra alcolisti e drogati nella stazione Tiburtina, dentro i sacchi neri della spazzatura». Come ha fatto a non diventare una barbona? «Il degrado è frutto dei comportamenti dell’essere umano. Se non segui delle regole, degradi. Io non vivo nel degrado perché non sono degradata». Continui. «Il 12 aprile 2001 vado in pellegrinaggio nel luogo in cui fu decapitato l’apostolo Paolo, alle Tre Fontane, dove in quello stesso giorno di 54 anni prima la Madonna disse al tranviere Bruno Cornacchiola: “Tu mi perseguiti, ora basta!”. A un certo punto i fedeli si mettono a guardare verso l’alto. Istintivamente faccio lo stesso e mi accorgo che posso osservare il sole senza accecarmi. Pulsava come un cuore in un cielo di colore tra il rosso e il rosa magenta. Il fenomeno è durato fino al tramonto. Ho pensato: è un segno divino, come posso ricambiare? Nello slancio emotivo ho risposto: via tutto il denaro e mai più una richiesta. Un minuto dopo la mente s’è resa conto dell’enormità di quella voce dal sen fuggita. Ma era una promessa al Papà e ormai non potevo più convertirla in una novena». Perché no? Anche Lucia Mondella fu dispensata da un voto irragionevole fatto per sfuggire all’Innominato. «Non ero stata io a decidere. La relazione con Dio non è come quella con gli uomini. È sincronia totale: io sento e penso quello che il Papà sente e pensa. Sottrarmi sarebbe equivalso a tradire me stessa. Perciò mi misi in cammino». Verso dove? «Medjugorje. Ci arrivai da clandestina: ero alle prime armi, mi pareva un peccato veniale. Andai all’imbarco del traghetto Ancona-Spalato. Erano le 9 di sera. Controllori ovunque. Impossibile farla franca. Cinque minuti prima che la nave salpasse, si scatenò a ciel sereno un nubifragio da tregenda. Fuggi fuggi generale. E io riuscii a intrufolarmi a bordo». Fu l’unico viaggio da clandestina? «Ne feci solo un altro sul traghetto da Brindisi alla Grecia. Ero decisa ad andare in Palestina. Dissi a Gesù: senti, Papà, se vuoi che arrivi a casa tua, devi farmi da tour operator. Da quel giorno, a piedi verso Istanbul, trovavo dei sacchetti bianchi, senza scritte, lungo il ciglio della strada. Come se qualcuno avesse fatto la spesa per me. Dentro c’era di tutto: pane, latte, cioccolato, una volta persino paste alla panna. Non rimasugli, badi bene: cibo fresco, intatto. Il primo giorno ne tenni un po’ da parte, per paura di restare senza. Alla fine dovevo buttarlo, tanto ne rinvenivo. E chiunque incontrassi, sempre lo stesso ritornello: “No money? No problem”. Il traghetto per Cipro me lo pagò un controllore». E una volta a Cipro? «Dalla zona turca non mi facevano passare in quella greca. Chiesi di poter avvertire per telefono l’ambasciata italiana: dormo in una casa diroccata lungo la linea di confine, fra un mese venite a prendere il mio scheletro e rimandatelo in patria. Accorse subito un diplomatico con un biglietto aereo pagato per Tel Aviv. Insistette per darmi 100 dollari di tasca sua: “Lo faccia per me, la prego. Non sopporto che lei vada in giro senza nulla”. A Gerusalemme mi ospitò un frate. Tempo una settimana e mi mandò via perché il mio stile di vita lo angosciava. Tornai da lui dopo 40 giorni a consegnargli la banconota avuta dal funzionario dell’ambasciata. Quasi piangeva: “Non sapevo come pagare un operaio che ha fatto un lavoro nel dormitorio da cui l’ho cacciata. Un conto da 100 dollari esatti. Ed ecco la pazza che trova da mangiare sugli alberi me li ha portati”». Ma ieri sera, qui a Firenze, che cosa ha mangiato? «Ho trovato due vaschette di riso alla greca, sigillate, in via dei Servi di Maria. Papà non mi dimentica mai». E stamattina? «Un turista straniero in attesa di entrare nel Giardino di Boboli s’è staccato dalla coda e mi ha consegnato un sacchetto bianco con dentro un dolce di riso. Poi è ritornato a far la fila, sorridendomi». E a Roma? «Ci sono almeno 60 mense per i poveri». Chi le procura le medicine? «Dico a Papà: tu mi hai fatta e tu mi devi aggiustare. Non mi ammalo da anni». Come riesce a essere così in ordine? «Alle 9 sono andata nel bagno della Rinascente, quello per disabili, ampio, bellissimo. Un’ora e mezzo di toeletta». Chi le fornisce il vestiario? «Nel santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa mi avvicinò una signora, Maria Bordieri, dicendomi: “Le parlo come se fossi sua madre. Una voce mi ha sussurrato: segui quella donna, non abbandonarla».Chiesi: ma lei quanti anni ha? “Quaranta”. Io 54, è la prima volta che una mamma nasce dopo sua figlia. Da tre inverni vivo quattro mesi a casa sua in Sicilia. Ha due figli, è sposata con un camionista. A Natale mi consegnano un pacco dono con dentro tutto ciò che mi serve durante l’anno: abiti, biancheria, scarpe, sapone, dentifricio». Che ne è della sua pensione? «Quella di lavoratrice non mi spetta perché per un anno non pagai i contributi. La sociale, 429 euro al mese, finisce a 15 padri del Terzo mondo che così non sono costretti a lasciare la loro famiglia per venire a lavorare in Europa. È un progetto dei carmelitani di Ciampino, si chiama Adotta un papà nella sua terra». Le capita di fare brutti incontri? «Mai. Il male ha potere solo se gli diamo potere. Vivo con Colui che il male l’ha sconfitto. La mattina dopo l’elezione, Papa Francesco è andato a pregare nella basilica di Santa Maria Maggiore. Ero lì anch’io, ma ho trovato i cancelli sbarrati. Il pastore dentro e le pecore fuori. Bello, no? Ho saputo da una suora che il Pontefice se n’è lamentato. “È per la sua sicurezza, Santità”, gli hanno spiegato. Ma lui ha replicato: “Non sono indifeso”. Lo dico anch’io: non sono indifesa». Non pensa che la sua testimonianza sia utopica? Come potrebbe un padre di famiglia crescere i figli e mandarli a scuola senza denaro? (Attimo di silenzio). «Non lo può fare». Che cos’è per lei il denaro? «Liberi si è nell’essere, non nel fare. E quando si è nell’essere, il denaro, che è uno degli strumenti del fare, perde valore». Col denaro si può ottenere tutto? «Il denaro può solo provvedere la precarietà. Sa che cosa diceva l’armatore greco Aristotele Onassis, notoriamente assai ricco? Quando un uomo afferma che col denaro si può ottenere tutto, puoi stare certo che non ne ha mai avuto». Che cosa pensa delle banche? «Non ne penso. Non fanno parte dei miei pensieri. Affari vostri». E della crisi economica? «Mal voluto non è mai troppo. L’uomo è l’unico essere dell’universo che ha bisogno dei soldi. Provi a chiedere a un uccellino perché non ha denaro». Ai quasi 3 milioni di italiani disoccupati che cosa sente di poter dire? «Grazie, uomo». Lei contraddice persino l’Ecclesiaste: «Il vino fa stare allegri, ma il denaro risponde a ogni scopo». «Papà mi disse: ora chiudi i libri e a noi due, cercami, mettimi alla prova! Per chi si priva dei soldi, la situazione umana diventa quasi tragica. Si viene presi dallo sgomento: che senso ha la vita se non posso più godere di nulla? Ma poi ti accorgi che solo l’assenza di denaro dà la possibilità di rendersi conto della presenza di Dio». La brama di denaro è davvero alla radice di tutti i mali, come scrive San Paolo a Timoteo? «No. Il bambino non è meno perfetto dell’adulto e l’uomo non è meno divino di Dio. Solo che...». Solo che? «Il troppo avere non ti renda peggiore». Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: Hic sunt leones (Marsilio). LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Tredici libri: La versione di Tosi e Hic sunt leones i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.