Francesco Guerrera, La Stampa 22/6/2013, 22 giugno 2013
Mr. Market sta male. I vecchi marpioni di Wall Street si riferiscono al mercato come se fosse una vecchia conoscenza e lo chiamano «il Signor Mercato»
Mr. Market sta male. I vecchi marpioni di Wall Street si riferiscono al mercato come se fosse una vecchia conoscenza e lo chiamano «il Signor Mercato». Negli ultimi giorni, questo signore di bella presenza ma di una certa età ha avuto problemi di salute che potrebbero presagire un crollo più serio. Dopo anni in cui era stato trattato con i guanti bianchi, Mr. Market è stato malmenato in tre continenti: dagli Usa alla Cina e persino in Europa. In America, le parole chiare ma preoccupanti di Ben Bernanke – un altro signore di bella presenza – questa settimana hanno fatto calare la pressione a Mr. Market. Il capo della Federal Reserve ha detto che, tra pochi mesi, la banca centrale americana incomincerà a tagliare lo stimolo che sta pompando nei mercati dai tempi della crisi finanziaria. Bernanke ha pure aggiunto che la Fed vorrebbe chiudere il rubinetto degli aiuti l’anno prossimo perché l’economia americana sta finalmente raggiungendo velocità di crociera. In teoria, il messaggio dovrebbe essere stato positivo. Una di quelle scene hollywoodiane in cui il paziente – in questo caso il prodotto interno lordo Usa – si sveglia dal coma, abbraccia la famiglia, ed esce dall’ ospedale piangendo lacrime di gioia. Ma il signor Mercato, ed i signori del mercato, non l’hanno presa così. Il Dow Jones Industrial Average è crollato di 500 punti mercoledì e giovedì. In meno di un mese, questo barometro delle borse mondiali ha perso più del 4%, trascinandosi dietro indici di mezzo mondo – dall’ Hang Seng di Hong Kong al MIB di Milano, che è calato di quasi l’8% dall’inizio dell’ anno. «Mr. Market ci sta dicendo che non crede che l’economia americana può continuare a marciare senza la spinta della Fed», mi ha detto uno dei veterani della borsa di New York. Fino a qui, il ragionamento non fa una grinza: la ripresa americana è lentissima in gran parte perché i consumatori ed il mercato immobiliare, i grandi motori dell’economia Usa, stanno mancando all’appello. Ma il ritiro degli aiuti Fed presagito da Bernanke – il famoso «tapering» di cui parlai due settimane fa – sta avendo degli effetti sui mercati che non hanno quasi niente a che fare con l’economia reale. Uno dei risultati meno appetibili delle politiche di stimolo della banca centrale americana è stato quello di scatenare un’onda di speculazione. Non contenti dei tassi d’interesse bassissimi offerti dai beni del tesoro, e aiutati dal costo stracciato del debito, investitori di tutti i tipi si sono buttati su beni ad alto rischio. D’improvviso, le obbligazioni «spazzatura» (il nome è tutto un programma…) emesse da aziende con bilanci ballerini sono diventate super-popolari. Lo stesso è valso per le azioni di mercati emergenti come il Brasile e la Tailandia e le divise di paesi ad alta crescita ma con tanti pericoli, quali le Filippine e l’India. L’ intervento di Bernanke ha cambiato le carte in tavola. «E’ stato come se uno avesse gridato “fuoco” in un cinema pieno di persone», è stato il commento, un po’ esagerato, di un banchiere mio amico. Gli investitori sono corsi tutti verso l’uscita di sicurezza riscoprendo beni-rifugio come il dollaro. L’America non è più amica di Mr. Market ma il signore azzimato non ha tante alternative in Asia o in Europa. La Cina è in crisi per la prima volta in almeno un decennio. Un Paese che nell’ economia globale ha ricoperto il ruolo che Andrea Pirlo ricopre nella Nazionale – una certezza di cui non ti devi mai preoccupare - sta diventando un’ incognita che può essere o spettacolare o pericolosa, tipo Mario Balotelli. La combinazione di un rallentamento economico e inflazione che sale è una miccia accesa che il nuovo regime di Pechino sta facendo fatica a spegnere. Le voci dall’ interno parlano di un Pil che sta crescendo «solo» del 5-6%, meno delle stime ufficiali e, soprattutto, molto meno del 9-10% a cui la Cina ed il resto del mondo si erano abituati. Ma con l’inflazione in agguato, le autorità cinesi non possono usare il manuale degli anni passati che prevedeva aiuti enormi da parte del governo e delle banche statali. Anzi, la banca centrale cinese sta strizzando le banche per evitare che prestino soldi in maniera inconsulta. Nel frattempo, però, le imprese ed i consumatori made-in-China sono a corto di denaro per investire e spendere – una situazione che esacerba il rallentamento economico. E’ un circolo vizioso che potrebbe portare a cambiamenti fondamentali e conseguenze geopolitiche di enorme importanza. E poi c’è l’Europa. E’ estate e Mr. Market, che è americano doc, con le scarpe da tennis bianche e i pantaloncini bermuda un po’ stretti, potrebbe pensare a rilassarsi nel vecchio continente, magari nel Mediterraneo. Dunque vediamo un attimo: la Grecia è di nuovo nella crisi totale e la comunità internazionale ha persino minacciato di tagliare gli aiuti se il governo di Atene non manterrà le sue promesse di austerità. La Spagna, magari? Be’ lì la disoccupazione è a livelli da terzo mondo, molte banche sono tra la vita e la morte e la crescita è anemica. «What about Italy?», potrebbe chiedere Mr. Market. Sta meglio delle prime due ma, diciamoci la verità, tra incertezze politiche ed un’ economia in retromarcia non sembra proprio un’isola felice. C’è sempre la Germania, no? L’efficienza teutonica ecc. ecc. Non c’è dubbio che la Germania è il proverbiale monocolo nella terra dei ciechi. Ma negli ultimi mesi persino la locomotiva tedesca è stata rallentata dalla crescita nell’ euro che rende più care le esportazioni dei beni «in Deutschland hergestellt». Povero Mr Market, con questi chiari di luna, sarà difficile dormire sonni tranquilli. Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal. Francesco.guerrera@wsj.com e su Twitter:@guerreraf72.