Giuseppe Guastella, Corriere della Sera 23/6/2013, 23 giugno 2013
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO — Il discorso del presidente Xi Jinping è arrivato ai dirigenti locali del partito comunista e dei governi provinciali in videoconferenza. «Guardatevi allo specchio, fate un bagno per ripulirvi dalle incrostazioni dei quattro venti della decadenza: formalismo, burocrazia, edonismo e stravaganza. Bisogna seguire «la linea di massa»: tornare ad essere vicini al popolo, nel popolo. La mobilitazione delle masse ricorda la strategia usata da Mao Zedong fino alla Rivoluzione Culturale. Erano anni che i leader di Pechino non usavano più questo linguaggio, preferendo slogan fumosi legati alla crescita industriale, come «sviluppo scientifico».
Questa nuova parola d’ordine, «fatevi un bagno», Xi l’ha lanciata martedì. Sembra un ritorno ai principi del maoismo per salvare il partito dall’implosione dovuta alla corruzione e alla crisi dell’ideologia. Ai quadri è stato annunciato che dovranno partecipare a sedute di studio e critica per rieducarsi.
E il giorno dopo abbiamo assistito a un «credit crunch» in zuppa cinese: i tassi d’interesse a breve sul circuito interbancario sono schizzati al 13,9% (quelli a un giorno) e al 12,4% (a una settimana). La stretta del credito ha provocato una crisi di liquidità immediata per le piccole e medie banche troppo esposte.
Ieri mattina inversione di tendenza: è stata immessa liquidità e a Shanghai i tassi a un giorno sono riscesi di 384 punti base (3,84%), quelli a una settimana di 351 punti, ma restano sempre doppi rispetto alla media dell’ultimo anno. Dietro questa altalena che fa perdere l’equilibrio alle borse mondiali non è difficile vedere la mano della Banca del Popolo cinese (la Banca centrale) che secondo gli analisti di qui ha voluto dare alle banche una «lezione di linea di massa» contro edonismo e stravaganze. Il credito/debito facile ora spaventa Pechino. La nuova leadership sembra volere un ritorno all’austerità maoista.
«È partito un messaggio chiaro alle banche: serve cautela nella gestione della liquidità, non si può espandere il credito facendo affidamento sul sostegno della Banca centrale», spiega al Financial Times Peng Wensheng, economista di China International Capital Corp.
Le province dell’impero cinese sono un pozzo nero del debito. L’ufficio di revisione dei conti di Pechino ha appena pubblicato questi dati: 36 amministrazioni locali a fine 2012 erano esposte per 3.850 miliardi di yuan, 500 miliardi di euro. Rispetto all’ultima indagine, del 2010, l’indebitamento è cresciuto del 12,9%. Per anni i governi provinciali hanno preso in prestito decine di miliardi dalle banche, dal mercato delle obbligazioni e anche dall’industria della «finanza ombra» per costruire infrastrutture, case, palazzi e migliorare i servizi. Tutto questo però, non proprio per «seguire la linea di massa» e «servire il popolo». Dietro l’indebitamento c’è lo spregiudicato gioco dei dirigenti locali, ansiosi di presentare dati del Pil locale prodigiosi, gonfiando la spesa pubblica. Per fare carriera. «È più che possibile che la politica di questi ultimi giorni della Banca centrale sia connessa alla campagna di Xi Jinping; questa volta l’azione del presidente cinese sembra più determinata rispetto alle brevi iniziative anticorruzione dei predecessori Hu Jintao e Jiang Zemin» dice il professor Willy Lam della Chinese University di Hong Kong.
Tutto chiaro? Forse no. Prima di dire che la Cina è arrivata in fondo alla sua strada di economia basata sulla spesa pubblica è meglio guardare a un piano annunciato proprio ieri: 767 miliardi di dollari per costruire 210 mila chilometri di statali e autostrade entro il 2030, raddoppiando la rete fino a 400 mila chilometri. Le spese faraoniche hanno ancora strada di fronte a loro.
Guido Santevecchi